PIEMONTE ARTE: FIBER ART A CHIERI, VIONE A VILLANOVA, LE VOCI, CAVALLERIZZA, CASORATI, PRIX PICTET, AGHEMO, ALBA, VOGHERA

CHIERI: L’IRAN E IL SALENTO SI INCONTRANO NEL MONDO DELLA FIBER ART

A 20 anni dalla 1° Biennale di Trame d’Autore e dell’omonima Collezione Civica, oggi espressione di un Progetto per l’Osservazione della Fiber Art e del Medium Tessile nell’Arte Contemporanea, la Città di Chieri, con i patrocini di MiBAC Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Regione Piemonte e della Città Metropolitana di Torino, organizza una serie di eventi – inseriti nel circuito del Salone Off del Libro – promuovendo iniziative e mostre di arte contemporanea dedicate ad artisti internazionali e giovani talenti. Mercoledì 9 maggio, in collaborazione con l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, la mostra Trame d’Autore (Opere storiche dalla Collezione Civica di Fiber Art della Città di Chieri) ha inaugurato la rassegna in Sala Azzurra. L’Imbiancheria del Vajro a Chieri ospiterà poi, il 19 maggio alle ore 16, l’attesa Premiazione Ufficiale della 3^edizione del Young Fiber Contest Marialuisa Sponga Award e della Open Call, una rassegna di oltre 70 artisti le cui opere sono state selezionate attraverso un doppio Bando, registrando una sorprendente svolta e il fiorire di una stagione nuova che vede il tessuto, finora circoscritto alle aree di nicchia, diffondersi ampiamente nel panorama artistico globale. Elementi, questi, più che mai presenti nel lavoro e nelle ricerche delle due vincitrici ex aequo del Young Fiber Contest: Anna Lucia Rizzello e Reyhanenh Alikhani. La prima italiana, la seconda iraniana, percorrendo strade diverse e parallele, giungono ad incrociare i loro passi, guidate dai  fili e dalla bellezza, parola chiave quest’ultima per entrambe, unite nella ricerca di armonia e di un fare antico inteso quale preziosa materia a cui attingere per esplorare successivamente aree contemporanee intellettuali ed estetiche. Afferma Giulia Anfossi, Assessore alla Cultura e alle Politiche Giovanili della Città di Chieri “La storia e le opere delle nostre due vincitrici rendono chiaro come l’arte, e la Fiber Art soprattutto, abbatta confini e unisca culture lontane in un intreccio di ricerca, aspirazioni e sogni. Largo spazio verrà dato agli artisti under 35 nella mostra all’Imbiancheria del Vajro che inaugurerà sabato 19 Maggio, accostandoli però con altri artisti, proprio in quest’ottica di connessione interculturale, generazionale e di ricerca artistica”. “Ciò che più risalta – dice la Direttrice Artistica Silvana Nota – è lo spirito stesso della Fiber Art estrinsecato da moltissimi artisti, soprattutto giovani, che incredibilmente, pur non conoscendone inizialmente la storia, vi approdano cogliendone i punti caratterizzanti sintetizzati e tradotti con straordinaria molteplicità di esiti formali e poetici. Tra le novità emerse in questa terza edizione, si evidenzia il chiaro interesse nei confronti dell’elemento tessile affiancato ad altri materiali e modalità esecutive ancora diverse rispetto alla Fiber Art che, da sempre, è percorsa da interventi non convenzionali, quali carta, metallo, plastica, ecc.”

 

VILLANOVA D’ASTI, MOSTRA DI ALESSANDRA VIONE CUCCO

Mostra di Alessandra Vione Cucco a Villanova d’Asti, il 18-19-20 maggio, nello spazio espositivo del la chiesa della Confraternita dell’Annunziata in stile rinascimento, riccamente affrescata e con una grande cupola a volta molto elevata e attualmente sede della Biblioteca Comunale. Scrive di lei Angelo Mistrangelo: “…Nell’ambito di una continua ricerca di immagini, di luoghi, di risvolti contenutistici, la pittura di Alessandra Vione Cucco si dipana con vitale espressività. Nelle sue opere la linea assume una predominante dimensione evocativa di figure che hanno una loro ragione di essere nel preciso rapporto fra l’autrice e la realtà circostante, tra la traccia dei ricordi e la limpida esecuzione… “ Un percorso contrassegnato dallo studio di nuove soluzioni tecniche scoperte e apprese dalla sua vocazione non solo di pittrice, ma di abile restauratrice, tuttora sua professione principale, la cui svolta avvenne nel 1992 con la commessa del Restauro della palazzina Liberty La Fleur del Fenoglio a Torino. Da allora un percorso segnato da prestigiosi interventi di Restauro, da aggiornamenti continui su tecniche, materiali e modalità di interventi e dalla consapevolezza sempre più convinta che stare “addosso” ad una parete o ad un soffitto affrescato con gli attrezzi in mano “…Mi rende viva e i segni e i colori davanti ai miei occhi diventano così lo spunto essenziale a cui affidarsi per esprimere la mia visione delle ‘cose’ circostanti, per comunicare un sentimento di gioia, di ribellione o di malinconia…” che emergono dal fondo di tavole e tele corrose dal tempo.

 

 

LUIGI LE VOCI. UN SEGNO PER RACCONTARE LA STORIA

Nel Foyer del Teatro Regio, in Piazza Castello a Torino, è stata allestita, con il Patrocinio della Città di Torino, la mostra «La vita a chi la vive» di Luigi Le Voci, che presenta il fascino degli teatrali e della musica che l’artista frequentava con assiduità, e dai quali si ispirava per i suoi taccuini e disegni dal tratto rapido e immediato. La mostra è visibile sino al 27 maggio, solo al pubblico che assiste agli spettacoli del Teatro Regio e, quindi, con l’orario e il biglietto d’ingresso.

Il suo percorso è legato, in particolare, alle immagini di Parigi e della Francia, che possono essere rievocate dai versi di Paul Verlaine:«La luna spalmava le sue tinte di zinco/ad angoli ottusi./ Lembi di fumo a forma di cinque/uscivan densi e neri dagli alti tetti aguzzi».

I tetti aguzzi affiorano dalla poesia «Schizzo parigino» di Paul Verlaine, dall’incedere di un segno immediato, dalle stagioni di Luigi Le Voci trascorse a Castrovillari, Torino, Milano e Parigi, che testimoniano la ricerca di luoghi, colori, immagini che si scoprono nei suoi inchiostri su carta, nella scansione dei dipinti e nella preziose pagine incise. Un percorso, il suo, che appartiene alla cultura visiva del secondo Novecento e dei primi anni del nuovo Millennio, in una sorta di intensa partecipazione al clima artistico, di costante adesione a una interpretazione della realtà risolta mediante il fluire pulsante, guizzante e stenografico della linea. Ed è la linea l’assoluta artefice dei suggestivi e lirici taccuini, delle annotazioni a margine del suo diario per subitanee impressioni, della freschezza di una raffigurazione che ha attraversato il tempo per consegnare e consegnarci una figura di artista anticonvenzionale e riflessiva, autonoma e vivace: «Io sono Le Voci». Con queste parole mi ha salutato per la prima volta, incontrandomi alla Galleria Quaglino, nella centralissima piazza San Carlo di Torino. E da quella occasione si è sviluppato un itinerario di incontri, di racconti, di aspettative culturali che legano lo studio torinese, ingombro di tele, schizzi, libri, strumenti musicali, a quello milanese dal quale mi ha inviato, nel 1990, un delicato acquerello con la dedica: «….un messaggio con la magnolia e l’arpa…». Mentre dai frequenti soggiorni nell’atelier parigino emerge la vicinanza alla linea di Pascin, Dufy e del pittore e poeta Max Jacob, in una sensibile «lettura» delle case, dei viali, delle acque della Senna: «Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna/ Venga la notte suoni l’ora/ I giorni se ne vanno io rimango»(da «Il ponte Mirabeau» di Guillaume Apollinaire). Rimangono le opere di un artista che si poteva incontrare nelle sale della musica con il taccuino, il bastone da passeggio, lo sguardo rapito dal gesto del direttore d’orchestra, dal dialogo serrato e penetrante dei violini, dall’armonia e dalla trama musicale che inondava lo spazio con una sorprendente fascinazione.

E Le Voci ha trasmesso attraverso le tele, le opere grafiche e i rapidi commenti che inviava ad amici e critici d’arte, il proprio e indiscutibile sogno di pittore scandito, a volte, da una sottile ironia, da un sorriso, dall’incessante volontà di fermare il tempo sulle immagini dei palazzi barocchi, delle rive del Po e di quelle persone sconosciute e indefinibili, che amava riprendere insieme all’incessante scorrere del traffico urbano e i tavolini dei caffè. Impressioni, atmosfere, riflessioni sull’arte, sono elementi di un dettato e di una narrazione che emerge dai fogli acquerellati, tanto che Giuseppe Borgioli ha scritto su «Toscana Oggi» del 23 dicembre 1984, che «C’è un ritratto di Uto Ughi disegnato con piglio chagalliano da Luigi Le Voci: il violino si confonde con il corpo e quasi appare come un prolungamento delle braccia».

E, Massimo Mila, presentandolo alla mostra «I disegni dei concerti di Luigi Le Voci», allestita al Piccolo Teatro Regio di Torino nel 1976, ha sottolineato che «Sarà un caso, ma tu passi, a Milano, sul marciapiede della Scala, e incontri Le Voci. Sosti, a Torino, sotto i portici del Regio, ed ecco spuntare Le Voci, come un’apparizione che si fosse improvvisamente concretata in quel punto. Questo pittore «frequenta» i luoghi della musica, come in certe leggende si vuole che un lago, un monte, un bosco, siano abitati, «hantés», da uno spirito: il genius loci, per l’appunto». E sul programma di sala, sul pentragramma degli spartiti, sulle locandine dei concerti, prende forma questo suo universo di intuizioni figurali, di rapidi fraseggi, di interni di un «restaurant avec musique» o del Picador nell’arena e di Piazza San Marco a Venezia

Vi è nelle rapide registrazioni di Le Voci una visione che lo ha accompagnato per tutta l’esistenza, vi è la strenua energia di una personale gestualità, vi è la cadenza di una descrizione che, a tratti, assume il senso di una parola evocativa, ripresa e riconsegnata alla natia Castrovillari, agli anni torinesi con gli studi universitari di architettura, le esposizioni alla Galleria Dantesca e i commenti critici di Marziano Bernardi: «Luigi Le Voci è un antico della Magna Grecia che s’è reincarnato nel più rischiose esperienze di un’arte audacemente moderna; la musica delle sue immagini viene dalla siringa di Pan per confondersi con il racconto favolistico di Chagall, con la grazia fragile di Dufy».

Un ritmo e una fragilità che ha fatto dire a Ugo Ronfani, in «Luigi Le Voci o la pittura come musica», se «accompagnassimo le sue rappresentazioni figurative con supporti digitali adeguati, ci accorgeremmo che timbri grafici e timbrature cromatiche corrispondono rigorosamente a strutture di base del linguaggio dei suoni». Un linguaggio che sembra entrare in diretto contatto con la musicalità e la scrittura poetica di Jacques Prévert: «Che giorno siamo noi/ Noi siamo tutti i giorni/ Amica mia/ Noi siamo tutta la vita/ Amore mio/ Noi ci amiamo e noi viviamo/ Noi viviamo e noi ci amiamo/ E noi non sappiamo che cosa è la vita/ E noi non sappiamo che cosa è il giorno/ E noi non sappiamo che cosa è l’amore» («Canzone»).

E dalla mostra alla Galleria Present Art, in Boulevard Saint Germain a Parigi, a quella organizzata al MACA Museo Arte Contemporanea Acri nel 2010, dallo «Spazio Le Voci» a Torino al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, si snoda un percorso espositivo caratterizzato, inoltre, dalla personale organizzata dal Comune di Castrovillari nel 1983, che segna l’essenza di una esperienza arricchita dalle collaborazioni con il quotidiano «Il Giorno» e la rivista internazionale di cultura «Spirali».

I disegni dei concerti, il Premio «We Build» del Kiwanis, i suoi scritti, dal titolo «Le Voci di Pan», costituiscono altrettanti momenti di una continua, inesausta, vitale attività e di quel ripercorrere un mondo di personaggi mitologici, di «incubi cittadini» e di quaderni di viaggio, sino all’Autoritratto con la tavolozza, immerso nel paesaggio.

E ogni dipinto, ogni tocco d’acquerello, ogni raffinata puntasecca, concorre a definire un cammino segnato dal costante rapporto con la cultura visiva o con i giovani pittori. E tra questi, Matteo Grisolia che, nel catalogo della mostra «L’ultimo bohemien» alla Sala delle Arti, Protoconvento Francescano nel 2015, ha messo in evidenza le «emozioni indotte dalle sue opere» e l’affascinante «equilibratissimo ed elegantissimo groviglio di linee, talvolta spezzate o continue, che l’Artista sparge a piene mani sul supporto bidimensionale del foglio o della tela».

Una pittura che ha determinanti riferimenti con violini, arpe e pianoforti a coda, con nature morte e cavalli, con vedute del Pollino e suadenti nudi femminili, monumenti romani e angeli, demoni e incombenti edifici.

Una pittura intensamente vissuta, profondamente amata, raccontata all’insegna di un gesto che è indiscussa testimonianza di un sogno mai sopito, ma che annuncia cieli e atmosfere e memorie di una stagione di cromatici incantamenti.

 

 

                                               Angelo Mistrangelo

 

TORINO, ALLA CAVALLERIZZA “#HEREalCubo”

Dal 18 al 27 maggio 2018

Inaugurazione venerdì 18 maggio – Ore 18.00

CAVALLERIZZA REALE

Via Verdi 9, Torino

Dal 18 al 27 maggio, presso la Cavallerizza Reale di Torino, si svolgerà la terza edizione di Here – #HEREalCubo – una mostra collettiva che coinvolge oltre 250 artisti che esporranno occupando interamente gli immensi spazi della Cavallerizza: tre piani (2°-3°-4°) costellati di opere d’arte, a cui si aggiungono le soffitte, sede di un progetto video curatoriale e di concerti nel corso della rassegna, il Polo Letterario (con ingresso in Via Verdi), la CLAP (nel primo cortile interno), il Giardino e il Bastione (sito nel giardino). Inoltre per le performances saranno utilizzati il Foyer, il Maneggio, la Manica Corta, oltre ad un palco per il live jazz nel Cortile della Cavallerizza.

Si tratta di quasi 200 produzioni artistiche individuali e collettive a cui si affiancano momenti performativi con proposte che sperimentano nuovi modelli di fruizione per il pubblico con un linguaggio che supera le divisioni tra le arti performative. Il ciclo delle performance si aprirà con lo spettacolo SALT dei Bambsemble con la regia di Jon Kellam e si concluderà con Living Rom del Workcenter di Grotowski.

In totale parliamo di circa 500 artisti visivi, performativi, musicali.

#HEREalCubo costruirà un Museo Irreale, il Museo Vivente, dove l’arte si respira nelle opere e nelle vite delle persone, promosso da un presidio quotidiano, permanente, che si prende cura degli spazi. Per questo è stato chiesto a tutti i partecipanti di donare un’opera d’arte con l’obiettivo di costruire un deposito d’arte, per accogliere una collezione di opere e documenti come traccia e sostanza del “Museo Vivente”, che dovrà essere pubblico e riconosciuto come bene fruibile da tutti.

Un museo che intende proporsi come fattore strategico per l’intera comunità, sovvertendo la tradizione museale attraverso il Museo Vivente, neo-istituzione di uso civico collettivo, totalmente aperta e inclusiva.

#HEREalCubo propone agli artisti di entrare nella Comunità Creativa, di compromettersi, di prendersi un impegno comunitario, di costruire e proporre esperienze artistiche come opera d’arte, di costruire città temporanee tra chi le propone, l’artista, e il pubblico partecipante, parte integrante delle opere stesse.

#HEREalCubo vuole allargare la visione e il concetto di opera d’arte a tutte le aree di lavoro della Comunità Creativa, anche agli artisti performativi di ogni tipo, chiedendo loro di esprimere il proprio talento in relazione agli spazi e alla comunità.

Allargare la Comunità Creativa, includere artisti di ogni area, coinvolgendo il pubblico partecipante in una esperienza artistica, rivendicare la politicità dell’atto artistico comunitario, sono le parole chiave di #HEREalcubo.

Orari di apertura su settimana

Dal lunedì al venerdì | 16-22

Sabato e domenica | 14-22

 

ROMA: FRANCESCO CASORATI, OPERA INCISA 1952 – 1995

Istituto centrale per la grafica, Roma,

Museo dell’Istituto, via della Stamperia, 6

9 maggio – 1 luglio 2018

Nell’ambito delle attività del Museo dell’Istituto centrale per la grafica, tese a valorizzare il patrimonio grafico delle collezioni con mostre temporanee, si presenta una selezione di una sessantina di fogli realizzati da Francesco Casorati (1934 – 2013) con tecniche di incisione calcografica dal 1952 al 1995. La retrospettiva, organizzata in occasione della donazione da parte dell’Archivio Casorati di 15 opere grafiche dell’artista torinese, testimonia il nostro compito istituzionale di promuovere e sostenere la grafica del Novecento, esponendo nel museo dell’Istituto opere che possono essere mostrate solo temporaneamente per motivi conservativi. Per Francesco Casorati la grafica rappresentò un ambito parallelo e mai subalterno rispetto alla pittura. Uno dei più acuti interpreti della sua opera, Luigi Carluccio, notava anzi che le “esperienze dell’incisore a volte hanno sopravanzato o preceduto il lavoro di pittore”. In piena libertà e in dialogo con un contesto internazionale, Casorati esplorò tutte le potenzialità della grafica incisa, dedicandosi a molteplici sperimentazioni sui materiali, sulle modalità di morsura, sul segno e sul colore. Esemplari, in tal senso, le varianti, in sede di stampa, di “Battaglia” (1954) o le due versioni di “Battaglia dei tre cavalieri” (1957). Con la medesima libertà l’artista attraversò il periodo informale, rappresentato in mostra con fogli esposti nella sala personale alla Biennale di Venezia del 1962, e poi la fase vicina alla figurazione impegnata (“La casetta affumicata”, “L’albero e il treno”, entrambe del 1967), nella quale permane il carattere ludico e narrativo che sempre accompagnò il lavoro di Francesco Casorati. Negli anni Settanta si affaccia il tema, radicato nella specularità insita nella grafica a stampa, della gemellarità e della rifrazione dell’immagine, che prendono corpo in favolosi bestiari e vertiginosi labirinti grafici. Sarà la purezza assoluta del segno, la “scrittura” acquafortistica, a dominare l’ultima fase, in cui la sintesi non esclude raffinate e allusive, a tratti inquietanti, soluzioni espressive.

In mostra, precisa il curatore Franco Fanelli, sono sintetizzati «quarant’anni di lavoro in cui l’artista spaziò con estrema libertà su più opzioni. Per le acqueforti e le puntesecche con cui, l’artista esordì tra gli anni Cinquanta e Sessanta, si è non a torto citato il riferimento a Klee. Di certo la compresenza tra poesia e “ragione”, invocata e ricercata da Francesco Casorati, spiega il successivo percorso che si evolve negli anni Settanta verso un’affabulazione non naturalistica, nella quale emerge il magistrale impiego delle partiture “a piatto” e l’uso del segno come vettore scritturale». La mostra comprende due gipsografie, alcune matrici calcografiche e rarissime prove uniche: un materiale che consente finalmente al visitatore di penetrare nell’affascinante e complesso modus operandi dell’artista.

La dirigente dell’Istituto centrale per la grafica Maria Antonella Fusco afferma che « il Museo è in grado di gestire un ritmo di cinque – sei proposte per anno, tutte differenti e qualitativamente importanti. Il metodo seguito mi sembra quello dei cerchi nell’acqua: un allargamento all’infinito della conoscenza sulla grafica, in senso tecnico, cronologico, geografico».

In catalogo testi di Maria Antonella Fusco e di Franco Fanelli. Completano il volume gli apparati bio-bibliografici e una ricca antologia critica a cura di Cristina Valota.

Ingresso libero

Orari

lunedì – venerdì 9.00 – 19.00

sabato 9.00 – 14.00

Aperture domenicali 20 maggio per la Festa dei musei, 3 giugno e 1 luglio 9.00 – 14.00

 

TORINO, “CAMERA”: IN MOSTRA LE FOTO DEI FINALISTI DEL PRIX PICTET

Martedì 22 maggio, alle 11, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia (Via delle Rosine, 18 – Torino) presenta la mostra del Prix Pictet. Dal 23 maggio al 26 agosto saranno esposte a CAMERA le fotografie dei dodici finalisti del Prix Pictet, importante premio fotografico internazionale dedicato al tema della sostenibilità: Mandy Barker (Regno Unito); Saskia Groneberg (Germania); Beate Gütschow (Germania); Rinko Kawauchi (Giappone); Benny Lam (Hong Kong); Richard Mosse (Irlanda); Munem Wasif (Bangladesh), Sohei Nishino (Giappone), Sergey Ponomarev (Russia), Thomas Ruff (Germania), Michael Wolf (Germania), Pavel Wolberg (Russia). Alla conferenza sarà presente la fotografa Rinko Kawauchi.

 

 

 

TORTONA: LA NUOVA GIPSOTECA/LABORATORIO LUIGI AGHEMO

A Tortona, s’inaugura sabato 19 maggio, alle 17,30, la «Gipsoteca Luigi Aghemo e l’Aula didattica» in via Carcinara Ottone 12.

Si tratta di una significativa donazione di Graziella e Riccardo Dotti, eredi del Fondo Luigi Aghemo, alla Pinacoteca «Il Divisionismo» della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona.

Il «corpus» di opere che, conservato da sempre dalla pittrice Graziella Dotti a Pinerolo, trova ora una nuova e pregevole collocazione che mette in assoluta evidenza l’arte di Aghemo, nato a Torino il 20 dicembre del 1884 e morto a Pinerolo il 19 settembre del 1976.

Formatosi a Parigi presso il cesellatore Stiewnard, nel 1905 ha approfondito il proprio discorso artistico lavorando con Edoardo Rubino, mentre nel 1912 ha collaborato ai monumentali scenari in cartapesta di «Cartagine» per il celebre film muto «Cabiria» di Giovanni Pastrone.

Presente alle rassegne annuali del Circolo degli Artisti e della «Promotrice» al Valentino di Torino, alle mostre della Galleria Rege- Santiano di Pinerolo e l’antologica alla Pro Pinerolo, Aghemo ha realizzato il monumento ai Caduti di Robbio Lomellina (1921), con motivi liberty, il monumento ai Caduti di Santiago del Cile, il monumento della Maschera di Ferro e il Crocifisso per l’altare maggiore del Priorato di Torre Pellice.

E dal ritratto del senatore Agnelli a quello del Barone Ottavio Mazzonis, si delinea l’esperienza di Aghemo che si è sviluppata anche nell’ambito dell’arte funeraria.

Bronzi e gessi rappresentano, quindi, gli aspetti di un impegno costante, caratterizzato dall’armonia del modellato, dalla fresca vena narrativa di una scultura che annovera una serie di interessanti nudi femminili, di volti e figure sapientemente eseguite secondo una sensibile resa chiaroscurale, che ha fatto dire a Emilio Zanzi:«…bravo scultore…prove di una lenta e coscienziosa carriera di lavoratore instancabile e incontentabile…».

Vi è nelle sue sculture un valore plastico, una limpida espressione, una vitalità che emerge dalla forma che occupa lo spazio animandolo, evidente nelle opere della Collezione Civica d’Arte di Palazzo Vittone a Pinerolo, nell’impianto generale della sua personalissima e interiore ricerca tra immagine e spiritualità

 

                                       Angelo Mistrangelo

 

UNA SERATA CON I MEDICI SCRITTORI

In occasione del XXII Congresso Nazionale CIPOMO, una bussola per guidare l’oncologia verso nuovi inesplorati approdi, presieduto da Libero Ciuffreda, Oscar Bertetto e Mario Clerico, presidente onorario Cesare Bumma, che si è tenuto presso NH Hotel Collection a Torino (già Casa Gramsci), dal 10 al 12 maggio, sono state presentate nello «Spazio Letterario» poesie, racconti e riflessioni di medici scrittori.

Il comitato ristretto di lettura, con presidente Patrizia Valpiani, composto da Mario Botta, Cesare Bumma e Libero Ciuffreda, ha selezionato i testi di Incoronata Romaniello, Antonio Jirillo, Marina Schena, Gianmauro Numico, Fabrizio Artioli e Alberto Scanni che ha scritto:«La speranza è uno dei sentimenti «forti» della nostra vita». Mentre di Patrizia Valpiani è la poesia «Uragano»:«Improvviso e violento/ infuria l’uragano/ sul tuo campo di tulipani/ corpo di sangue e di carne». Nello spazio dedicato alla cultura figurativa in rapporto alla società e alle nuove istanze della comunicazione creativa, l’artista Ugo Nespolo ha esposto, nella relazione «L’Arte colora l’oncologia», gli aspetti e le correlazioni tra arte e scienza in questo nostro tempo. Di particolare interesse gli interventi dei musicisti Maria Elena Bovio, Sara Fioccardi, Maria Siracusa, Diego Borotti, Daniele Ciuffreda, Alberto Marsico, Camillo Nespolo, Daniele Pavignano e l’installazione di Rosita Cupertino intitolata «Chemiocreatico outside». (Angelo Mistrangelo)

 

 

ALBA: “DAL NULLA AL SOGNO. DADA E SURREALISMO” DAL 27 OTTOBRE

La mostra “”Dal nulla al sogno. Dada e Surrealismo dalla Collezione del Museo Boijmans Van Beuningen””, immaginata da Marco Vallora secondo una logica espositiva che riflette le suggestioni surrealiste, nel modo di presentare le opere e di concepire un’arte non più soltanto museale e assopita, si svolgerà alla Fondazione Ferrero di Alba, dal 27 ottobre 2018 al 25 febbraio 2019.

In una decina di sezioni, dai titoli avvincenti, come Il grado zero dell’arte Dada; Il Sogno, Eros, amour fou, trasgressione erotica; L’inconscio, il doppio, il perturbante; Arte e natura, la reinvenzione dell’uomo; Sade, Freud, Marx, muse inquietanti del vivere surreale; Esiste un’architettura surrealista? e così via… s’inseguono, in una sorta di corridoio-fantasma dell’immaginario fantastico d’avanguardia, opere di grandissimo livello ed impatto. Alcune anche ben riconoscibili, perché son diventate copertine di volumi, che abbiamo tutti cari, nelle nostre librerie (di Man Ray, Magritte, Dalí, Max Ernst, ecc.). I lavori dialogano tra loro, in sintonia o contrappunto, e seguono una progressione prevalentemente tematica con attenzione alla diacronia degli eventi. Rispecchiando alcune problematiche e alcuni temi che concorrono a distinguere la poetica nichilista del Dadaismo da quella più propositiva del Surrealismo: il caso, il brutto estetico, il sogno, l’inconscio, il rapporto con l’antico, il legame tra arte e ideologia.

Per chi ama davvero l’arte e predilige le sorprese raffinate, il promettente e ben conosciuto museo olandese Boijmans Van Beuningen di Rotterdam è una vera perla di museo collezionistico che espone vetri preziosi e pezzi rari di design, disegni antichi Dürer stampe di Goya, e prototipi di moda; rare opere italiane, gotiche, rinascimentali, settecentesche, da Beato Angelico a Jacopo del Sellaio, da Butinone a Francia, da Veronese e Tiziano, a Guardi e Piranesi. Ma anche, ovviamente, maestri fiamminghi, del valore di Van Eyck o Rembrandt, Bosch e Brueghel, Rubens e Van Dyck, la scuola dell’Aja, con Van Gogh e Toorop, e poi francesi, da Fragonard e Boucher a Monet, Degas, Cézanne, e ancora Picasso, Mondrian e Rothko, senza contare i contemporanei, da Nauman a Cattelan.

Assai importante la collezione di artisti dell’area delle avanguardie storiche, non soltanto cubisti e costruttivisti olandesi, ma soprattutto dadaisti e surrealisti, molti provenienti dalla selettiva collezione di Edward James (1907-1984), stravagante mecenate-collezionista, poeta e viaggiatore, che si divise tra la passione di Magritte e Dalí, diventando di quest’ultimo eccentrico mercante. Ad Alba vedremo La reproduction interdite (1937), suo celebre ritratto sdoppiato allo specchio, firmato da René Magritte, che si augurava potesse diventare suo mercante cosmopolita.

Sono molti, dunque, i capolavori che, avendo avuto finora una circolazione limitatissima, varcano oggi le frontiere e si danno appuntamento alla Fondazione Ferrero. Come spiega il curatore Marco Vallora: «In un meditato e articolato percorso, la Fondazione propone, per il suo biennale appuntamento con la grande arte, ad ottobre, una nuova mostra di ambito internazionale, originale e diversa dalle precedenti. Perché coinvolgerà libri, poesie, riviste, pamphlets di furente polemica reciproca, spezzoni di film, frammenti di musica, legati tutti ai due movimenti, lettere e manifesti, affiancati a tele e sculture innovative e spesso di rottura, di grande suggestione e rilevanza storica».

A differenza delle precedenti rassegne della Fondazione Ferrero, con capolavori di grande fascino spettacolare ma d’impianto monografico (di Casorati, Carrà, Morandi e Balla), questa mostra non si avvale soltanto di opere scenografiche come il trittico di grandi dimensioni (Paesaggio con fanciulla che salta la corda, 1936), o la bocca-divano di Mae West (conosciuta anche in repliche di design, ma qui presente in un singolare originale vintage d’epoca) di Salvador Dalí, o ancora le inquietanti ma suggestive tele misteriose di Magritte, ma anche di documenti rarissimi, provenienti dai caveaux insondati della biblioteca del Museo. Per accompagnare il percorso della mostra, con discrezione, eppure con una forza dirompente, utile a spiegare alcuni esiti estetici dei vari movimenti e dei sotto-gruppi, sottilmente in conflitto tra loro. Breton come è noto, è stato l’ inflessibile Pontefice autoritario del movimento surrealista, che a varie epoche, ha scomunicato i suoi pupilli e colleghi, da De Chirico a Cocteau, da Bataille ad Aragon, da Dalí a Queneau. Molti dei documenti provengono dalla sua stessa biblioteca, andata clamorosamente all’asta qualche anno fa. Talvolta ancora con le buste di invio, dediche o sottolineature d’autore. Fotografie, dunque, calendari, cartoline, volumi illustrati, riviste storiche con copertine di grande impatto grafico, firmate da artisti come Duchamp, Masson, Picasso, Ernst, ad esempio per l’originalissima rivista «Minotaure». A cui collaborano anche, con testi anticipatori e profetici, pensatori come Bataille, Lacan, l’etnologo e critico d’arte Michel Leiris, lo studioso dell’immaginario e del sogno Roger Caillois, politici come Naville, storici del cinema come Sadoul. In questo contesto, uno degli elementi più spettacolari in mostra sarà infatti la presenza di spezzoni o fotogrammi di film sperimentali ed anticipatori, di firme come Desnos, Dulac, Buñuel, René Clair, Eggeling, Richter. Senza dimenticare il fatto che Dalí realizzò delle sequenze esplicitamente richiestegli da Alfred Hitchcock e da Walt Disney.

Il titolo, che mette in gioco la parola-shock del “Nulla”, in realtà deve non solo stupire e intrigare, ma rispettare una delle convinzioni più radicali del Dadaismo. Che non soltanto punta tutto sul Caso e sul rifiuto dell’artista onnipotente e padrone della propria opera, ma si assoggetta alle leggi dell’azzardo e del gioco, e vuole in particolare perorare la causa della negazione dell’arte, il rifiuto del Bello museale, con i ready-made, il diniego dell’arte decorativa e rassicurante. L’opera d’arte, che quasi non è più opera e non è più nemmeno artistica, deve proporre inquietudini, malesseri e soprattutto interrogativi.

Dopo un tunnel introduttivo che accoglie e protegge i visitatori all’entrata (e che deve simulare una sorta di viaggio dentro il corpo umano e i meandri dell’inconscio, ma essere anche, non soltanto per i bambini, un treno-fantasma, in uno di quei luna park così cari agli artisti d’avanguardia, con luci, pubblicità, affiches, graffiti e fotografie di ricercati dalla giustizia, opera di Duchamp), ecco le opere dadaiste, che aprono la mostra. Sono quelle di Man Ray, fotografo alla moda e di moda, che spesso collabora a due mani con Duchamp. Collages astratti di Schwitters e sculture di Arp, oppure teleri bislacchi e provocatori del dandy spagnolo pariginizzato Picabia. Tele dai titoli spiazzanti come Vieni con me laggiù, Egoismo o Radio concerts. Che non sono belle in sé o ruffiane, come altre opere classiche e persino delle avanguardie, ma son giochi sfrontati con l’immaginario, esercizi di non-pittura e di anti-arte, e quindi in questo senso non vanno spiegate, ma vanno inquadrate in un contesto di rifiuto, sovversione e anarchia. Perché non si può dimenticare che Dadaismo e Surrealismo, pur diversi nei loro assunti, hanno matrici e influenze comuni, che vanno dalle idee politiche di Sade e Marx, a poeti come Rimbaud, Mallarmé, Poe, e il folle antagonista di Proust, Raymond Roussel, dandy, omosessuale, drogato anche di medicine, che muore, forse suicida, a Palermo, come evocato da un bel racconto-indagine di Leonardo Sciascia. Convinto di poter diventare famoso almeno quanto Verne, scrivendo folli pièces teatrali in rime arzigogolatissime, e romanzi-rebus, dalle chiavi cifrate, amatissimo da Perec e dal Nouveau Roman, da Duchamp e Giulio Paolini.

In mostra disegni preparatori e una tela spettacolare di Dalí, ispirata al libro di Roussel Nuove impressioni d’Africa. Altra opera assai significativa è invece il ritratto immaginario di Lautréamont di Man Ray. Immaginario, perché l’autore ottocentesco degli Chants de Maldoror, illustrati sia da Dalí che da Magritte, è un personaggio misterioso, che non si sa se sia nato a Montevideo, con il nome nobiliare di Isidore Ducasse, se sia realmente esistito, se non si tratti di un autore più celebre, sotto mentite spoglie. Infatti, sotto un mollettone da stiro (impacchettato come se fosse già un’opera di Christo), telone da inaugurazione di monumento, che non permette di capire quale personaggio sia omaggiato al di sotto, Man Ray ha occultato in realtà una macchina da cucire Singer (forse in onore a Winnaretta Singer, grande mecenate del movimento e dei film in mostra). Certo in ossequio a una ormai celebre affermazione di Lautréamont: «Bello come l’incontro fortuito di una macchina da cucire e un ombrello, su un tavolo da dissezione».

Mentre di Marcel Duchamp, grazie ai prestiti del Boijmans, c’è la possibilità assai rara di poter esporre insieme tre diverse Boîtes (La boîte verte, La boîte-en-valise, À l’infinitif) in cui a partire dagli anni Trenta Duchamp, che ha smesso di fare l’artista, ed è apparentemente diventato soltanto scacchista, rinchiude scandalosamente tutta la propria opera omnia, con l’intenzione polemica e sarcastica di distruggere l’idea dell’artista genio, sostituendo alla sede pomposa del Museo una semplice valigetta, pronta a seguire il suo nomadismo costituzionale e la sua caustica ironia corrosiva.

Nella sezione della mostra che si riferisce al Sogno c’è una sorta di ripartenza, dopo l’azzeramento e il rifiuto radicale dell’arte da parte dei dadaisti. Per questo la parola Sogno (che soprattutto con Dalí diventa anche incubo, privato e storico, dal momento che l’artista spagnolo, a differenza di Picasso e degli altri personaggi legati al partito e all’ideologia comunista, è assai compromesso con la dittatura franchista) significa libertà, levità aerea, ma anche introspezione e penetrazione nell’inconscio. Tutto questo si riflette nei quadri subacquei di Tanguy, nelle invenzioni visionarie di Brauner, nelle bambole sadomasochiste di Bellmer, nelle fotografie di Claude Cahun, nelle scatole delle ombre d’un poeta-artigiano liricissimo, come Joseph Cornell. Ma non è tutto.

 

MONASTERO BORMIDA, MOSTRA “SENTIERI PARALLELI”

 

REGIONE PIEMONTE: “ROERO”, MOSTRA FOTOGRAFICA SUI PAESAGGI DEL VINO, LE ROCCHE ED I CASTELLI

Nella Sala Mostre della Regione Piemonte, I paesaggi del vino, le rocche, gli alberi, i castelli, il lavoro e le tradizioni sono al centro della mostra fotografica “Roero”, che è stata inaugurata venerdì 11 maggio, nella Sala Mostre del Palazzo della Regione Piemonte, in piazza Castello 165. Sono 39 immagini di grande formato, per raccontare una zona piemontese di straordinaria bellezza paesaggistica. Patrocinata dalla Regione Piemonte, con il Consorzio Tutela Roero ed il Feasr, Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, la mostra celebra e valorizza un territorio il cui nome è stato inserito nel giugno 2014 nel Patrimonio dell’Umanità Unesco, insieme con Langhe e Monferrato. L’autore degli scatti fotografici, che rappresentano un emozionante affresco del Roero, è il fotografo Carlo Avataneo, già insegnante di Lettere, giornalista pubblicista e autore di libri. Autore di numerose mostre fotografiche, da 32 anni pubblica con successo un calendario dedicato a storia, arte, cultura, paesaggi del Piemonte. Nel 1999 è stato insignito del Premio “Giardini Hanbury” dal Grinzane Cavour. Il Roero, che si estende su 375 kmq con 75.000 abitanti ripartiti su 24 comuni, occupa l’estrema porzione nordorientale della provincia di Cuneo.

La mostra, ad ingresso gratuito, si potrà visitare tutti i giorni, da sabato 12 maggio a domenica 27 maggio, dalle ore 10 alle 18.

 

GRAZIELLA VOGHERA ESPONE A IMPERIA

La nuova stagione espositiva della torinese Graziella Voghera si apre nella Sala Mostre, in piazza de Amicis 7, della Biblioteca Civica «L. Lagorio», con la mostra «De la musique entre autre».

Nelle opere della Voghera il segno fissa un musicista, uno scorcio cittadino e il degradare delle colline, i viali alberati, le serate ai concerti. E la pittura diviene così occasione per raccontare un soggiorno al mare e il fascino dei porticcioli, dell’accensione della luce all’alba e dei silenzi sul far della sera.

Nei suoi quadri, nei disegni, negli acquerelli si avverte il senso di un dipingere dal tratto immediato, rapido, determinante nel delineare una natura morta, una composizione floreale e un giardino dinanzi al mare. E nella «Biblioteca Civica» le sue opere esprimono gli aspetti di una continua, limpida, piacevole misura narrativa, mentre si coglie l’essenza dell’alternarsi delle zone d’ombra e di luce, delle strade metropolitane e della campagna, delle vedute marine e dei grandi alberi. Un volto di ragazza, uno spartito musicale, una locandina trasformata in documento pittorico, appartengono alla stagione della Voghera, al fluire di una rappresentazione scandita da un colore limpido e luminoso, dalla freschezza degli azzurri e dai rossi, verdi, bruni e il nero della linea che definisce i fogli di grafica.

E in questa dimensione emergono le pagine di una sensibile scrittura, di un dialogo che unisce l’ambiente alla natura, un violinista a uno spartito musicale, in una sorta di vitale ricerca di una forma, di una figura e di un cromatismo acceso dalla luce

atmosferica.

                                             Angelo Mistrangelo

Imperia, Biblioteca Civica «L. Lagorio», in piazza de Amicis 7, orario: sino al 29 maggio dalle 15 alle 18,30, sabato e domenica chiuso.

 

 

 

PIEMONTE ARTE/ LIBRI

“ESTETICA E NARRAZIONE DEGLI SPAZI ESPOSITIVI”

Nel Salone d’Onore dell’ Accademia Albertina di Belle arti, in via Accademia Albertina 6 a Torino, mercoledì 16 maggio, alle ore 10, viene presentato il libro <Estetica e narrazione degli spazi espositivi>, a cura di Andrea Balzola, Liliana Iadeluca, Monica Saccomandi e Fabrizio Sibona, Edizioni Albertina Press. Intervengono, con gli autori del libro, Fiorenzo Alfieri, Salvo Bitonti,

Elena Martire, Ivana Sfredda, Alessia Zaia e il team di ZonArte Flavia Barbaro, Orietta Brombin, Mario Petriccione, Anna Pironti e Paola Zanini.

“ATTRAVERSO IL BLU”

Al Salone Internazionale del Libro di Torino, è stato presentato il catalogo della mostra <Attraverso il blu>, mamme e bimbi dell’ Ospedale Maria Vittoria, di Laura Valle, Prinp Editore. Interventi di Laura Valle, Valerio Fabio Alberti, Paolo Mussano, Silvana Nota e Dario Salani.