PIEMONTE ARTE: SPAZZAPAN, LAURITO, FASSI, BELCREDI, BR1 E GEC, COLLEGNO, VEZZOLANO
IL SEGNO, LA FORMA LE IMMAGINI DI SPAZZAPAN
Nella Torino di Giovanni Arpino con «gli alberi appaiono spogli nella curva del fiume», la Fondazione Giorgio Amendola e Associazione Lucana Carlo Levi, presenta la mostra «Luigi Spazzapan. Ritorno a Torino», con un catalogo-monografico a cura di Loris Dadam. La mostra rappresenta un suggestivo racconto intorno alla figura di Luigi Spazzapan con interventi e relazioni di Loris Dadam, Enzo Biffi Gentili, Giuseppe Lupo, Pino Mantovani, progetto ed allestimento di Silvia Burzio e Editrice Il Rinnovamento, fotografie di Piero Chiariglione.
Presieduta da Prospero Cerabona, la Fondazione Giorgio Amendola propone un percorso di studi, convegni e ricerche che vede impegnati, tra gli altri, Domenico Cerabona e Maria Sofia Ferrari.
E, in sintesi, il dettato di Spazzapan prende forma attraverso la scansione dei disegni. E gli alberi lungo le rive del Po, i possenti cavalli e il volto di una ragazza, emergono dai fogli di Luigi Spazzapan attraverso l’incedere rapido, immediato, a tratti arabescato del segno che fissa un’immagine, un luogo, una stagione di immanenti silenzi.
Per l’artista di Gradisca il segno diviene alfabeto di un personalissimo linguaggio, di un racconto, di una ricerca che appartine alla cultura visiva del Novecento.
Una linea che sembra affiorare da interiori sedimentazione del pensiero, dall’idea generante le forme, da una visione che si fa misura di un tempo in cui – ha scritto Guido Seborga – «Spazzapan aveva una grande intensa intuizione nella realtà, e nel trasformare la realtà con il disegno espressionista».
Una realtà che si identifica con il «Ritratto d’uomo nella stanza a fiori» o con l’«Uomo che legge», con una vibrante e tormentata Crocifissione o gli scorci di una Torino ripresa e fissata con quel suo tratto avvolgente frutto di una straordinaria «invenzione grafica»: «La mano di Spazzapan – ha sottolineato Marzio Pinottini – corre veloce e sicura fiera di ogni sprezzatura formale: è il segno colorato o a china nera che suggerisce l’immagine tracciando rabeschi sinuosi che hanno l’eleganza della grafia giapponese, ma anche l’aggressività del suo carattere intollerante e insofferente di ogni regola e costrizione che non sia il suo estro fantasmagorico».
Le composizioni geometriche, i giocolieri, i nudi femminili, i ponti sul fiume, appaiono definiti da una linea filiforme che delinea il fluire delle barche, l’ascetica figura di San Marco e l’espressione dello sguardo di Ginia.
In particolare, i fogli di grafica della fine degli anni Venti, esprimono momenti «tra calligrafismi estenuati in lineamenti filiformi ed esplosioni espressionistiche di macchie d’inchiostro, tra ritmate memorie classiche e capricciose sintesi di tipo futurista. Su quei fogli – nota Luigi Carluccio – «eleganza e volgarità, banalità e preziosismi bizantini, finezza e grossolanità, pedanteria e invenzione stanno insieme in virtù dell’energia associativa del segno e della duttile frenesia con cui esso risponde agli impulsi dell’artista….».
Impulsi, slanci, imprevedibili associazioni di figure e oggetti, si scoprono osservando le opere esposte, che sembrano annotazioni di un diario per immagini e accadimenti, di incontri e sottili emozioni, di pagine ironiche e altrettante scansioni di rievocanti memorie.
Memorie di giornate trascorse nello studio di corso Giulio Cesare, dove, ricorda, trascorrevo «…intere notti senza potermi fermare. Credo che sia il massimo che abbia fatto anche perchè la mano mi si è fatta ancora più «bella» e mi ubbidisce anche nei momenti di massima frenesia…»
E nella città di Felice Casorati e degli scultori Garelli e Mastroianni, di Edoardo Persico, Lionello Venturi e dei Sei di Torino, Spazzapan aveva avvertito la particolare atmosfera di un ambiente che annoverava gli architetti Ettore Sottsass e Carlo Mollino e gli intellettuali e scrittori Maurizio Corgnati, Oscar Navarro, Guido Hess (Seborga), Velso Mucci, Cesare Pavese, Piero Bargis con la moglie Lucia Sollazzo, che nella poesia «Oltre la collina» scrive:«Bianco oltre la collina dentro il bianco/ s’apre il quaderno del silenzio».
La serrata sequenza delle chine rivela l’essenza del discorso di Spazzapan, del dialogo che intercorre tra l’immagine e lo spazio, della suggestiva definizione onirica degli scheletri nel bosco, sino a descrivere i viali del parco, i bagnanti e un disinvolto autoritratto, in una sorta di narrazione che ha fatto dire a Francesco Poli: «Al di là delle variazioni di linguaggio, nei vari periodi, l’opera di Spazzapan mantiene una esemplare forza di attualità, perchè quello che conta allora come oggi è l’anima profonda e autentica del suo straordinario e appassionato rapporto fra arte e vita».
Un rapporto che si rinnova, alla Fondazione Giorgio Amendola, con l’energia di una grafia vicina alle cadenze di Pascin e del poeta e pittore Max Jacob, risolta mediante una sospesa, incisiva e pulsante gestualità.
Angelo Mistrangelo
TORINO, Fondazione Giorgio Amendola, in via Tollegno 52, sino al 31 gennaio 2018.
MARISA LAURITO ALLA GALLERIA NARCISO
Alla Galleria Narciso ritorna la notissima attrice e artista Marisa Laurito con la mostra personale «Transavantgarbage: Terre dei fuochi e di nessuno», organizzata da Sally Paola Anselmo Pinottini. Nelle sue fotografie, riprese come in una scenografia teatrale o cinematografica, accosta momenti della più serena e piacevole quotidianità con cumuli di rifiuti, con i cassonetti dell’immondizia e le discariche abusive. Vi è in questa sequenza di immagini la profondità di una denuncia che sottolinea alcuni degli aspetti dell’attuale società dei consumi tra «proposte salutiste» e territori contaminati, tra radiazioni distruttive e le scorie scaricate nei fiumi. Fotografie, quindi, che rinnovano l’indagine intorno a questo nostro tempo con il sorriso delle bambine di «Granita al limone» con sullo sfondo i rifiuti disseminati, i «Caraibi italiani» e il «Clarinettista Magico», «Ricicliamoci» e «Senza Stato» che rievoca, liberamente, l’impianto narrativo del grande dipinto «Quarto stato» di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Marisa Laurito – suggerisce Sally Paola Anselmo Pinottini – non «si limita a puntare il dito in uno sterile «j’accuse», ma vede con ottimismo le possibilità di riscatto e salvezza di vita e ambiente, purché l’impegno sia di tutti, fattivo e tempestivo: si può fare!».
Angelo Mistrangelo
TORINO, Galleria Narciso, in piazza Carlo Felice 18 (primo piano), sino al 20 gennaio 2018.
NATURE MORTE E FIORI DI MATTIA FASSI
Nel reparto di Urologia dell’Ospedale Molinette di Torino, diretto dal prof. Paolo Gontero si può vedere una scelta di quadri del pittore Mattia Fassi che arricchiscono l’ambiente, presentati dalla scrittrice Marina Rota con il critico d’arte Giovanni Cordero.
E il tema dell’esposizione «Arte in corsia: un percorso nella natura attraverso le opere del pittore Mattia Fassi» mette in evidenza il nuovo rapporto tra la struttura ospedaliera e il pubblico, tra paziente e medico.
L’attività pittorica di Mattia Fassi, si è sviluppata lungo settant’anni di costante impegno fra un dipingere tradizionalmente figurativo e l’esperienza legata all’arte del vetro.
Formatosi, dal 1940 al 1947, alla Scuola del Reffo a Torino, Fassi affida a una rasserenante e piacevole rappresentazione il clima di un dipingere in cui nature morte e composizioni floreali esprimono la sua sensibilità, la volontà di fissare gli aspetti della realtà circostante e il profondo desiderio di ricordare un luogo o un mazzo di rose o, ancora, un cesto di frutta.
E dalla natia Villafranca Piemonte alla Toscana, dove si era trasferito nel 1967, si delinea l’essenza di un suggestivo dialogo con la natura e, in particolare, con le immagini d’Arte Sacra elaborate per realizzare le opere dedicate alla Chiesa di Bobbio Pellice.
Una pittura, quindi, caratterizzata dalla limpida interpretazione di una composizione con funghi, di una fredda e innevata giornata d’inverno, delle acque di un ruscello che scorre tra la vegetazione.
E un ponte, i grandi alberi e le colline sullo sfondo raccontano il suo interesse per l’ambiente, per il territorio, per un paesaggio acceso dalla luce atmosferica.
Angelo Mistrangelo
TORINO: RITROVARE LA LUCE IN ALICE BELCREDI ALLA CONSERVERIA PASTIS.
La scansione delle immagini di Alice Belcredi appartiene a una interiore rilettura della natura, della realtà contingente, di un pianeta che lentamente si sgretola soffocato dall’incessante e incombente avanzata del «mondo di plastica».
Una ricerca, la sua, che travalica questo nostro tempo per entrare nello spazio di una personalissima stagione creativa, per trasmettere il clima di una scrittura che unisce performance, disegno, fotografia, installazione in una sorta di continua e intensa denuncia sociale.
Vi è all’interno dell’esperienza della Belcredi la volontà di «vedere un mondo più bello», di comunicare sensazioni purissime e ritrovare la luce in fondo al tunnel degli ecosistemi inquinati e inquinanti, di tradurre la rappresentazione in un racconto, sottilmente poetico, caratterizzato da un singolare e simbolico cavallo di plastica, composto da 3000 CD, che ha attraversato la storia per raggiungere una voluta e cercata libertà.
E, scrive Francesca Persano, «Più soggetti – persone, fiori, città, prati, montagne, strade – convivono in una sola immagine, verosimile, ma surreale».
Un’immagine che nella performance-installazione «Ali Menta» ideata per il progetto # Fuoriclasse curato da Daniele Galliano, ospitato dalla Conserveria Pastis, costituisce l’essenza di un’azione dove un «campo di menta invade l’asfalto ridando un fresco profumo di verde».
La natura riprende così il sopravvento, il grigio del marciapiede si rianima e l’umanità ritrova luoghi, spazi e atmosfere che sembravano sconfitte, abbandonate, sacrificate al cemento.
Il profumo proviene da un campo di piante di Menta Piperita, situato nella regione Barauda a Pancalieri, tra Torino e Cuneo. Utilizzando un alambicco, le piantine sono state trasformate in olio di Menta Piperita. Durante la performance la polvere verde di prodotto organico, contenuta in un barile di acciaio inox, è stata versata sul pavimento, calpestata e portata, come «orme verdi», all’esterno della galleria «per inquinare il suolo grigio della città».
Azione, immagine, intuizione concettuale, si fondono nel discorso della Belcredi che, formatasi alla Facoltà di Architettura e allo IED di Torino, esprime una profonda ricerca espressiva ed esistenziale.
Angelo Mistrangelo
INDAGARE LA LIBERTA’ NELLA RICERCA DI BR1 E GEC
La ricerca, il valore assoluto dell’immagine, la visione di una realtà contaminata che trasforma lo spazio pubblico, costituiscono alcuni dei momenti dell’esperienza di BR1 e GEC, che da più di dieci anni dialogano insieme sul ruolo dell’artista nella società contemporanea.
Un ruolo che appartiene indissolubilmente a una stagione di aperti conflitti esistenziali, di precarietà, di azioni scandite dal potere delle multinazionali, dei governi, della comunicazione effimera della pubblicità.
In tale contesto, il loro discorso s’inserisce nel secondo ciclo del progetto di Daniele Galliano, che si sveste temporaneamente dei panni d’artista e diviene il curatore della rassegna «Fuoriclasse_4 mani» ospitata nello Spazio Espositivo Azimut presso la Conserveria Pastis del Quadrilatero Romano.
In questo ambiente storico di una Torino che sembra quanto mai lontana dal nostro tempo tecnologico e multimediale, in queste pareti e spazi intensamente vissuti i lavori di BR1 e GEC assumono una particolare e indiscutibile dimensione espressiva, legata a un linguaggio profondamente segnato dai fenomeni sociali, da una umanità che sembra aver smarrito le proprie connotazioni e convinzioni, dalla volontà di cercare nuovi approdi conoscitivi per fuggire dai conflitti, ingiustizie, violenze: «Siamo solo individui – suggerisce BR1 – che devono vivere il mondo intero senza paura, perché ognuno è straniero su questo mondo».
E BR1 e GEC operano all’insegna di un’arte alla continua e inesausta ricerca della libertà al di là della globalizzazione, di una comune volontà di parlare «alla collettività intesa nel senso più ampio e trasversale possibile. Nella maggior parte dei casi – sostengono i due artisti – l’intervento artistico nasce senza alcuna intermediazione o autorizzazione, essendo frutto di una spiccata attitudine alla pianificazione strategica dell’azione. Si tratta di azioni libere ed improvvise in grado di modificare il paesaggio urbano,in cui l’osservatore si ritrova inconsapevolmente coinvolto…».
Un’orchestrazione, quella creata da BR1 e GEC, che «scopriamo» nei progetti comuni «Acqua farina e pomodoro» del 2013 e «Fieno e asfalto» del 2014, entrambi realizzati a Torino. Progetti e performance che uniscono l’attualità al loro intervento atto a «offuscare la pubblicità commerciale» o esprimere «il rapporto tra opera d’arte e spazio pubblico».
Alla Conserveria Pastis, BR1 presenta un grande quadro con due donne africane in abiti sgargianti, sedute a un tavolino con davanti nove passaporti di diverse Nazioni. Basta pagare per acquisire il passaporto che si desidera, diventato, quindi, un bene di lusso e di consumo. E accanto affascina l’opera «Un vestito nuovo per Delphine» (Torino, aprile 2016), dove una donna indossa un vestito africano da cerimonia realizzato con una coperta isotermica dorata. Un abito tanto sfavillante che le restituisce l’antica fierezza, il portamento regale e una rinnovata bellezza nella luce della città.
Una città che è anche il determinante punto di riferimento per il lavoro di GEC, che propone l’inedito «Consapevolezza, ottimismo, impegno» (fotografia+video). Tre elementi – afferma l’autore – che oggi mancano nella lettura del presente». Ma che ritroviamo nel gesto atletico della giovane ginnasta, che esegue il suo elegante e rigoroso esercizio sulle barriere antiterrorismo in Piazza San Carlo. Di GEC, si può inoltre vedere la serie di rappresentazioni «Cala la notte», composte, con pennarello e spray, sui «Gratta&Vinci». E sono profili di città, gru, finestre che si aprono su svettanti grattacieli, che raccontano con ironia la «dimensione della nevrosi colettiva, del tentativo ossessivo, affidato alla sorte, di «svoltarsi la vita», di raggiungere un’improvvisa ricchezza, agognata come soluzione definitiva di felicità»(Clara Iannarelli).
E dai volti delle donne nella società islamica alle trivellatrici, si identifica il senso profondo della ricerca dei due artisti nel segno di un’interiorità rivelata, di un futuro messo in discussione, di una storia che richiama l’attenzione sul cammino della società occidentale attraverso un tempo di pulsanti e incisive riflessioni sull’umanità e il suo divenire.
Angelo Mistrangelo
ATMOSFERE PITTORICHE e GIOIELLI-SCULTURE ALLA SALA DELLE ARTI DI COLLEGNO
I segni della pittura rinnovano l’incontro tra Antonio Carena, Maria Rosa Frigieri, Francesco Murlo e i gioielli di Tin Carena negli spazi espositivi della Sala delle Arti di Collegno, definiscono gli aspetti di un cammino che concorre a descrivere l’essenza di immateriali atmosfere, di immagini che emergono da concettuali esperienze, di limpidi azzurri e neri e trame dorate.
Cieli, paesaggi, petali vellutati e materiali finemente elaborati appartengono indissolubilmente al mondo di Carena, al suo profondo rapporto con la realtà circostante e gli allievi-amici, in una sorta di continuo interscambio di informazioni, suggerimenti e incontri con la magia del colore.
Un incontro che si rinnova grazie all’impegno del Comune di Collegno, con il desiderio di ritrovare il suo ironico sguardo, la battuta immediata, il gioco dell’arte che diviene pennello immerso nella materia-colore sulle superfici dei suoi quadri.
Quadri che si possono ammirare, accanto al grande «Cielo», recentemente restaurato da Murlo con la collaborazione di Maria Rosa Frigieri, in questa sala dove vengono ospitate mostre che uniscono la ceramica alle incisioni, le sculture ai dipinti di artisti noti e giovani emergenti.
Un «Cielo» legato alla serie «Della finta poesia» che viene presentata in questo nuovo itinerario caratterizzato da tecniche miste su tela o su marquisette, mentre la singolare cupola ora esposta è stata realizzata con vernici alla nitro.
E dall’autoritratto alle nubi barocche, dall’ipotesi del paesaggio alla «levitazione del cielo», come aveva intitolato un suo lavoro, si coglie in estrema sintesi il messaggio di Carena, la continuità nel tempo di un discorso in cui si avverte una sottesa tensione creativa che annuncia l’evolversi delle immagini verso spazi incommensurabili, verso una visione che travalica il vero per entrare nell’area del sogno, della parola inventata, delle «porzioni incielate» o dell’universo «paesaggiare».
Segni, espressioni letterarie, luci da tubo catadico fanno parte del linguaggio di Carena e di quella gestualità che diviene luogo, memoria, immagine concettuale in divenire.
Immagine che si trasforma in oggetto prezioso, in materia significante, in cristalli svarowsky che arricchiscono i «gioielli-scultura» di Tin Carena.
E così le forme, la tessitura di argenti e stoffe prendono consistenza nelle collane, nei pendenti, nelle spille di Tin lungo un percorso creativo assolutamente libero, «avventutoso e poeticamente legato a non prendersi mai sul serio, ma a dar vita ai miei sogni». E da queste sue riflessioni emerge il senso di una rappresentazione scandita dal «fascino dell’imperfezione», dalle modelle che indossano i «gioielli-scultura», dall’alternarsi dei colori sempre mantenuti su un registro di raffinata evidenza formale. Gioielli che nascono da una stagione di ricerche tra perle, lane, pietre pregiate e di materiali poveri come bulloni e pagliette per piatti, che fanno parte del ciclo «Distraenze Femminili».
E la luce accende i fiori di Maria Rosa Frigieri che, allieva di Antonio Carena, rivela una particolare sensibilità nel dipingere il cuore di una rosa o un «petalo danzante» o, ancora, il fiore della «Timidezza».
Il profumo, la leggerezza di un giro di danza, l’energia del colore immerso nell’atmosfera, mettono in evidenza una pittura in cui la delicata risoluzione della rappresentazione suggerisce una lirica chiave di lettura di una narrazione sempre controllata, estremamente misurata negli esiti compositivi, espressa da piacevoli e deliziose corolle, petali e steli lievissimi.
E dietro a ogni interpretazione della «Passione», ai «Fiori d’artificio», all’incanto degli azzurri si ravvisa un dialogo intimo con la natura che ci riconduce alla impalpabile leggerezza dei versi haiku del poeta giapponese Buson: «L’orchidea di notte-/ nasconde nel profumo/ lo splendore del fiore».
Una natura che si scopre nei dipinti di Francesco Murlo, formatosi pittoricamente con Giuseppe Grosso, che offre una personale definizione del territorio, dei boschi, delle giornate di un freddo inverno con la neve fra i rami degli alberi raggelati.
Vi è, quindi, nelle sue impressioni un interiore rapporto con la luce, la volontà di fissare l’essenza di una giornata di primavera, la freschezza di un ruscello che scorre tra la vegetazione e il silenzio delle radure sul far della sera.
E sono «Finestre sul cielo» e bianche nuvole sospinte dal vento, che raccontano di un ambiente dove l’immagine è contemporaneamente simbolo e affiorante emozione.
Murlo suggerisce raffigurazioni attraverso atmosfere evocate dal dato cromatico, mentre gli smalti e la calibrata pennellata delineano e definiscono tronchi, macchie d’arbusti e prati di un verde suggestivo.
Angelo Mistrangelo
COLLEGNO, Sala delle Arti, Certosa Reale parco Generale C.A.Dalla Chiesa, sino al 21 gennaio 2018.
VEZZOLANO: FINO AL 6 FEBBRAIO IL PRESEPE DI ANNA ROSA NICOLA
Il Presepe di Anna Rosa Nicola a Vezzolano è aperto il sabato, la domenica e le festività dalle 10 alle 17 fino a Domenica 6 Febbraio.
Apertura straordinaria tutti i giorni da Sabato 23 Dicembre a Lunedì primo Gennaio 2018 con orario 10-17(Lunedì 25 Dicembre: 10-12,30 / 15-17).
Il Presepe è realizzato con materiali poveri e di recupero, cera, creta, legno, stoffa, elementi naturali e miniature in cera colorata. Alle tradizionali figure legate alla Natività fanno da contorno ambientazioni con scene di vita quotidiana e mestieri che evocano atmosfere antiche.
Presso il Presepe potete lasciare un’offerta per opere d’arte da salvare.