ALLEGRO MOLTO a cura di Edoardo Ferrati: Riva e il Paesaggio Sonoro

TORINO- RIVA DI CHIERI: MUSEO DEL PAESAGGIO SONORO TRA RICERCA E SPETTACOLO– Il museo rivese, in collaborazione con il dipartimento di studi umanistici dell’UniversitĂ  di Torino, propone la prima edizione de “Il suono delle Stagioni” che durerĂ  fino al prossimo autunno. Il Museo del Paesaggio Sonoro con tale iniziativa suggella in modo definitivo la concezione moderna di museo non piĂą inteso come statica esposizione, ma realtĂ  che dialoga con il territorio circostante mediante attivitĂ  didattiche, convegni, seminari e momenti di spettacolo. Quest’anno i seminari di primavera, in memoria di Febo Guizzi, il compianto e autorevole etnomusicologo che con Domenico Torta ha dato vita al Museo, ora invidiato anche all’estero,, tra mille difficoltĂ  che avrebbero sfiancato un leone. Il ciclo di seminari, aperto il 12 marzo scorso, è proseguito il 21 e 22 aprile con interventi di studiosi delle UniversitĂ  di Torino e Nice cui seguiranno quelli delle UniversitĂ  di Padova, Indiana (Usa), Bologna, Valladolid e del National Museum of Ethnology of Japan. Incontri improntati alla luce della ricerca teorico-metodologica in ambito etnografico ed etmusicologico con un forte intreccio tra le sue  varie componenti

Domenica scorsa il momento dello spettacolo era dedicato ai canti di barberia e alla musica di tarantismo affidata a Salentrio e alla Compagnia Tarantarte. Spettacolo di indubbio interesse che ha preso avvio dall’anonima piazza Terzo Millennio alla presenza di un pubblico non particolarmente folto che si è poi infoltito nel corso del suo divenire. Il gruppo salentino ha costruito un percorso rigoroso che si è tenuto alle spalle la spettacolarità folclorica a favore di un severo approccio storico dove musica e danza interagiscono per approdare, poi, a momenti collettivi di festa. Il tarantismo è considerato un  fenomeno isterico collettivo e convulsivo fatto di credenze diffuse nell’area mediterranea, sarebbe provocato dal morso di ragni. Il fenomeno del tarantismo è inserito in un complesso ideologico antico e presente, fino a non pochi decenni or sono, in particolare in Puglia, in provincia di Matera e in Spagna, ma estinto nella sua forma storicamente riportata. La manifestazione dei “sintomi” del tarantismo in un soggetto trovava riscontro nella partecipazione di un gruppo di persone a un complesso rito terapeutico nel quale, avvalendosi di uno specifico apparato ritmico, musicale, coreutico e cromatico si riusciva a ristabilire la guarigione e la reintegrazione di una persona sofferente. Il tarantismo è un fenomeno con cui si sono confrontate diverse scuole di pensiero e discipline: etnomusicologia, psicologia, storia delle religioni, mitologia, estetica, medicina, antropologia culturale, zoologia, psichiatria. I tentativi di comprensione del fenomeno non possono prescindere da un approccio fortemente interdisciplinare che non si limiti ad una diagnosi psicopatologica, né che classifichi il tarantismo come frutto dell’ignoranza e della credulità popolare.

Il  tarantismo si connotò come percorso storico, religioso (nel Leccese), pagano (nel Tarantino e Brindisino) che caratterizzò l’Italia meridionale fin dal Medioevo, visse un periodo felice fino al XVIII° secolo, per subire nel corso del XIX° un forte declino. Attraverso la musica e la danza era possibile dare guarigione ai tarantolati, realizzando un vero e proprio esorcismo a carattere musicale. Ogni volta che il tarantolato esibiva i sintomi associati al tarantismo, suonatori di tamburello, violino, organetto, armonica a bocca ed altri strumenti musicali andavano nell’abitazione del tarantolato o nella piazza principale del paese. I musicisti cominciavano a suonare la pizzica o la tarantella, musica dal ritmo sfrenato, il tarantolato cominciava a urlare e danzare per lunghe ore fino allo sfinimento. La credenza voleva che mentre si consumavano le proprie energie nella danza, anche la taranta si consumasse e soffrisse fino ad essere annientata. Tuttavia, nel rito esorcistico erano impegnate altre musiche dal ritmo lento e dalla melodia malinconica. Alla leggenda popolare  può essere legata anche una spiegazione scientifica: Il ballo convulso, accelerando il battito cardiaco,  stimolando abbondanti sudore e il rilascio di endorfine, favorisce l’eliminazione del veleno e aiuta ad alleviare il dolore provocato dal morso del ragno. Non si esclude che il ballo venisse utilizzato in origine come vero e proprio rimedio medico a cui solo in seguito sono stati aggiunti connotati religiosi ed esoterici. Negli ultimi anni hanno ottenuto un largo seguito le rappresentazioni teatralizzate e rievocative dalla danza delle tarante in un contesto del tutto differente  e con significati mutati tanto da ridursi a “revival folcloristico” ad uso e consumo del turista privo di qualsiasi supporto storico che ne possa stimolarne la riflessione.

Lo spettacolo di Riva, a carattere itinerante, era suddiviso tra piazza Terzo Millennio, la splendida Confraternita dei BatĂą e il giardino di Palazzo Grosso.

Infine, tentiamo alcune riflessioni. Il carattere basilare del racconto è supportato dal collocarsi in un luogo che diviene storia, o che storia è, e come tale conserva un notevole potenziamento narrativo. Si tratta di un’idea che affonda le radici nella sua ereditarietà mitica dei luoghi, nella loro tendenza a trattenere le impronte di chi ha vissuto e operato. Una sorta di viaggio intellettuale ,una ricerca appassionata che può approdare a sondarne le intense movenze, i riflessi emotivi, le vibrazioni, le tesi argomentative. Il “viaggio” parla a coloro che non intendono  muoversi al seguito di chi impartisce indicazioni e suggerimenti, cercando un incentivo all’avventura, trasfigurare quelle sorprese e quegli elementi di testimonianza che i tempi e i luoghi in cui viviamo non sono in grado di fornire. I luoghi più cari alla memori sono un valido antidoto alla perdita d’identità e all’alterazione dinamica nell’uso dei luoghi. Insomma, stimolare lo spettatore la cui immaginazione è sempre più mortificata da un consumo rituale e frettoloso dei tempi. Questo, secondo chi scrive, è il messaggio che va rilasciando il Museo del Paesaggio Sonoro. La partenza è giusta, cammina già sulle proprie gambe grazie a un valoroso gruppo di giovani studiosi guidati  da Guido Raschieri, direttore artistico de “I suoni delle stagioni”. La rassegna promette bene, sostenuta da persone che quasi con fierezza credono nel progetto e, soprattutto consapevoli di fare squadra.