Asti- La solidarietà delle donne Cgil a Silvia Romano: “Il vero torto di Silvia e delle altre è di non essersene restate a casa”

Luisa Rasero della Consulta delle donne Cgil

Arriva dal Coordinamento Donne Cgil una riflessione forte sugli attacchi subiti da Silvia Romano al suo rientro in Italia, liberata dal sequestro in Kenya e poi in Somalia. Possono le donne svolgere liberamente il loro lavoro o devono ancora sottostare alla regola del “lavoro da uomini”?

Scrivono le Donne Cgil:

Cara Silvia, ben tornata a casa. Queste sono le parole che un paese civile dovrebbe rivolgere ad una connazionale, una giovane donna che svolgeva un lavoro di cooperazione a favore delle persone più deprivate, e che (anche) per questo ha subito un lunghissimo sequestro di persona. Ma, cara Silvia, tu hai un torto, sei una donna. E per una donna che viene sequestrata all’estero, non c’è mai stata pietà. Greta Ramelli e Vanessa Marzullo: “oche giulive”. Simona Perri e Simona Torretta: “le vispe Terese”. Giuliana Sgrena: epiteti irripetibili. Che fossero cooperanti o giornaliste, lo stigma contro le donne italiane sequestrate all’estero è sempre stato feroce.

Nel frattempo molto più numerosi sono stati gli italiani di sesso maschile sequestrati (giornalisti, contractors, cooperanti, sacerdoti), ma su di loro nessuna illazione su riscatti pagati, su dinamiche del sequestro, su presunte collusioni con i rapitori. Forse solo Ilaria Alpi si è salvata – e solamente in parte – da questo linciaggio: per forza, è morta. Per le italiane che sono sopravvissute ai sequestri, la persecuzione mediatica è assicurata. E se allarghiamo lo sguardo arriviamo agli insulti a Greta Thunberg, a Carola Rackete, a Laura Boldrini, a Cecile Kyieng e, persino la campionessa paralimpica Giusy Versace ha ricevuto la sua dose di cattiveria.

Allora diciamolo, il vero torto di Silvia e delle altre è di non essersene restate a casa, di essersela andata a cercare, di aver voluto fare un lavoro da uomini. Allora ci eravamo illuse? Le canzoni dai balconi, il nuovo senso di solidarietà che sembrava esser nato dalla pandemia, il sentirci tutte/i quante/i una comunità unita contro un nemico invisibile? Tutto finito? L’odio, la misoginia, il sessismo e il razzismo si riprendono il posto che avevano prima? Noi crediamo di no. Crediamo che una minoranza feroce, vigliacca e rumorosa offuschi la maggioranza di un un paese civile, che però stenta a far sentire la sua voce. Allora bisogna alzarla la voce, e dire f orte e chiaro che Silvia Romano svolgeva un lavoro di grande valore civile e sociale, che il dramma che ha vissuto è terribile e merita solo rispetto, che le sue scelte religiose sono garantite dalla nostra Costituzione che tutela la libertà di professione religiosa e non consente alcuna discriminazione in merito. Punto.

Mentre in Italia eravamo in quarantena e Silvia era ancora sequestrata, nelle mura domestiche nazionali si consumava il dramma delle donne confinate in casa con uomini violenti, ancora più esposte alla violenza per effetto del contenimento imposto dalla pandemia. Loro non se la sono andata a cercare, signori ‘leoni da tastiera’, signori ‘giornalisti’ (si fa per dire) di Libero e similari, signori odiatori di professione. Sono colpevoli anche loro come Silvia? Come tutte le donne che voi cordialmente odiate? Cara Silvia, prenditi tutto il tempo che ti serve per recuperare la salute e metabolizzare quanto hai vissuto. Chiudi le finestre, se vuoi, è comprensibile. Quando deciderai di aprirle, la nostra voce dovrà essere più forte di quella di un pugno di idioti, che traggono forza dall’anonimato dei nuovi media sociali in cui si sentono protetti. Noi invece parliamo a viso aperto e ci firmiamo”.