Covid e capacità di resilienza
Gli adolescenti e gli anziani sono coloro che in questo momento patiscono maggiormente la nuova condizione
Questo nuovo lockdown generalizzato in tutta la penisola italiana (fatta eccezione per la regione Sardegna che resta “zona bianca”), ha creato nella popolazione una situazione di ritorno all’anno zero (marzo 2020), dove tutti noi abbiamo sperimentato, credo per la prima volta, dopo moltissimi decenni di relativa serenità, il significato di “coprifuoco”. In quest’occasione il nemico è invisibile, subdolo, ma altamente invalidante e il suo “nuovo” nome è SARS- Cov-2. Gli adolescenti e gli anziani sono coloro che in questo momento patiscono maggiormente la nuova condizione, data da una de-socializzazione che ha caratteristiche nuove, quasi potenzialmente riconducibili a una solitudine intima, dove occorre riprogrammare la propria vita e gli affetti si possono ri-trovare attraverso l’etere, in una dimensione “lontana e talvolta fredda”. Il fattore positivo, paradossalmente, è proprio il web: grazie al supporto tecnologico di smartphone, tablet, PC, si può, tramite una connessione internet, intrattenerci con amici, parenti e questo ci permette di tamponare quel vuoto che altrimenti sarebbe troppo doloroso da sopportare in isolamento. Occorre però ricordare che l’essere umano ha una grande risorsa che può essere utilizzata in questi (e altri) momenti di sconforto: la resilienza.
Il termine, utilizzato in ambito psicologico, è preso in prestito dall’ambito metallurgico che definisce la capacità di un metallo di assorbire un urto senza rompersi. In pratica: “Mi piego ma non mi spezzo”. Se pensiamo alla storia del genere umano, troviamo, nel corso dei secoli, eventi drammatici che hanno caratterizzato epoche, dove l’uomo ne è sempre, sostanzialmente uscito. Guerre, carestie, pestilenze, catastrofi naturali, situazioni drammatiche, dove, come ci ha insegnato il padre della Psicoanalisi Freud nella battaglia tra morte (Thanatos) e vita (Eros), l’individuo è portato a lottare a favore di quest’ultima. Essere resiliente, quindi, assume un significato fondamentale, in modo particolare per definire la capacità di fronteggiare gli eventi traumatici in modo positivo, sapendo riorganizzare se stessi e la propria vita di fronte alle difficoltà che essa stessa ci mette di fronte.
Nelle tappe evolutive dello sviluppo cognitivo e motorio tanto care a Jean Piaget, osserviamo come il bambino durante il processo di verticalizzazione, cada, si rialzi e cada di nuovo, tentennando cercherà di fare qualche passo per poi ricadere, finché dopo vari tentativi il piccolo, assume la postura eretta e la deambulazione diventa stabile, pronto alla conquista del mondo. La forza e la volontà di “vincere” su queste difficoltà prevalgono, nonostante i vari fallimenti precedenti. Ecco che ognuno di noi ha la possibilità di agire e di decidere la migliore strategia da adottare per contrastare la noia, la solitudine e il vuoto esistenziale tipico di questo momento storico.
Costruire una buona rete di amicizie e, quindi, stabilire relazioni positive (sia di tipo familiare che extra), può aumentare la nostra resilienza, ovviamente non dobbiamo trascurare altri elementi fondamentali cioè il prendersi cura della propria persona volendosi bene, accogliendo quell’immagine sufficientemente buona di sé che a volte dimentichiamo di possedere, avendo fiducia nelle proprie abilità e sapendosi perdonare gli errori che inevitabilmente possiamo commettere nell’arco della vita. Infine prendere il meglio da una situazione “forzata”, vuole anche significare che da un problema si può creare un’opportunità e attraverso lo spirito di adattabilità, si può costruire quel momento positivo che un tempo poteva essere visto come assurdo e irrealizzabile. Come disse Stephen King … “If life gives you lemons, make yourself a lemonade”.
Dott.ssa Roberta Benedetta Casti, Psicologa e Chinesiologa