PIEMONTE ARTE: CHIERI, MADAME REALI, GONIN, NOVARA, BERTINO, SPESSOT, LUCA’…
CHIERI, A PALAZZO OPESSO MOSTRA “OLTRE L’IMMAGINE”.
Sabato scorso è stata inaugurata presso la Galleria Palazzo Opesso, via San Giorgio 3 – Chieri – la mostra “OLTRE L’IMMAGINE”. Sono state esposte le opere di 61 artisti, fotografi, pittori ed artisti che hanno eseguito le loro opere con l’ausilio di altri materiali (es. Fiber Art).
La mostra, con ingresso libero, sarà aperta dal lunedì al venerdì ore 16-19 sabato e domenica ore 10,30-12,30 e 16-19 fino al 6 gennaio 2019. I visitatori potranno votare le cinque opere preferite, tra le sessantuno esposte. La mostra rientra nel programma del gemellaggio e scambi culturali con la città francese di Epinal.
Luciano Berruto
PALAZZO MADAMA: MOSTRA “MADAME REALI: CULTURA E POTERE DA PARIGI A TORINO”
Cristina di Francia e Giovanna Battista di Savoia Nemours (1619 – 1724)
Palazzo Madama – Sala Senato
Piazza Castello – Torino
20 dicembre 2018 – 6 maggio 2019
Mercoledì 19 dicembre 2018 | ore 11.00 conferenza stampa
ore 18.00 inaugurazione su invito
Apertura al pubblico da giovedì 20 dicembre 2018
La mostra Madame reali: cultura e potere da Parigi a Torino, voluta da Guido Curto, direttore di Palazzo Madama, e curata dalle conservatrici del museo Clelia Arnaldi di Balme e Maria Paola Ruffino, è allestita nella Sala del Senato dal 20 dicembre 2018 al 6 maggio 2019. Il percorso espositivo documenta la vita e le azioni di due donne che impressero un forte sviluppo alla società e alla cultura artistica nello stato sabaudo tra il 1600 e il 1700: Cristina di Francia (Parigi 1606 – Torino 1663) e Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours (Parigi 1644 – Torino 1724). Due figure emblematiche della storia europea, che esercitarono il loro potere declinato al femminile per affermare e difendere il proprio ruolo e l’autonomia del loro Stato. Le azioni politiche e le committenze artistiche delle Madame Reali testimoniano la ferma volontà di fare di Torino una città di livello internazionale, in grado di dialogare alla pari con Madrid, Parigi e Vienna.
Con oltre 120 opere, tra dipinti, oggetti d’arte, arredi, tessuti, gioielli, oreficerie, ceramiche, disegni e incisioni, la mostra ripercorre cronologicamente la biografia delle due Madame Reali e racconta le parentele che le collegano alle maggiori case regnanti europee, le loro azioni politiche e culturali, le scelte artistiche per le loro residenze, le feste sontuose, la moda e la devozione religiosa. L’allestimento, progettato dall’architetto Loredana Iacopino, sviluppa un itinerario attraverso la vita di corte in epoca barocca, negli stessi ambienti in cui vissero le due dame, documentate non solo nella loro immagine politica, ma anche in quella più intima e femminile.
Cristina di Francia, le feste, i luoghi delle delizie, la difesa del potere. Cristina, o più esattamente Chrestienne de France, figlia del re di Francia Enrico IV di Borbone e di Maria de’ Medici, giunge da Parigi a Torino nel 1619 all’età di tredici anni, sposa di Vittorio Amedeo I di Savoia. La introduce in mostra una splendida serie di ritratti che costituiscono il suo album di famiglia: i genitori, sovrani di Francia; il fratello Luigi XIII, salito al trono nel 1610 in seguito all’assassinio del padre, e la sorella Enrichetta Maria, regina d’Inghilterra sposa di Carlo I Stuart. Il matrimonio rinsalda l’alleanza tra il Piemonte e la Francia, rafforzando la posizione dei Savoia tra le Case reali d’Europa. Amante delle feste, Cristina conserva la tradizione spagnola dello zapato, celebrato nel giorno di San Nicola con lo scambio di ricchi regali, e inaugura a Torino la stagione dei balletti di corte su esempio di Parigi. Autore di molti testi e coreografie è il conte Filippo d’Aglié, presente in mostra in un bel ritratto inedito, cortigiano raffinato, suo amante e suo fedele consigliere. Cristina fa ampliare e arredare due residenze extra-urbane: il grandioso castello del Valentino, sul Po, e la Vigna in collina (ora nota come Villa Abegg). Accanto ai putti giocosi di Isidoro Bianchi, ai motti, agli emblemi eloquenti, tema onnipresente è la natura: dipinti di fiori e di animali, parati in cuoio, fiori ricamati e nature morte. Rimasta vedova nel 1637, Cristina assume la reggenza per il figlio minorenne Carlo Emanuele e si scontra con i Principi suoi cognati, Maurizio e Tommaso di Savoia-Carignano, sostenitori degli Spagnoli. La guerra civile si protrae fino al 1642, quando l’accordo fra la duchessa e i cognati è concluso col matrimonio della figlia Ludovica con lo zio, il Cardinal Maurizio. Cristina riesce a mantenere l’indipendenza del Ducato e del proprio potere, che cede formalmente al figlio nel 1648. Di fatto, però, continua a governare fino alla morte nel 1663.
Maria Giovanna Battista, donna di pace, di carità, di grandi committenze.
Nipote di Enrico IV di Francia, Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, dama di corte della regina di Francia, lascia nel 1665 la reggia di Luigi XIV, il Re Sole, per diventare duchessa di Savoia. Vedova dal 1675, Maria Giovanna Battista regge il ducato fino al 1684, quando il figlio Vittorio Amedeo II assume d’autorità il potere. Nel periodo in cui governa si trova a fronteggiare la povertà causata in Piemonte dalle grandi carestie degli anni 1677-1680 e, per aiutare i più bisognosi, istituisce un Monte di prestito e fonda anche l’ospedale di San Giovanni Battista nell’area di espansione orientale della città. Sviluppa nel contempo sogni ambiziosi con la speranza di vedere il figlio occupare il trono del Portogallo e promuove la nascita dell’Accademia di Belle Arti di Torino. Per la sua residenza, Palazzo Madama, Maria Giovanna Battista nel 1718 invita l’architetto messinese Filippo Juvarra a realizzare il grandioso scalone d’onore di Palazzo Madama, capolavoro assoluto del Barocco europeo.
La vita a palazzo: regole, piaceri, devozione.
La quotidianità della vita di palazzo è ben presente in mostra con dipinti e oggetti: le conversazioni tra le dame, la tavola, il momento della toeletta con i piccoli oggetti preziosi.
La vita a corte è retta da precisi cerimoniali e si svolge in ambienti che rispecchiano il gusto delle duchesse: mobili di gusto francese, come il tavolino in tartaruga e metallo pregiato del famoso ebanista Pierre Gole (Bergen, 1620 – Parigi, 1684), i piani di tavolo in stucco dipinto, i parati in “corame d’Olanda”, gli orologi.
Nel corso dei decenni, a Torino come in Europa, cresce sempre più l’attrazione per l’Oriente con gli arredi “alla China”, le porcellane e i prodotti delle colonie: il thè, il caffè, il cioccolato.
Nella vita delle Madame Reali la devozione religiosa ha una parte importante. Cristina promuove l’arrivo degli Ordini Carmelitani a Torino e Maria Giovanna Battista mantiene un proprio appartamento nel monastero delle Carmelitane. Le icone sacre e i libri di preghiera sono sempre fedeli compagni della brillante vita di corte.
La moda e l’immagine del potere.
Cristina afferma la moda del vestire alla francese, una scelta “politica” che si sostituisce al vestire alla spagnola degli anni di Carlo Emanuele I e di Caterina d’Austria. Mutano le silhouettes, la scelta dei tessuti e dei gioielli, con i diamanti e le perle come protagonisti, guidate dalle istruzioni dei ministri a Parigi. Di là vengono i guanti profumati e gli abiti ricamati dei duchi, che si portano con pizzi d’argento e d’oro, di Venezia e di Fiandra, sposando appieno la dilagante passione per il merletto. Come reggenti, Cristina e Maria Giovanna Battista sono ritratte in lutto, sviluppando un’immagine che dà sostegno alla loro autorità e al loro potere.
Le opere esposte provengono da prestiti di collezionisti privati e di importanti musei italiani e stranieri: il Polo Museale del Piemonte, con ritratti dalla quadreria del Castello di Racconigi, i Musei Reali di Torino, la Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, le Gallerie degli Uffizi e il Museo degli Argenti di Firenze, il Museo dei tessuti e il Museo di Belle Arti di Lione, il Museo del Rinascimento di Ecouen, il Museo del Prado di Madrid, il Museo del Castello di Versailles. Tra gli artisti in mostra: Anton Van Dyck, Frans Pourbus il giovane, Giovanna Garzoni, Francesco Cairo, Philibert Torret, Giovenale Boetto, Jacques Courtilleau, Charles Dauphin, Pierre Gole, Carlo Maratta, Maurizio Sacchetti, Filippo Juvarra.
PALAZZO LASCARIS: ENRICO E FRANCESCO GONIN, ARTISTI PIEMONTESI DELL’800
Dal 21 dicembre al 1° febbraio 2019: dipinti, acquerelli e stampe di due artisti di spicco dell’Ottocento piemontese.
“Omaggio a Gonin. Enrico e Francesco, artisti piemontesi dell’Ottocento” è il titolo della mostra che sarà visitabile a Palazzo Lascaris (via Alfieri 15 a Torino) dal 21 dicembre al 1° febbraio 2019, con ingresso gratuito dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 17. La mostra e il catalogo sono curati da Arabella Cifani e Franco Monetti e presentano dipinti, acquerelli e disegni inediti di Francesco Gonin e del fratello maggiore Enrico.
INAUGURAZIONE: GIOVEDì 20 DICEMBRE ORE 17 PALAZZO LASCARIS
Intervengono: Nino Boeti presidente del Consiglio regionale, Marco Marinello presidente associazione PICS – Giaveno, Piergiorgio Dragone storico dell’arte, Arabella Cifani curatrice.
L’esposizione, promossa dal Consiglio regionale con l’associazione Pics (Proprietari immobili del centro storico di Giaveno), presenta al pubblico le figure di due artisti piemontesi ottocenteschi, i fratelli Francesco (1808-1889) ed Enrico Gonin (1799-1870).
“Questa mostra è l’occasione – afferma il presidente del Consiglio regionale Nino Boeti – per apprezzare le opere di due artisti diventati famosi ben oltre i nostri confini e per riscoprire i luoghi della nostra regione che le ospitano e le vicende storiche del Piemonte alle quali fanno riferimento”.
Il pittore Francesco Gonin divenne noto a livello nazionale per aver illustrato l’edizione del 1840 dei Promessi Sposi (su richiesta dello stesso Manzoni): in mostra sono esposte due copie originali illustrate del romanzo. A Giaveno, buen retiro del pittore nei suoi ultimi anni, i disegni del Gonin per il capolavoro manzoniano sono diventati dipinti murali realizzati sulle case del borgo vecchio, a Palazzo Lascaris sono visibili alcuni pannelli illustrativi e filmati sul centro storico della cittadina.
Tra le opere presentate spicca il ritratto di Erminia Provana del Sabbione con il figlio (della nobildonna è esposta anche una treccia di capelli biondi), accanto ad altri ritratti di membri della nobiltà piemontese. Due grandi tele, commissionate dal duca di Genova a Francesco Gonin rappresentano la battaglia di Torino del 1706. Documenti e filmati gettano poi nuova luce sugli affreschi pressoché sconosciuti ideati dal pittore per l’eremo di Belmonte di Busca (Cuneo), mentre fra i prestiti eccellenti si segnala la tela che immortalò “L’eroica morte del Carabiniere a cavallo Giovanni Battista Scapaccino-1834”, proveniente dal museo storico dell’Arma dei Carabinieri di Roma. L’esposizione propone infine dodici acquerelli di proprietà del Consiglio regionale, realizzati dalla pittrice Adriana Costamagna sulle celebri incisioni raffiguranti i Castelli del Piemonte, opera di Enrico Gonin, fratello maggiore di Francesco e apprezzato vedutista. Nel catalogo, con l’introduzione di Piergiorgio Dragone, è riportata inoltre la trascrizione integrale delle Memorie manoscritte dallo stesso Francesco Gonin. La mostra di Palazzo Lascaris è stata anche l’occasione per approfondire gli studi storico artistici sugli affreschi realizzati da Francesco Gonin all’interno dell’attuale Palazzo della Prefettura di Torino in piazza Castello, affreschi che saranno eccezionalmente aperti al pubblico sabato 19 gennaio 2019.
NOVARA: DAI MACCHIAIOLI A SEGANTINI
Mostra dell’Ottocento in collezione al Castello di Novara
Continua fino al 24 febbraio 2019 presso il Castello Visconteo Sforzesco di Novara (Piazza Martiri della Libertà) la rassegna “Ottocento in collezione al Castello: dai Macchiaioli a Segantini”, organizzata dal Comune di Novara e dalla Fondazione Il Castello di Novara.
La rassegna ha il grande merito di richiamare l’attenzione sul patrimonio museale della Città di Novara e in particolare su quello della Galleria Giannoni che è parte fondamentale dello stesso patrimonio.
In mostra maestri dell’Ottocento con opere significative delle loro produzioni, opere che ci consentono di apprezzare direttamente e visivamente il mondo pittorico del XIX° secolo, nell’ambito del quale la scuola dei Macchiaioli ha un ruolo fondamentale.
Tra gli altri ricordiamo i lavori di Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Giovanni Fattori, Carlo Fornara, Domenico e Gerolamo Induno, Silvestro Lega, Angelo Morbelli, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Giovanni Segantini, Federico Zandomeneghi.
“Ottocento in collezione diventa quindi –come ha dichiarato l’assessore alla cultura Iodice- un’importante occasione di dialogo tra la collezione della Galleria d’Arte Moderna “Paolo e Adele Giannoni” e il Castello Visconteo Sforzesco, i due principali contenitori culturali della Città di Novara, che saranno protagonisti di iniziative di valorizzazione integrata per tutto il periodo della mostra: l’amministrazione ha infatti voluto promuovere e incentivare la conoscenza del Complesso monumentale del Broletto e della Galleria Giannoni, permettendo ai visitatori di “ Ottocento in collezione” di usufruire dell’ingresso gratuito per visitare la stessa Galleria, presentando il biglietto acquistato per la mostra al Castello.
Enzo De Paoli
L’ARTE DI BORGHI A NOVARA
Mostra di Enrica Borghi al Castello Visconteo Sforzesco di Novara
Continua fino al 3 febbraio 2019 la mostra dell’artista Enrica Borghi al Castello Visconteo Sforzesco di Novara, curata dalla critica Lorella Giudici
La rassegna presenta in alcuni spazi del Castello una attenta selezione delle opere più significative dell’artista, realizzate quasi sempre attraverso il riutilizzo di oggetti in plastica della società consumistica odierna (soprattutto bottiglie e sacchetti in plastica di vari colori), tecnica che richiama direttamente, nella sua visione concettuale, la cosiddetta “Arte povera”.
Partiamo quindi da “Grande soirée” realizzato con bottiglie, borse, plexiglass (1999), opera presente nella collezione del Museo di Nizza, passando ad alcuni lavori dal titolo “Venere”, opere con forma di plastica, unghie di plastica e panno da pavimento (1996/2000 e 1996/ 2017), quindi “Busto di donna” con forma di plastica e unghie di plastica (1995-1996), “Abito lilla” realizzato con bottiglie (2005), “Nebulosa” con plastiche che scendono con fili di nylon dall’alto (2001-2018), “Arazzo” e “Arazzo croce” con borse di plastica (2009 e 2018), “Mandala” con tappi di plastica (2000-2018), “Muro” con fogli di alluminio (2005),”Parrucca” con bottiglie (2010) e alcune grandi stampe a getto di inchiostro. Si tratta prevalentemente di busti e volti caratterizzati da materiali “originali” e di grandi installazioni, oltre a qualche opera a muro, come gli “arazzi” e le stampe.
L’artista ha creato e continua a creare una produzione che prende vita da materiali che la nostra società rifiuta e scarta. Viene data nuova vita, bellezza e forma a oggetti destinati alla discarica e all’oblio. Con la sua ricerca in continuo movimento ed espansione Enrica Borghi si manifesta come personalità eclettica e interessante dell’arte contemporanea, tale da cristallizzare l’anima del nostro vivere quotidiano, indagando i temi del riuso, dell’ambiente, del territorio e della femminilità. Ha infatti dichiarato: “Voglio raccontare la seduzione dei rifiuti, la possibilità alchemica della trasformazione”.
Nata a Macugnaga (Verbania), ai piedi del Monte Rosa, oggi vive e lavora sulle colline del lago d’Orta. Diplomata in scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, nel 1989, insegna materie plastiche presso il Liceo Artistico Casorati di Romagnano. Tra le numerose personali ha esposto al Castello di Rivoli (Torino), alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna, al MAMAC di Nizza, al Musée des Beaux Arts di Bordeauxe e all’Estorick Collection di Londra.
La mostra è organizzata dal Comune di Novara in collaborazione con il Castello di Novara.
Enzo De Paoli
MIIT TORINO: “FEDERICA BERTINO. EMOZIONI”
Dal 14 al 31 dicembre 2018
Il Museo MIIT di Torino, la rivista internazionale Italia Arte, la Galleria Folco presentano la mostra personale “Federica Bertino. Emozioni”, curata da Guido Folco, direttore del Museo MIIT.
“FEDERICA BERTINO. EMOZIONI” di Guido Folco
“Che la Vision Board, i desideri più o meno svelati di Federica Bertino spazino dalla ricerca interiore a quella della libertà dello spirito è immediatamente percepibile. La prima per l’intensità che caratterizza la pennellata, divenendo immagine emozionale, a volte riflessiva e intima, istintiva; la seconda grazie all’impulso sempre nuovo del segno, che crea forme immaginate, evocative, oltre i confini della realtà. E’ questa che muove in ogni caso l’arte di Federica Bertino, che la rende viva e attuale, quasi un reportage sulla società contemporanea, trafitta dal dolore e al contempo capace di sorprendenti positività, oppure sognante, lieve, fanciullesca, a svelare il lato più innocente dell’Uomo, della natura, degli animali. I suoi dipinti sono come racconti, favole narrate con poesia e leggerezza o con drammatica veemenza stilistica, sempre attenta a perlustrare le pieghe recondite dell’esistenza. Una pittura che è speranza, messaggio di pace e bellezza. In questa mostra al Museo MIIT di Torino si possono ammirare fotografie, acquerelli, dipinti di grandi dimensioni dedicati a varie tematiche, dalla guerra agli affetti più intimi, dai reportages di viaggi alla spiritualità. Le opere di Federica Bertino spaziano quindi per tecnica e tematica in ogni sfera del sentire umano, trasmettendo gioia e riflessione grazie ad un uso del colore e del segno altamente evocativo”.
Federica Bertino è nata a Torino il 25 giugno 1947. Si occupa di disegno, fotografia e pittura dal 1970. Ha realizzato dei testi grafici tra cui Genesis per la collana Il giro del sole, edizioni Mazzotta, a cura di Janus e Tempo segreto della collana DisegnoDiverso, edizioni Gribaudo, a cura di Paola Gribaudo.
I suoi disegni sono stati pubblicati sulle riviste The New York Review of Books, Tuttolibri de La Stampa, Noi Donne, Le donne ridono e Radure (Quaderno di materiale psichico), e sulla collana di libri Minima Poetica de Il Salotto, Galleria d’Arte di Como.
La sua raccolta Disegni per Nives 2009 ha vinto il primo premio del pubblico a Grafò 2010.
Come fotografa è stata presente: A Parigi al Palais de Tokyo, con Le Centre National de la Photographie; A Montpellier durante Les Journées de la Photo; A Nizza durante Le Septembre de la Photo; A Focales ’98, nell’ambito del Festival International de la Photographie; In Germania, al Photo Art di Heidelberg; A Torino, alla IV e V Biennale Internazionale di Fotografia; Ed ha collaborato ai Cahiers del Museo della Montagna di Torino.
Sue fotografie, pitture e disegni sono depositati in raccolte e collezioni presso Musei e Fondazioni nazionali ed internazionali. Come pittrice sono state numerose le sue esposizioni in spazi pubblici e privati, sia in Italia che all’estero, tra le quali: A New York, presso la Saphira & Ventura Gallery , la Agora Gallery e presso la scuola Guglielmo Marconi in occasione della Long Island Art Fair; A Stoccolma, presso la Gallery of Contemporary Art; a Bruges presso il Museo Oud Sint-Jan; a Stoccarda presso l’Istituto Italiano di Cultura e in molte altre sedi istituzionali.
“FEDERICA BERTINO. EMOZIONI”
DAL 14 AL 31 DICEMBRE 2018
ORARI: da martedì a sabato dalle 15.30 alle 19.30 su appuntamento domenica, lunedì e festivi per visite guidate, gruppi, scolaresche. MUSEO MIIT CORSO CAIROLI 4 – TORINO TEL. 011.8129776 – 334.3135903 – WWW.ITALIA-ARTE.IT / INFO@ITALIAARTE.IT INGRESSO LIBERO
MUSEO DEL CARCERE: MOSTRA 40ENNALE VITTIME DEL TERRORISMO #SIAMOLANOSTRAMEMORIA
Le Nuove – Museo del Carcere
Via Paolo Borsellino 3 Torino
La mostra #Siamolanostramemoria, inaugurata lo scorso 4 maggio alla presenza del Capo della Polizia Franco GABRIELLI entrerà nel percorso espositivo permanente del Museo del carcere delle Nuove di Torino, via Borsellino 3 in occasione della celebrazione 40°ennale della morte per mano terroristica delle Guardie di Pubblica Sicurezza Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu. “Le parole devono avere un peso ed un significato ed oggi dobbiamo ricordare chi stava da una parte e chi dall’altra… chi stava dalla parte giusta ed ha perduto la vita nel nome delle Istituzioni democratiche del Paese.” le parole del Capo della Polizia, Franco Gabrielli, racchiudono il senso del progetto espositivo. L’obiettivo è far conoscere, soprattutto alle giovani generazioni, i tragici avvenimenti che hanno segnato l’Italia degli anni di piombo con uno sguardo particolare a ciò che è accaduto nella lunga notte torinese degli anni ‘70.
Il racconto degli episodi che hanno portato alla morte degli uomini della Questura di Torino, Maresciallo di Pubblica Sicurezza Rosario Berardi e del Brigadiere di Pubblica Sicurezza Giuseppe Ciotta, Guardie di Pubblica Sicurezza Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu ,è affiancato dalle storie di giovani della società civile che hanno perso la vita non in funzione del ruolo che rivestivano ma vittime casuali di chi “uccideva in nome delle idee”. Il progetto espositivo, è costituita da 7 opere (4 fotografie, 2 opere pittoriche ed un’istallazione); è stato curato da Roberta Di Chiara, Sovrintende Capo Tecnico della Polizia di Stato e Presidente dell’Associazione Legal@rte, che è nata dalla volontà di un gruppo di appartenenti alla Polizia di Stato che hanno scelto di continuare a diffondere i principi di legalità anche al di fuori del contesto istituzionale, facendo leva su nuovi linguaggi. Il racconto parte dagli scatti realizzati dal fotografo Ivano Santoriello, Sovrintendente Capo della Polizia di Stato della Questura di Torino; immagini a colori sul luogo dell’attentato terroristico che puntano l’obbiettivo verso l’esterno, sulla Torino di oggi in una doppia visione: da una parte un omaggio dell’autore ai colleghi uccisi, dall’altra raccontare le ferite impresse sull’asfalto dei luoghi del quotidiano di cui si sconosce la tragedia consumata nel passato. Nel ritratto polittico dell’artista Diego Testolin, Sovrintendente Capo della Polizia di Stato del Gabinetto Interregionale della Polizia Scientifica di Padova, una rivisitazione in chiave pop-art delle immagini dei colleghi uccisi: la figura del mito quale idolo della società moderna. Un’installazione costituita da 2 ritratti fotografici realizzati dall’artista Elena Givone rievocheranno la memoria dei caduti, l’immagine fotografica su un fondo a specchio riflette e porta all’interno dell’istallazione lo spettatore stesso. L’opera pittorica «Disegni notturni» dell’artista Lia Claudio, Sovrintendente Capo T. della Polizia di Stato, Direzione Centrale degli Affari Generali della Polizia di Stato, introduce allo spaccato sulla lunga notte degli anni di piombo. Il percorso espositivo si conclude con 7 pannelli che raccontano una panoramica del terrorismo degli anni di piombo in Italia, con un focus particolare su Aldo Moro e su Torino (testi a cura di Simona Zecchi e Luca Guglielminetti) ed, in maniera più approfondita, la narrazione delle vicende degli studenti Roberto Crescenzio e Emanuele Iurilli e l’assalto alla Scuola di Amministrazione Aziendale di via Ventimiglia.
La mostra sarà visitabile al pubblico secondo le modalità di apertura del Museo del Carcere Le Nuove.
TORINO, GALLERIA FOGLIATO: MOSTRA DI LUCIANO SPESSOT
Sabato 15 dicembre 2018 alle ore 17,30 verrà inaugurata la mostra di LUCIANO SPESSOT che si protrarrà fino a sabato 19 gennaio 2019. Saranno presenti circa una sessantina di acrilici.
LUCIANO SPESSOT è nato a Sagrado (GO) nel luglio 1942. Ha compiuto gli studi artistici a Gorizia e successivamente a Venezia. Vive e lavora a Torino. Espone dal 1972.
Orario galleria 10-12,30 / 15,30-19 – chiusi lunedì e festivi – aperture straordinarie 16, 23 e 24 dicembre
G.A.M.: “AMPHISCULPTURE”
La GAM presenta in Sala Uno al piano terra il documentario Amphisculpture.
Gravemente danneggiata dal sisma dell’aprile 2009, L’Aquila è una città che sta vivendo, nonostante i molti problemi, un nuovo Rinascimento. Centinaia di cantieri di ricostruzione e ristrutturazione recuperano edifici e monumenti. Il cantiere della basilica di Santa Maria di Collemaggio, concluso da un anno e interamente finanziato da ENI, ha compreso anche l’adiacente Parco del Sole dove, oltre alla sistemazione e riqualificazione dell’area verde, è stata realizzata l’installazione di Land Art donata alla città dall’artista statunitense Beverly Pepper (nella foto). Amphisculpture, un grande anfiteatro all’aperto, utilizza la naturale pendenza del sito prescelto e la pietra usata per la sua costruzione è in gran parte la pietra rosa calcarea utilizzata nella costruzione della basilica.
Amphisculpture è, al tempo stesso, installazione di Land Art (la prima mai creata all’Aquila) e architettura, un’opera d’arte molto coraggiosa, soprattutto per il significato e per il rapporto che avrà con la città che la ospita. Un’idea artistica che, adattandosi al luogo con rispetto ed equilibrio, lo di-segna in forme nuove. Un’opera destinata a essere sia vista sia vissuta, un luogo d’incontro e condivisione: un teatro.
NICUS LUCA’: CAMPIONI
Presso la galleria davidepaludetto | artecontemporanea, Nicus Lucà espone una importante selezione dalla serie “campioni”. Immagini esemplari che provengono dalla storia dell’arte, dalla musica e dalla cultura popolare, riprodotte e realizzate attraverso l’uso di spilli su fondi monocromi. Se il Campione è il modello, il «n°1 nel suo genere», l’atto del campionare è piuttosto il processo che traduce l’inimitabilità in ripetizione. E se il primo termine può considerarsi la sintesi di una narrazione perfetta – l’episodio irraggiungibile e senza pari – il secondo rappresenta il passaggio semiotico da “il” a “un”. Il campione. Un campione.
Come per quel turbine logico che fa dell’accendino la sintesi miniata del fulmine, così l’immagine ritrovata è la riproduzione di un Olimpo osservato au pair, analizzato e proposto con energia sospesa, trattenuta. Un pantheon che si attesta, per definizione, in una dimensione di là dal comune.
Una formula che muove il tempo come moneta a due facce: da una parte compito gravoso da svolgere, dall’altra reiterazione di un incessante e regolare stupore.
Tra le note dolenti e i margini consolatori della scansione temporale, dunque, si nasconde e si affaccia Nicus Lucà, che ben conosce la musica, l’ossessione e la meraviglia di saper stare sul tempo. Con il piglio aggressivo e con la multipla perforazione sui quadri che Franco Fanelli definisce «perversamente piacevoli», Lucà sconvolge una sorta di barriera di sicurezza. Il muro di spilli diviene esso stesso perturbazione tattile e si è al sicuro solo al centro della stanza, in mezzo agli altri, in un clima di calore sottilmente sovversivo. Si pensi alle cantine romane, alle molteplici (e spesso perniciose) eredità di Carmelo Bene, al ’77, al sodalizio tra studenti e operai, e poi si pensi al punk torinese, al volto segnato e l’espressione strafottente di chi ha vissuto l’underground duro ma formidabile della città sabauda. Per Lucà dare una sistemazione analitica della realtà significa, tra le altre cose, riportare a terra ciò che è asceso alla sfera del mito. Il campione è dunque il modello, l’esemplare altissimo ma allo stesso tempo ottuso, in quanto irremovibilmente e tautologicamente pari soltanto a se stesso. Montagna da cui non poter ritirare lo sguardo. Impresa titanica e perdente.
Dice ancora Fanelli: «è problematico, per un italiano, essere “contemporaneo” e quindi essere artista senza firmare qualche gravosissima cambiale con l’Antico». Lucà usa parole più immediate: «Con gli spilli mi ero creato una bicicletta che poi ho dovuto pedalare. Ci vuole un’infinità di tempo e quando ho cominciato a farli ero praticamente nello stato opposto. Esuberante con il beat a mille.»
Lo scontro/incontro con il monumento culturale è però solo una parte del lavoro e non spiega del tutto lo sforzo impiegato per questa tale dimensione di pazienza. Bisogna considerare, infatti, una importante cifra di tessitura, di decorazione, di atto artigianale puro: la rievocazione di una via S. Donato brulicante, posta a cardine del suo immaginario come un mosaico cittadino da percorrere a piedi e mille volte al giorno. L’artista definisce infatti la sua infanzia a metà tra una bottega – ebanisti e seggiolai di famiglia – e uno zoo: «il merlo libero, le tortore, gli uccelli nel cortile e gli scoiattolini giapponesi». Una sorta di ordine dell’homo faber fatto di funzione, decorazione e natura. Oriente segreto edificato su un affluente della Dora che l’artista porta avanti come stile di vita.
«Tutto questo è come un rituale, un meccanismo zen. I Vedanta. Stare nel qui e ora». Mentre i corpi degli spilli creano ombreggiature, aloni, pendenze che riproducono le sfumature di un’intenzione pittorica viva e meticolosa, le teste degli spilli, invisibili all’occhio e poste nel retro del quadro, giacciono come arazzo nascosto, interiore. Spilli sotto la tela. Una testimonianza ritmica di gesti che durano un secondo. Un attimo. O come dicevano più precisamente i latini: un temporis punctum.
(testo a cura di Fabio Vito Lacertosa)