Chieri e l’emergenza profughi, Manuela Olia: “Problemi superabili, e serve comprensione”
“C’è gente che usa il linguaggio della paura e della diffidenza. Vorrei che si usasse anche quello della comprensione”. Così Manuela Olia, vicesindaco e assessore ai servizi sociali, affronta il tema più ‘caldo’ del momento: quello dell’accoglienza ai profughi risiedenti asilo. Un problema anche (e molto) chierese: 85 persone, tra pakistani arrivati un anno fa e africani a Chieri dall’estate, si trovano al momento a Chieri, distribuiti in alcuni alloggi affittati dalla cooperativa Tra.Me che si è aggiudicata la gestione della loro accoglienza rispondendo al bando della Prefettura. Secondo i parametri con cordati tra ANCI e governo, Chieri sarebbe quasi al limite: le toccherebbero infatti, in proporzione alla popolazione residente, tra i 90 e i 108 profughi.
“Vorrei –prosegue Olia – innanzitutto che i chieresi capissero cosa sta succedendo nel mondo, e poi che ricordassero come la città è stata in passato ospitale con molti di loro, emigrati prima dal Veneto e poi dal meridione, e poi ancora dalla Bosnia e dalla Romania.”
Certo, ma capire vuol dire prima di tutto sapere. “Mi piacerebbe – prosegue – che non si provasse solo paura o diffidenza. Non sottovaluto affatto i problemi che derivano dal loro insediamento, ma non ci sono molte alternative: li si accoglie sulla base di regole stabilite a livello nazionale e con le disposizioni che applica la prefettura. Si poteva scegliere di ospitarli tutti insieme in un albergo o in diversi appartamenti. La prima soluzione, dove è stata sperimentata, ha dato risultati pessimi, perché ha causato situazioni ben peggiori di quelle che alcuni cittadini segnalano a Chieri. Che sono, poi, problemi di convivenza civile con gente che viene da paesi lontani e diversi. Problemi superabili: il più grosso, in fondo, mi sembra che riguardi la raccolta rifiuti, lo stiamo affrontando con gli amministratori dei condomini dove vivono i profughi, magari chiederemo al Consorzio Rifiuti di svolgere qualche azione educativa. Per il resto, queste persone al mattino vanno a scuola per imparare l’italiano e l’educazione civica, qualcuno prenderà anche la licenza media. Non si segnalano episodi di accattonaggio né altre cose di cui comunque si occuperebbero prontamente le forze dell’ordine.”
Chi contesta l’ospitalità (e teme che finiscano a loro risorse comunali che sarebbe meglio riservare ai cittadini chieresi in stato di bisogno) trova da Olia tutte le precisazioni che servono: “Non ci sono fondi del Comune da spendere per i profughi – dice – e voglio che questo sia ben chiaro a gutti. La cooperativa che li gestisce prende soldi dallo Stato e li reinveste tutti per l’integrazione di queste persone. Che cominciano anche a rendersi utili alla città: abbiamo un protocollo d’intesa aperto con la prefettura per il loro lavoro volontario e li stiamo già impiegando nella cura e manutenzione del nuovo parco pubblico ‘Tepice del Pellegrino’ in Viale Fasano. Inoltre, hanno già dato e daranno una mano al centro di ascolto della Charitas per servizi a favore di cittadini che ne hanno bisogno: qualche giorno fa hanno fatto un trasloco per una famiglia chierese che era stata costretta a lasciare la propria casa a luglio dopo la romba d’aria e che adesso ha potuto finalmente rientrare. Con la Banca del Tempo alcuni di loro si sono dati disponibili a scambiare qualche ora del loro lavoro con un po’ di conversazione per migliorare il loro italiano. Poco per volta, saranno tutti inseriti in lavori socialmente utili. Con l’avvertenza che non dovranno togliere lavoro a nessun altro.”
Il problema, comunque, esiste. A Chieri come ovunque. “I progetti in cui sono inseriti durano 18 mesi, e altri 6 mesi passano prima che la commissione prefettizia decida se hanno diritto o meno allo status di rifugiato. Al momento, solo il 20% lo ottiene, perché la norma distingue chi muore a causa delle guerre da chi morirebbe di fame se restasse nel proprio paese. E’ assurdo che non si capisca a livello internazionale che questa è l’emergenza dei prossimi 20-30 anni. E che Chieri non può certo risolverla da sola…”
Un’idea, però, proprio da Chieri ha dato e continua a dare frutti. “Da anni – conclude Manuela Olia – noi supportiamo in qualche modo il lavoro che i Fratelli di Villa Brea portano avanti nel Burkina Faso. Quando si dice che i profughi vanno aiutati a casa loro, forse, se si ragionasse un po’ di più, si capirebbe che la strada è già tracciata.”