I poliziotti che danno un nome ai cadaveri non identificati
Questa è la storia di un ragazzo senza nome. Il 2 giugno del 2002, a Torino, in Lungo Po Antonelli, all’altezza del civico 53, affiora il suo cadavere dalle acque del fiume. La morte è dovuta ad asfissia meccanica da annegamento. Lo stato del cadavere però è pessimo. Non si è in grado di ricavarne le impronte a causa dell’avanzato grado di decomposizione. La salma non viene reclamata, e dopo pochi giorni il ragazzo viene tumulato presso il cimitero Parco di via Bertani come ignota.
Questa è un’altra storia, la storia di una squadra di poliziotti in servizio alla scientifica. Un lavoro appassionante, ricco di sfide. La squadra si occupa di analisi del crimine violento. Uno di loro è’ uno dei più esperti disegnatori di identikit in Italia. E poi ci sono i cold case: i cadaveri senza nome, la sfida più grande.
Forse non tutti sanno che, quando si rinviene un cadavere non identificato, una volta esaurite le indagini volte a ricostruire l’identità della persona, dopo qualche tempo la salma viene seppellita dopo un breve rito funebre. Da qui, trascorsi 20 anni, viene esumata e cremata, o riposta nell’ossario comunale. Storia chiusa.
Nel 2010 però nasce Ri.Sc., un sistema informativo realizzato dal dipartimento della Pubblica Sicurezza in collaborazione con il Commissario straordinario del governo per le persone scomparse, che mette a disposizione delle forze di polizia una serie di dati che riguardano cadaveri non identificati e persone scomparse: il data base permette adesso di tentare nuovi approcci per risolvere i cold case. All’interno della banca dati, vengono infatti inseriti dati molto utili: gli estremi delle denunce di scomparsa, il profilo D.N.A., dati sulle arcate dentali, eventuali fratture ossee…
Ai poliziotti della scientifica viene un’idea: siglare una collaborazione coi servizi cimiteriali del comune di Torino, al fine di essere coinvolti nelle esumazioni delle salme ignote. Inizia una proficua collaborazione. Per ogni salma ignota, la polizia riprende il fascicolo, riguarda i dati in possesso anche alla luce di quelli contenuti in Ri.Sc, inizia una nuova attività per cercare di far luce sui casi irrisolti.
Ma torniamo al ragazzo senza nome: nel maggio 2015, come di consueto ormai da qualche anno, la polizia scientifica viene convocata per un esumazione ordinaria. Dopo 13 anni, viene riaperto il fascicolo dell’uomo trovato annegato sulle rive del Po. Alla luce dei dati Ri.Sc. si riprendono nuovamente le carte del 2002, i rilievi effettuati allora, si controllano immagini e foto dell’esame autoptico. Agli investigatori dell’U.A.C.V. non sfugge un dettaglio che oggi può essere determinante: un tatuaggio. Un lupo che ulula alla luna sul braccio sinistro dell’uomo.
Iniziano le analisi sulle denunce di scomparsa, inserite in Ri.Sc. Si analizzano anche quelle presentate successivamente alla data del rinvenimento del cadavere. Ecco la chiave: nel luglio 2002 i parenti di Andrea Villani, uomo del ‘62 di origine ferrarese, scomparso da qualche settimana, in sede di denuncia parlano di un tatuaggio su un braccio. “Un cane che guardava la luna”, dicono i parenti in sede di denuncia.
Entra in gioco a questo punto il personale del laboratorio di genetica forense, interno al Gabinetto Interregionale di polizia scientifica, il quale esegue diversi prelievi di tessuto autoptico, ossa e denti, dalla salma. Nonostante la complessità delle analisi, dovute al pessimo stato del cadavere, si riusciva ad ottenere da un dente molare, un buon profilo genetico.
A questo punto si è rintracciato un familiare, che si è sottoposto ad un prelievo di materiale biologico dal quale si è poi ottenuto sia il profilo genetico autosomico, comparato con quello ottenuto dal cadavere.
L’uomo adesso ha un nome, e la sua famiglia ha chiuso definitivamente un tragico capitolo, che sarebbe rimasto ancor più doloroso, senza la parola fine.