LE PERLE NERE DELLA MUSICA a cura di Edoardo Ferrati
Schoenberg, Moses und Aaron (Mosè e Aronnne)
Opera in tre atti, (incompiuto atto III°), libretto del Compositore
Zurigo, Stadttheater, 6 giugno 1957
Thomas Johannes Mayer (Mosè), John Graham-Hall (Aronne): Orchestre et Choeurs de l’Opéra National de Paris
diretti da Philippe Jordan; maestri dei cori: Jean Louis Basso / Alessandro Di Stefano, regia, scene, costumi e luci di Romeo Castellucci
BelAir Classiques BAC 132 (2 dvd), reg. 2017; durata: 113:00
Il progetto di Mosè e Aronne fu inizialmente pensato da Arnold Schoenberg (1874-1951) come cantata Mosè al roveto ardente (1926) ,poi come oratorio (1927-28) e infine come opera (1931). Baluardo dell’opera lirica del ventesimo secolo, punto ineludibile della maturità artistica di Schoenberg (foto) e capolavoro dell’incontro tra riflessione filosofica e disarmante azione penetrante del suono. L’ascesa del nazismo al potere, i primi atti di persecuzione subiti dal compositore austriaco in quanto ebreo e la decisione di lasciare Berlino, furono senza dubbio alcune delle ragioni che determinarono l’interruzione dell’opera. Nemmeno nel corso del suo ventennale esilio americano riuscì a concludere l’opera, restando insoddisfatto del testo del terzo atto e componendo solo qualche schizzo relativo a quest’ultimo. Di fronte all’incapacità di concludere il lavoro, non si resta stupiti più di tanto, perché di una complessità, di una profondità d’intenti e di segni simbolici come poche altre nella storia del teatro musicale. Questo grandioso capolavoro può considerarsi la summa dell’esperienza artistica ed estetica di Schoenberg. Mosè e Aronne simboleggia il contrasto tra il concetto dell’ideologia e quello dell’azione. Mosè è il depositario, il guardiano dell’idea pura e assoluta, ma non riesce ad esprimerla perché manca dello strumento dell’azione , mentre Aronne possiede la parola, destinato a tradurla nel momento in cui la muta in azione. Opera difficilissima da rendere musicalmente nella sua ineluttabile impermeabilità. L’azione teatrale è coinvolgente, talvolta violenta, basata tutta su un’unica serie di dodici suoni che conferisce alla partitura un’unità molto rigorosa. Ed è un’unità raggiunta attraverso componenti diverse: la voce recitante di Mosè appartiene alla tecnica dello Sprechgesang (canto parlato) che esprime la sua importanza a comunicare, il canto quasi virtuosistico di Aronne; la scrittura corale che fa suoi tutti i procedimenti della più rigorosa polifonia che vanno dal sussurrato al gridato, l’orchestra dal linguaggio timbrico raffinato e ricco d’invenzione che assume un rilievo essenziale nella celebre scena del vitello d’oro. L’invenzione musicale si scatena in pagine violente di una furia inaudita che ‘alternano a deliranti esplosioni.
Nello spettacolo firmato nella sua totalità da Romeo Castellucci le componenti sceniche e quelle teatrali s’integrano in una coesione perfetta. Un prodotto tecnologicamente complesso e, soprattutto di formidabile impatto teatrale, pieno di simbolismi e con grandi movimenti di masse. Un impegno senza precedenti con in magnifica evidenza i complessi artistici dell’Opéra guidati da Philippe Jordan che tiene tempi non irrigiditi. I due protagonisti Thomas Johannes Mayer e John Graham-Hall sottolineano il primo la possanza biblica di Mosè e il secondo l’impotenza di Aronne. Un grandioso documento videografico e punto di riferimento nella scarsa discografia di questo titolo incompiuto.