PASSIONE FUMETTI di Giancarlo Vidotto – Milo Manara al Salone del Libro di Torino, ospite d’Onore, intervistato dal giornalista Luca Raffaelli nella prestigiosa Sala 500 del Lingotto
Sì è concluso con un grandissimo successo il 30° Salone Internazionale del Libro di Torino, con oltre 165.000 visitatori (di cui 140.746 al Lingotto Fiere e oltre 25.000 per le iniziative in città). Quella del 2017 è stata la prima edizione diretta dallo scrittore e giornalista Nicola Lagioia, il quale ha riservato al mondo del fumetto una grande attenzione (a partire dal manifesto ufficiale disegnato da Gipi, da lui stesso annunciato durante un incontro al Circolo dei Lettori) e uno spazio significativo, sia per gli editori, sia per i tanti incontri che si sono svolti. Tra quelli che hanno riscosso maggiore successo di pubblico vi sono la partecipazione di Claudio Chiaverotti, Roberto Gagnor e Paolo Mottura alla celebrazione su Stephen King di venerdì 19 maggio in Sala Rossa, il Bao Pride con Zerocalcare, Leo Ortolani, Giacomo Bevilacqua e Daniel Cuello di sabato 20 maggio in Sala Gialla (tutto esaurito) e il seguitissimo incontro con Milo Manara nella grande e prestigiosa Sala 500.
Presentato dal giornalista Luca Raffaelli – uno dei più importanti del settore in Italia, sia per le sue collaborazioni a tv, giornali e riviste, sia in quanto curatore delle collane a fumetti di Repubblica – Milo Manara ha affrontato temi personali, legati al suo lavoro e al mondo del fumetto in generale.
Sollecitato da Raffaelli sui suoi esordi nel mondo del “fumetto d’autore”, Manara ha esordito ricordando che all’inizio fu “contagiato da Hugo Pratt. Ero vittima anche io di una forma di pregiudizio verso il fumetto. Fino agli anni ’70 tanti grandi autori, come ad esempio Dino Battaglia e Sergio Toppi, soffrivano di una condizione schizofrenica: il loro pubblico era un pubblico di ragazzi, ma loro non erano disegnatori per ragazzi. Quando sono arrivato io le cose stavano già cambiando. Il fumetto è narrazione per immagini, come lo è il cinema, solo che in proporzione non costa nulla. A quei tempi non c’erano molti lettori consapevoli, però man mano stavano aumentando. Anche io ho preso coscienza con il tempo del mezzo e delle sue potenzialità. Oggi ci sono fumettisti finalisti del Premio Strega.”
“Chi non conosce i fumetti non sa cosa si perde. Li compiango.”
“Ho iniziato disegnando albetti per adulti: 120 pagine ogni 15 giorni, due vignette per pagina.”
Millo Manara ha infatti esordito come disegnatore su Genius – uno dei personaggi neri nati sulla scia del successo di Diabolik, partito inizialmente come fotoromanzo – e poi sui pocket per adulti di Jolanda de Almaviva, serie in cui comincia a emergere lo stile che lo renderà famoso in tutto il mondo.
“Ai tempi facevamo un albo e poi ci concedevamo una mini vacanza, per cui cercavamo di disegnarli in 7/8 giorni. Ci si arrangiava cercando di tenere alta la bandiera con un minimo di qualità. Lavorando a questi ritmi succedeva che le prime tavole venivano meglio, poi man mano la qualità calava. Io cercavo di fare le tavole più importanti nei primi giorni e poi quelle meno impegnative alla fine. In questo modo la qualità media migliorava, se pure sempre bassa, e si dava una certa uniformità alla storia”.
“Il mio primo contatto con il fumetto impegnato è avvenuto quando ancora facevo Jolanda. Dopo la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, Alfredo Castelli mi propose di disegnare la storia “Un fascio di bombe”, dall’evidente doppio senso. Nel fumetto si possono fare anche cose come queste. Poi ho realizzato “Lo scimmiotto” per alterlinus (1976) con Silverio Pisu. Lavoravamo insieme alla Ediperiodici e ci chiedevamo se la nostra morte sarebbe stata li. Mi ha proposto questa storia su una leggenda cinese dal valore molto simbolico. Nella seconda storia siamo entrati in disaccordo, avevamo visioni diverse. Era su un personaggio molto passivo in cui io mi ci riconoscevo, lui invece aveva una visione molto più radicale, lo criticava. Io sono un voyeur della vita”.
Luca Raffaelli ha ricordato che in questi ultimi anni nel mondo del fumetto si è passato da un mondo di personaggi ad un mondo di autori: “in questo tu sei stato un apripista.”
Milo Manara ha confermato, “se pure non è stata una mia volontà” e ha precisato, ridendo, che in questo è stato aiutato dal nome, “come tantissimi personaggi famosi del fumetto, che hanno le iniziali del nome e del cognome uguali: Mickey Mouse, Donald Duck, Martin Mystère. In realtà io non avevo un personaggio tutto mio da proporre, solo personaggini, poi il destino ha deciso per me. Il mio nome è diventato un brand. Ad esempio avevo notato che in Francia, sulle copertine, il mio nome era più grande del titolo. C’è un pro e un contro nell’essere fortemente legati ad un personaggio. Mi ricordo che Hugo Pratt non era così entusiasta del fatto che il suo nome fosse associato solo a Corto Maltese, lui aveva fatto tantissime altre cose”.
Raffaelli e Manara hanno disquisito anche di pittura, citando il primo l’avversione di Leonardo Da Vinci per i pittori di scene multiple e il secondo alcune opere di Giotto e di Botticelli che potrebbero essere assimilabili a dei fumetti. “I grandi pittori del ‘700, se fossero vissuti ora, sarebbero autori di fumetti” ha dichiarato Manara. Sempre Raffaelli ha ricordato la predilezione nei fumetti di Manara per le tante vignette piccole e non per le splash-page, oggi molto di moda. Predilezione che Manara ha confermato, “sì, per me è importante la narrazione, non ci si può fissare in una sola vignetta”.
Tra le ultime opere di Manara ci sono “I Borgia”, scritti da Alejandro Jodorowsky, e “Caravaggio”, interamente sua. “Nel passaggio dai Borgia a Caravaggio è cambiato molto. Per I Borgia ero totalmente al servizio di Jodorowsky. Abbiamo sempre parlato molto, lui mi sfidava continuamente, mi provocava, solo una volta mi sono imposto, per una scena che non ho voluto disegnare”.
Citando i motivi che lo hanno portato a fare un fumetto su Caravaggio, Manara ha detto che “risalgono a quando ero un ragazzo. Mi ha sempre affascinato e ha una vita da fumetto. Se fosse vissuto oggi, Caravaggio farebbe cinema. I suoi quadri sono dei set cinematografici, con pose scomode, in movimento. Utilizzava modelli presi dal popolo. Il massimo della finzione usando il massimo della realtà. Io non uso modelli per i fumetti, troppo complicato. Per le illustrazioni invece sì”.
Ricordando quello che considera il suo grande maestro, Moebius, ha evidenziato che “aveva il senso del passato nel futuro”, disegnava la fantascienza come se fosse passato, decadente, sporca. Prima di lui la fantascienza era lucida, asettica. Mi ha insegnato molto. In Caravaggio ho voluto far vedere Roma così com’era, sporca, piena di odori. Una città che è stata fondamentale per Caravaggio, quella che ne ha influenzato maggiormente lo stile.”