Coronavirus, l’azienda Lema di Montegrosso  si è riconvertita producendo mascherine

 In tempo di emergenza coronavirus, sono già parecchie le imprese di casa nostra del settore tessile che stanno dando il proprio contributo per il contenimento dell’epidemia, convertendo la produzione o parte di essa in quella di mascherine protettive.Tra queste realtà, figura anche la saccheria Lema srl, storica azienda di Montegrosso con sede in via della Guardia, che ha rivoluzionato il mondo dei sacchi, con la produzione di mascherine protettive innovative ed ecosostenibili e da novembre ne ha già vendute 180 mila. In poche settimane, a tempo di record, l’azienda di famiglia è stata stravolta, mettendo a disposizione i propri impianti montegrossesi e i propri dipendenti con un prodotto richiesto in tutta Europa e non solo. Da sola, con soli 12 dipendenti , sta valutando di assumere altro personale perché non possono trascurare la loro produzione tradizionale dei sacchi, che resta il loro business. Gli impianti sono automatici, ma sia nella conduzione dell’impianto che nell’imballaggio e nella verifica dei controlli di qualità dei manufatti è assolutamente  richiesta la figura del lavoratore. L’azienda,  nata nel 1989 dalle menti di Giuseppe Agnella e Lina Pafundi produce contenitori flessibili per lo stoccaggio e/o il trasporto di materiali allo stato solido di difficile contenimento quali granuli, polveri o, più semplicemente, prodotti sfusi di piccole dimensioni. Tali contenitori, correntemente denominati sacchi o big bags, risultano realizzati in tessuto di rafia di polipropilene con giunzioni eseguite per mezzo di cuciture a macchina e nascono dall’abilità manuale dei singoli operatori che tagliano e confezionano il tessuto, in un connubio armonico con le macchine cucitrici con cui assemblano il prodotto che può raggiungere portate fino a 2000 Kg. Lina Pafundi e Franco Arrobio, marito e moglie, insieme al socio Giampaolo Agnella, vicepresidente e direttore tecnico, sono fondatori e titolari della saccheria dagli anni ’90, che dopo la pandemia ha pensato di reinventare l’attività con la produzione di mascherine  chirurgighe realizzate in 3 strati di tessuto saldati ad alta energia. Per il momento hanno anche iniziato con le FPP2 in cinque strati che poi passano in un tunnel a raggi ultravioletti per eliminare eventuali cariche batteriche residue. Presto ci sarà anche la produzione delle FPP3, magari verso la fine del 2021, perché oltre ad essere dispositivi di protezione individuale per proteggersi dal covid, verranno anche usate all’interno delle aziende, laddove ci sia necessità di prevenire certi rischi per i lavoratori. E quindi non solo in questo periodo di pandemia, ma si prospetta un lavoro futuro.

Alessandra  Gallo