Trofarello – L’addio dell’Inghilterra all’Europa, delusione per i nostri migranti o aspiranti tali.

BrexitSconcerto, stupore, panico, euforia. Tante sono le sensazioni che l’esito del referendum sulla permanenza o l’uscita dall’Europa dell’Inghilterra hanno suscitato. Lasciamo ad altre sedi i commenti politici ed economici su questa storica scelta, per porre qualche domanda da vicino. Chi di noi non conosce qualcuno che ha ‘tentato fortuna’ in UK? Cosa cambia per loro, oggi?

Ne parliamo con Paolo Parisella, recentemente emigrato a Chelmsford, una città di 160.000 abitanti a nord est di Londra.

Paolo, cosa l’ha portata a trasferirsi in Inghilterra? «In Italia lavoravo nel settore edile. Dopo la crisi edile mi sono formato in marketing ed ho lavorato per alcune società come consulente. Il mio è stato un espatrio isterico, causato dalla tassazione e dalle incertezze lavorative. In Inghilterra gestisco dei portali di E-Commerce in un’ambiente di co-working. Un toccasana per lo spirito e per gli affari».

La prima impressione sull’esito referendario? «L’euforia che sto vedendo in Italia è priva di senso.  La delusione è tanta, per me e per i tanti italiani qui presenti. L’amaro in bocca è forte, perché per noi emigrati l’Europa è una opportunità. Seppur tecnicamente non cambi un granché per i prossimi anni, ci sentiamo comunque esclusi. Perderemo il diritto di voto e dovremo far validare il passaporto. Insomma ci sentiamo fuori posto in una nazione che ci ha voluto ed accolto».

Secondo lei, come è maturato questo risultato? Ci racconti la campagna elettorale, vista “da dentro”. «La campagna elettorale non ha mai fornito elementi precisi di valutazione. A mio avviso ha prevalso “l’exit” a causa del qualunquismo cui noi Italiani siamo abituati. I sostenitori dell’Europa non sembravano un granché convinti. E’ stata una campagna elettorale molto partecipata ma priva di contenuti. Quanto ai sondaggi, hanno fatto guadagnare soldi a diverse persone, ma, è evidente che non erano per nulla affidabili. La mia sensazione è che gli Inglesi abbiano avuto paura».

Ora cosa cambia nella sua vita? «In questo momento è tornata l’incertezza che caratterizzava il mio umore in Italia. Mi sento nuovamente vulnerabile. Così come tutti gli italiani che sono in Inghilterra. Ad oggi le incognite sono tante e le difficoltà tecniche che si potranno accusare sono del tutto imprevedibili».

E’ Federica De Marco a raccontarci il punto di vista di chi in UK ha lavorato, precariamente, con il sogno di trasferirsi definitivamente: «Faccio parte di quella sciagurata generazione di giovani laureati, preparati, competenti e tristemente precari. Ma non è stata la paura della precarietà a farmi decidere di lasciare per un po’ l’Italia nel 2013, a pochi mesi dal conseguimento della Laurea in Giurisprudenza, bensì l’incontenibile necessità di sentirmi cittadina del mondo e di lasciarmi alle spalle un ambiente ristretto e provinciale che non tolleravo più, nonché la scelta consapevole di non seguire la carriera forense che non ho mai sentito davvero mia».

Federica, ci racconti il suo rapporto con l’Inghilterra. «Sono partita per Londra tre anni fa con poche certezze, un biglietto aereo e l’iscrizione ad un Master nell’ambito dell’industria turistica che mi ha permesso di affacciarmi al mondo lavorativo con uno stage. Stare lontana dalle “influenze di casa” mi ha permesso per la prima volta di ascoltare le mie ragioni e di fare delle scelte autenticamente consapevoli: da piccola sognavo di fare la giornalista e Londra mi ha fatto riscoprire il mio amore per la scrittura. Attualmente lavoro in Italia come editor freelance nell’ambito dei media/informazione e collaboro con alcuni magazine online italiani ed londinesi, perché il mio legame con il Regno Unito è oramai indissolubile, tant’è che mi trovo spesso a fare avanti e indietro da Londra».

Quanto al referendum? «Inutile dire che se fossi stata una cittadina britannica avrei votato certamente “remain”.

Sono rimasta estremamente delusa, la mia sensazione è che sia stata una scelta giocata sul populismo e determinata dall’onda emotiva di un popolo che attribuisce i propri problemi alla questione immigrazione; sebbene questa sia sempre di più in aumento, è bene considerare che la maggioranza degli “espatriati” sono persone laureate e qualificate e che il settore terziario, in cui la maggior parte di questi sono impiegati, è determinante per l’economia britannica. I problemi della Gran Bretagna in merito a sanità, scuola e altri servizi sono causati dai tagli alla spesa pubblica operati dal Governo, non certo dagli immigrati che portano soldi al Regno di Sua Maestà. Penso che questo risultato non sia altro che un’ulteriore conferma del fatto che le politiche comunitarie dovrebbero essere completamente riviste perché allo stato attuale non funzionano; nonostante questo anche il Regno Unito ha bisogno dell’Europa perché non è più la potenza globale di un tempo ed il senso di superiorità che si porta dietro dai tempi del colonialismo non è altro che un anacronistico retaggio di un’epoca che non esiste più. È un peccato che il luogo per eccellenza delle opportunità abbia deciso così stoltamente di chiudersi in se stesso. È proprio vero che nessun uomo è un’isola e che ora la Gran Bretagna potrà permettersi di esserlo solo geograficamente».

 

Sandra Pennacini