PIEMONTE ARTE: HOKUSAI, RIVOLI, BARD, ANANKE, BEDINO E FRANCO, GAIOTTO, OULX
HOKUSAI AL MAO: OTTO LIBRI DEL MAESTRO ESPOSTI NELLA GALLERIA GIAPPONESE DEL MUSEO D’ARTE ORIENTALE
Mercoledì 15 agosto 2018 ingresso al prezzo simbolico di 1 euro
MAO Museo d’Arte Orientale
via San Domenico 11 – Torino
Nella sezione giapponese del MAO Museo d’Arte Orientale, fino a domenica 21 ottobre 2018, il visitatore può ammirare otto libri illustrati, e-hon, che testimoniano diverse fasi dell’immensa produzione artistica del Maestro.
Katsushika Hokusai è stato uno dei più grandi artisti del Giappone. Nato nel 1760, divenne un autore produttivo e poliedrico anche nell’arte della xilografia, dove, oltre alle stampe policrome, è famoso per i tanti libri illustrati che realizzò con stili diversi. Le sue composizioni innovative e l’uso dei colori hanno molto influenzato non solo gli artisti giapponesi, ma anche quelli occidentali.
Nella prima delle due vetrine dedicate all’artista sono esposti volumi tratti da due serie della produzione più matura. I primi due compongono la serie Cento vedute del monte Fuji, Fugaku Hyakkei, e sono stati da molti considerati il capolavoro di Hokusai, in quanto felice connubio tra estro artistico e straordinaria abilità tecnica di incisione e stampa. Nonostante vi siano impiegati soltanto il grigio e il nero, le immagini paiono svelare una gamma di toni più ampia, frutto dell’eccezionale abilità dell’artista. La serie è un omaggio al Fuji, montagna sacra onnipresente nelle espressioni della quotidianità giapponese: in essa il monte accompagna sia l’alternarsi delle stagioni, sia le manifestazioni del divino. L’opera completa in tre volumi, due dei quali esposti, sono arrivati a noi in un contenitore di stoffa con la datazione “IX anno Meiji, I mese, XIV giorno”, corrispondente al 14 gennaio 1876. Una curiosità: sulla copertina si può vedere chiaramente il marchio “Olive Percival”, marchio che identifica la collezionista Olive May Graves Percival (1869-1945), scrittrice, fotografa e artista statunitense amante della cultura e dell’arte giapponesi. Nella stessa vetrina sono esposti anche due ristampe dell’ultimo quarto del XIX secolo della Trilogia illustrata di guerrieri – Guerrieri del Giappone e della Cina, E-hon Sakigake Sanhen – Wakan Ehon Sakigake, frutto di studi approfonditi sull’espressività del corpo e del volto. In questi volumi – considerati manuali di pittura dal Maestro nonostante la loro complessa ricerca tecnica – vi è una straordinaria resa della fluidità del movimento di guerrieri per nulla appesantiti dalle armature. La maestosità degli eroi attinge dagli stilemi delle stampe di attori kabuki, ma ciò che dà vita e contraddistingue i personaggi è la potenza dinamica dei gesti, resa possibile dalla piena maturità del tratto di Hokusai. I quattro libri esposti nella seconda vetrina appartengono a due serie diverse: in alto una raccolta di poesie cinesi del 1833, in basso una libera interpretazione della vita del Buddha storico Shakyamuni del 1845. Per la Selezione di poesie Tang illustrate, Toshisen Gahon, raccoglie e illustra una corposa selezione di composizioni cinesi di epoca Tang (VII-X sec.), che sono considerate al vertice della poesia classica in Asia Orientale. L’autore della selezione e dei commenti è Takai Ranzan (1762-1838), ma il pregio maggiore dell’opera risiede nel commento visivo scelto da Hokusai. Ovviamente non si tratta di un’ambientazione Tang filologicamente corretta, bensì di un contesto cinese genericamente considerato “classico”, con l’aggiunta di elementi della Cina e del Giappone contemporanei all’autore. Per testi dal contenuto serio come questo Egli predilige di solito un tratto accurato e minuzioso, con intenti naturalistici.
Ben più fantasiosa è la rappresentazione dell’ambiente indiano nella Storia illustrata della vita di Shakyamuni, Shaka Goichidaiki Zu’e, che Hokusai si è limitato a rendere con tratti che potessero essere considerati esotici dai suoi contemporanei. Il testo, scritto da Yamada Isai (1788-1846), si presenta come un’interpretazione romanzata della vita del principe indiano Siddharta Gautama, vissuto tra il VI e il V secolo a.C. e destinato a passare alla storia come il Buddha Shakyamuni. La libera interpretazione e l’ambientazione esotica del testo ben si prestavano alla fantasia di un artista poliedrico come Katsushika Hokusai, che illustrò la storia con 35 doppie pagine stampate.
L’ambiente indiano viene qui rivisitato in chiave nipponica, mescolando elementi figurativi della cultura di Hokusai con quelli di una assolutamente sconosciuta. Il risultato è un ibrido interessante, sovente con esiti caricaturali, di architetture “indiane” improbabili, elefanti inverosimili e altre fantasie, ma sempre caratterizzato da un tratto preciso ed estroso.
Mercoledì 15 agosto 2018
ingresso al prezzo simbolico di 1 euro per visitare le collezioni del Museo e aggiungendo 1 euro sarà possibile visitare la mostra Orienti. 7000 anni di arte asiatica dal Museo delle Civiltà di Roma.
AGOSTO AL CASTELLO DI RIVOLI
Durante l’estate, il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea è aperto e osserva i seguenti orari d’apertura: da martedì a venerdì ore 10 – 17, sabato e domenica ore 10 – 19.
In particolare, in occasione della festività di Ferragosto il Museo sarà aperto dalle ore 10 alle 19 e offrirà al pubblico la possibilità di visitare le mostre Metamorfosi – Lasciate che tutto vi accada e Giorgio de Chirico. Capolavori dalla Collezione di Francesco Federico Cerruti che, in considerazione del costante successo di pubblico, sarà prorogata al 4 novembre 2018.
Ad accogliere i visitatori anche il nuovo allestimento della Collezione Permanente che include l’opera dell’artista italiana Lara Favaretto (Treviso, 1973) LF 15.05, 2015, allestita nella Sala 10 al primo piano del Museo, che presenta un vecchio tavolo in legno dove i fori creati dai tarli sono stati chiusi con oro dall’artista. Nella Sala 19 al secondo piano l’allestimento di Die Verwandlung (La Metamorfosi), 2016, integra l’imponente installazione Mutterseelenallein (Solitudine), 1989-2009, tra i capolavori dell’artista tedesco Reinhard Mucha (Düsseldorf, 1950). Nella Sala 22 è collocata la monumentale scultura di Claes Oldenburg (Stoccolma, 1929) e Coosje van Bruggen (Groningen, 1942 – Los Angeles, 2009) Architectural Fragments (Frammenti architettonici), 1985, originariamente elementi di scena oltre che vere e proprie sculture utilizzate per la storica performance Il Corso del Coltello tenuta a Venezia nel 1985, mentre la Sala 24 ospita l’opera dell’artista polacca Goshka Macuga (Varsavia, 1967) Senza titolo – da P. Gallizio, 2006, costituita da sculture e fotografie in bianco e nero di Macuga e opere su carta di Pinot Gallizio. La successiva Sala 25 accoglie Primary Time (Tempo fondamentale), 1974, dell’artista olandese Bas Jan Ader (Winschoten, 1942 – Oceano Atlantico, 1975), video a colori incentrato sulle braccia dell’artista dedito a comporre e ricomporre in un vaso un bouquet di fiori dai colori primari.
Nella Sala 29 è invece presentata Panorama No. 5, 2016-2017, dell’artista cinese Liu Wei (Pechino, 1972), opera costituita da grandi quadri progettati digitalmente le cui linee di colore stratificate creano l’architettura di un paesaggio astratto.
Mercoledì 15 agosto sarà inoltre attivo il servizio navetta Rivoli Express che collega Piazza Castello a Torino, la Stazione di Porta Susa (Piazza XVIII Dicembre) e il Castello di Rivoli. Biglietto: 3 €
Il biglietto obliterato dà diritto all’ingresso ridotto al Museo.
Info e orari: www.castellodirivoli.org
FORTE DI BARD: DA BALLA A DALLA, STORIA DI UN’IMITAZIONE VISSUTA
Domenica 19 agosto, alle ore 21.00, Dario Ballantini, noto attore ed imitatore, porta in scena nella Piazza d’Armi della fortezza, Da Balla a Dalla. Storia di un’imitazione vissuta. Lo spettacolo è dedicato al suo rapporto con il celebre cantautore nel quale mescola ricordi, imitazioni, dipinti e aneddoti. Un omaggio che Ballantini rende all’amico e artista reinterpretando una parte della sua straordinaria produzione artistica. La serata è inserita nel cartellone Estate al Forte di Bard 2018.
BIGLIETTI
Biglietti: 8,00 euro
Già disponibili alle Biglietterie del Forte di Bard
Il titolo di ingresso include l’ingresso omaggio a scelta ad una delle mostre temporanee Henri Matisse o Henri Cartier-Bresson
ANANKE: UN CONVEGNO DI STUDI AL CENTRO CICOGNE DI RACCONIGI
Mitologia e società contemporanea si identificano nel Convegno «Ananke. La legge delle cose e l’adattamento», che si è tenuto il 30 giugno 2018 presso il «Centro Cicogne» di Racconigi, organizzato da Mario Abrate, presidente dell’Associazione Culturale Umanistica «All’ombra del Monviso», con i patrocinio della Città di Racconigi e la fattiva collaborazione di Valerio Oderda, Lorenza Vaschetti, Carlo Rista, Gabriele Abrate e Marisa
Antonacci. Un appuntamento, che ha visto la presenza di numerose relazioni sul tema «Ananke», rivisitato in tutte le sue sfaccettature: letterarie, artistiche, teologiche, concettuali, filosofiche, tecnologiche.
Un simposio di indubbio interesse, corredato da una serie di saggi pubblicati nel volume Elledi-Arti Grafiche, che si apre con un testo di Anna Cavallera incentrato sul dipinto «Il giardino di Valeria» eseguito dal pittore espressionista Carlo Sismonda (Racconigi 1929-2011) nel 1981.
Di Mario Abrate è, invece, la riflessione su «Ananke: quale futuro per la morte naturale?, che si inserisce, naturalmente, nel contesto di un discorso che annovera gli interventi di Vanna Pescatori, di Umberto Casale sul concetto di infinito, di Beppe Artuffo con la poesia «Occasioni»: «Sul tralcio di vite il suo graspo/ donerà quel che resta/ del frutto più dolce/ alle brume di ottobre».
L’ampia sequenza di lavori ha offerto spunti per un’indagine legata alle ricerche di Angela Michelis e Francesca Antonino, alla creatività e alla «necessità dell’arte» di Martina Corgnati, «Pinocchio» di Savino Roggia, i versi di Guido Turco e Joseph Carletto, Rocco Iannini, Enrico Cardesi, Fabrizio Dutto e il saggio di Ugo Volli «Un paradosso antico che ci interpella ancora».
E da «Blaise Pascal o dell’ombra del Dubbio sulla Fede» di Piero Flecchia, il «corpus» di studi su Ananke ha offerto testimonianze sull’importanza della digitalizzazione espressa da Luigi Pampana Biancheri, sulle esperienze di Paolo Mottana, Michele Leone, Renato Coda e Raffaele K. Salinari, in una sorta di continua analisi conoscitiva e introspettiva. Mentre si avverte nei versi del poeta greco Alceo il senso di una interiorità rivelata: «A voi è facile salvare i naviganti/da pietosa morte, saltando da lontano/sull’alto delle navi folte di rematori:/girando luminosi nell’avversa/notte intorno alle gomene, portate/luce alla nave nera».
Il senso della forza, della necessità di trovare una nuova e diversa identità, della volontà di combattere, appartiene ai versi di Alceo e, contemporaneamente, ad Ananke, la divinità che fece dire Simonide: «neanche gli dei combattono contro ananke».
Ananke è l’immagine guida di una riflessione che va oltre alla realtà attuale per unire destino e costrizione, fato e allegoria, in una sorta di momento rivelatore dell’inevitabile approdo alla morte.
Una riflessione che conduce al rapporto tra l’uomo e la divinità, il sogno onirico e la sconfitta, l’energia per rinascere e rinnovarsi e l’angoscia, in una scansione temporale misurata attraverso i gesti di una quotidianità reinterpretata. Ananke è, quindi, letteratura, logo, segnale, combattimento, punizione, riscatto mediante l’intervento di una forza superiore.
Una forza che affiora, pulsante e incisiva, dal pensiero, dalla meditazione, dall’incontro dell’artista con la propria segreta personalità, con una linea che annuncia un volto, un paesaggio della memoria, un corpo che «occupa» lo spazio, animandolo.
In tale angolazione, il gesto e il segno diventano i veri e insostituibili elementi per costruire, o ricostruire, un’immagine che travalica la realtà per raggiungere una metafisica entità figurale, misteriosa e affascinante, immersa in un’atmosfera percorsa dalla luce che esalta gli aspetti di un’arte capace di esprimere sentimenti, emozioni, eventi.
E il segno emerge dalla storia e ferma, per un attimo, il gesto, mentre ripropone il mito e la divinità Ananke. Ma il segno è anche istante determinante per affermare la parola significante di Arrigo Lora Totino o per fissare sulla pagina i versi di Edoardo Sanguineti, dedicati alla pittrice Carol Rama:
«Legano lingue: tronco, ad arte, gli arti,
Rovesciato fiorito, in arie fritte:
Ahi le scarpe, e gli spacchi, e i tacchi, e i parti
Morti, e i quartieri, e i cimiteri (e anello
Anfibio langue esangue), e i pacchi, e i sarti!».
(da «Politecnico», poesia «per Carol Rama», in «Mikrokosmos»,
Feltrinelli Editore, Milano, 2004).
POETICA DI DINO BEDINO E SEGNO DI FRANCESCO FRANCO
Il segno è, inoltre, ironia, gioco, intuizione, denuncia, incantamento e linguaggio affabulatorio, che rompe gli schemi consueti e consolidati e crea un singolare dialogo tra vita e morte, riconverte uno sguardo in sorriso e in quel «nevvero no» che il poeta visivo Dino Bedino (Torino 1929-1995) intercalava durante le lunghe e appassionate conversazioni sulla poesia, sulla pittura, sui luoghi dell’arte di una Torino intensamente vissuta e poeticamente rivisitata.
Insegnante di Lettere e di Francese, Dino Bedino è stato cofondatore della rivista letteraria «Ulisse», mentre a Parigi ha frequentato la Sorbona e realizzato i primi collages con i biglietti del metro e immagini prese da riviste. Nel 1974 ha esordito con una personale, curata da Aldo Passoni, alla Galleria Triade di Giorgio Ciam a Torino. In seguito, ha partecipato alla Quadriennale di Roma e alla XXVII Biennale di San Paolo del Brasile, nella sezione a cura di Mirella Bentivoglio.
I suoi collages, le lettere dell’alfabeto, il «poème pour les enfants», emergono da un personalissimo e intimo diario, che va dalla lettera «A» alla «Z» di una sua composizione al concettuale collage, realizzato in rilievo e letraset su cartoncino, e intitolato «Dans le Désert: L’arbre des méditations», e ancora a quel sottile e insinuante surrealismo evidente nel volumetto di poesie «Come un adieu sospeso» del 1989 (Edizioni El Bagatt, Bergamo).
Nella prefazione Giorgio Bàrberi Squarotti, poeta e docente di Letteratura Italiana all’Università di Torino, scomparso nel 2017, sottolinea: «Da un lato, Bedino indica la condizione proprio, oggi, di ogni parola già detta, anche di quella più alta della poesia, di essere precaria, fragile, ambigua, controvertibile, quasi, anzi, non più comprensibile appieno; e la citazione deformata, allora, vuole significarne il carattere d’insufficienza, che apre, dietro ciò che è stato detto, l’ansia della ricerca del senso, proprio per poter andare a vedere il segreto delle cose (…) Ma, dall’altro lato, Bedino tocca i termini inquietanti e assoluti del tragico, di cui, allora, l’ironia delle mistioni e dei collages di citazioni non è che la «pars destruens», composta come supremo e serissimo gioco di ricerca e d’indagine del senso».
E da questa sua struttura, delineata con rigore e precisione assoluta, emerge la poesia «Pensieri da Porto F.», con l’affettusa dedica «per Ada»:
Il mare calmo, i gabbiani
la nave al largo che aspetta-immobile e solenne…
Anche la vita è come un adieu sospeso
rinviato a quell’Ora, a quel Viaggio in cui non serve valigia o passeport
ma i segreti del cuore
la prière che è nel libro della memoria…
(oh non laciatela appassire…)».
Il segno-scrittura della poesia visiva, è riconducibile al rigore assoluto delle incisioni di Francesco Franco (Mondovì 1924- Torino 2018), al fluire della linea che fa affiorare dal fondo un paesaggio, un rilievo collinare, una veduta astratta, ma che rivela, in ogni caso, il fascino di un territorio della memoria impresso nella propria vicenda umana e culturale. Formatosi all’Accademia Albertina di Belle Arti, allievo di Felice Casorati per la pittura e di Marcello Boglione e Mario Calandri per l’incisione, Francesco Franco è stato titolare di cattedra della Scuola di Tecniche dell’Incisione della stessa Accademia. Presente alla Biennale di Venezia nel 1962, ha esposto al Metropolitan Museum di New York. La sua lunga e intensa attività, trova riscontro e collocazione all’interno dell’arte del Novecento, tanto che le sue opere sono in permanenza nelle collezioni della GAM Torino, Gabinetto delle Stampe degli Uffizi a Firenze e alla Calcografia Nazionale di Roma. Un segno, un itinerario nel monregalese, un ex-libris, assumono una indimenticabile valenza espressiva, una nitida scansione della linea che percorre lo spazio come una frase musicale o le parole di Eugenio Montale: «La ruota non s’arresta. Anche tu lo sapevi, luce-in-tenebra». E questa citazione, apre il saggio di Andreina Griseri («L’opera grafica di Francesco Franco. Gli itinerari nel monregalese», Lions Club Mondovì-Monregalese, XX di fondazione, 1990) intorno all’opera grafica di Franco: «…il segno trova un valore oltre il reale, e riesce a fare a meno del soggetto; basta a se stesso, sfronda e si inoltra, senza ombre portate, sul fondo bianco – medium protagonista e tessuto autografo ben riconoscibile -; e si inoltra oltre il disfacimento di ogni impasto possibile, oltre il visibile logorante che ci sommerge e che tanto attira i bulini moderni». In questa rilettura delle pagine incise, in questo ricondurre lo sguardo tra passato e presente, in questa rivisitazione della stagione di Franco si avverte – suggerisce ancora la Griseri – che «il profilo del segno è un limite aperto, richiamo misurato tra assonanze e fratture all’interno di una ragnatela luminosa che risalta come un chiodo fisso, un traguardo sul punto da evitare il ritratto mimetico delle cose e i loro nervi scoperti e gratuiti». E un frammento di identità, una linea tracciata a carboncino o il colore di un pastello, la geometria delle forme, determinano la nascita di lavori come «Le nuvole per Goethe» e «Absidi». La sua linea modulata annuncia un percorso in cui – ha detto Renzo Guasco – è possibile ravvisare «una così completa coincidenza tra invenzione formale e procedimento tecnico. L’invenzione (ma forse è meglio definirlo «progetto») è totalmente risolta nella tecnica, cioè in quello che, per gli scrittori, si definisce stile…» («Francesco Franco», in «L’arte di scrivere d’arte», Fogola Editore in Torino, 1995). Pittura e scrittura, maestria compositiva e parola significante, forza e mitologia, fanno parte dell’estensione del segno e del suo essere momento decisivo e irripetibile, racconto e storia e magia. E questa narrazione ci riconduce all’essenza dell’immagine, alla forma che si stempera sul foglio di carta, alla traccia impercettibile di una visione che dal cloisonnisme di Paul Gauguin alla gestualità di Hans Hartung, dalla grafia rabdomantica di Luigi Spazzapan al segno-scultura di Araldo Cavallera e all’intensità espressiva di Carlo Sismonda, diviene testimonianza di un’arte tesa a segnare questo nostro tempo, in continua trasformazione tra cultura visiva e filosofia, tecnologia avanzata e poetica dell’essere.
Angelo Mistrangelo
CAMPIGLIO DI SOANA: MOSTRA DI GIADA GAIOTTO
Campiglia di Soana. Il 17 agosto ore 21 inaugurazione della mostra di pittura di Giada Gaiotto e intervento degli esperti Bruno Bassano e Luca Giunti sul tema “Lupi:una convivenza possibile”.
Centro Visitatori Parco Gran Paradiso “Uomo e coltivi”
OULX, GLI APPUNTAMENTI DELLA SETTIMANA
FINO A MERCOLEDÌ 15
ESPOSIZIONE LAVORI DEGLI ALUNNI SCUOLA PRIMARIA OULX
Presso la Biblioteca Civica di Oulx sono esposti alcuni lavori degli alunni delle due classi IV della Scuola Primaria di Oulx in seguito al laboratorio “In Fondo al Mar” effettuato il 4 giugno.
ESPOSIZIONE DI PITTURA DI PAOLO PIRRONE
Esposizione di pittura di Paolo Pirrone alla Casa delle Culture, Via Vittorio Emanuele n.24 a Oulx.
Organizza l’Associazione Lat’Art e Casa delle Culture.
FINO A SABATO 18
MOSTRA DI IMMAGINI ANTICHE E ATTREZZI AGRICOLI OCCITANI
Mostra di immagini antiche e attrezzi agricoli occitani visitabile tutti i sabati dalle ore 16.30 alle 18.30 nello spazio espositivo temporaneo in Via Roma n.47, Oulx.
Organizzato dall’Associazione Volontari S.O.S. Onlus.
MADRETERRA – SCULTURA E FOTOGRAFIA DIALOGANO CON LA NATURA
Opere di Maurizio Perron e Gianalberto Righetti esposte presso la Torre Delfinale tutti i giorni dal 5 al 18 agosto, dalle 17 alle 20. A cura dell’Associazione Tino Aime.