Sacrestia
In genere si dà per scontato che nel Duomo di Chieri la distribuzione degli spazi sia sempre stata stessa, e che da questo punto di vista non vi siano mai stati grandi cambiamenti. Ma non è così, e non lo è soprattutto per quanto riguarda la sacrestia. La sua sistemazione attuale, infatti, è la terza della sua lunga storia.
Inizialmente si trovava a destra dell’altare, in contiguità con il campanile, sul sito dell’odierna cappella del Corpus Domini. Era molto più piccola di ora, e insufficiente per le esigenze della Collegiata. Nel 1478 Giorgio Bertone, a sue spese, la trasferì, ampliandola, nella parte opposta,dove oggi si trova la cappella del Crocifisso.
Fra il 1665 e il 1668 un suo discendente, Giovanni Battista Bertone, proprio per costruire la cappella del Crocifisso, e in essa la tomba di famiglia, spostò la sacrestia nel luogo dove la vediamo oggi, dividendola in due ambienti: il primo, più grande, destinato a sacrestia vera e propria, che i canonici usavano anche come coro invernale, donde la serie di stalli di legno collocati contro le pareti. Il secondo, più piccolo, serviva da archivio. Oggi le parti si sono invertite: il secondo è diventato sacrestia; nel primo è stato trasferito lo splendido armadio seicentesco dell’archivio e, alle pareti, alcuni quadri di epoche diverse.
Sopra il seicentesco armadio dell’archivio, in una lunetta a ridosso della volta, dalla chiesetta di Santa Lucia è stato trasferito lo stendardo della Confraternita di S. Croce. Dai registri della Confraternita, conservati nell’archivio capitolare, si apprende che fu dipinto nel 1622 da Francesco Fea, allievo chierese del Moncalvo.
Rappresenta il Crocifisso e, ai suoi piedi, a sinistra alcuni Confratelli vestiti delle caratteristiche tuniche e a destra un gruppo di Consorelle, in ricche vesti e con sul petto il distintivo del sodalizio. Divenne il prototipo per gli stendardi delle altre Confraternite: anche nella chiesa di San Guglielmo, infatti, ce n’era uno, oggi non più reperibile, che gli somigliava molto.
Questo ovale, raffigurante i Santi Giuliano e Basilissa in gloria, assisi sulle nubi fra angioletti e testine alate, viene attribuito a Mattia Franceschini, pittore allievo del Beaumont, del quale esistono quattro quadri anche nella chiesa di San Filippo: due ai lati dell’altare del Santo, con episodi della sua vita; due nella cappella dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, con le scene del loro martirio.
In questo, più che in quelli, emergono le caratteristiche stilistiche del Franceschini: maggiore teatralità nell’atteggiamento delle figure rispetto a quella del maestro, ma anche pittura più chiara e luminosa, delicatezza dei visi e morbidezza dei panneggi.
Un quadro del quale non si conosce la provenienza, né la committenza né il nome dell’autore. Le caratteristiche stilistiche generali, però, fanno pensare a Bartolomeo Caravoglia.
Questo quadro dell’Immacolata Concezione apparteneva alla Compagnia dei lavoranti del fustagno, che veneravano l’Immacolata come loro protettrice. L’autore è Antonio Andrietto, pittore comasco vissuto per quarant’anni a Chieri, dove morì nel 1713
Del medesimo autore in città esistono altri tre quadri con lo stesso soggetto: uno presso la parrocchia di San Giorgio, uno nel convento della Pace e il terzo, di proprietà dell’Istituto Giovanni XXIII, nella “sala delle consorelle” della chiesa di San Bernardino. Quest’ultimo si distingue dagli altri per la presenza, in basso, delle anime del Purgatorio, che ne fanno piuttosto una Madonna del Suffragio.
Si tratta di una copia anonima, abbastanza libera e di difficile datazione, della pala dell’altare di San Filippo Neri, nella chiesa omonima, dipinta attorno al 1703 da Stefano Maria Legnani, detto Il Legnanino.
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