LE PERLE NERE DELLA MUSICA a cura di Edoardo FerratI
Leggende tenorili- Enrico Caruso (foto) nacque a Napoli nel quartiere di San Carlo all’Arena il 25 febbraio 1873: il padre Marcellino lavorava in fonderia, mentre la madre Anna Baldini era una donna delle pulizie. Dopo aver frequentato le scuole regolari, andò a lavorare con il padre: sotto pressioni della madre s’iscrisse a una scuola serale dove scoprì di essere portato al disegno. Nel frattempo crescevano in lui il talento e la voce. Nel 1888 la madre morì di tubercolosi e, poco tempo dopo, il padre si risposò con Maria Castaldi. Oltre a cantare nel coro della chiesa, Enrico fece alcune apparizioni in piccoli spettacoli teatrali che ben presto non gli bastarono più. La sua fortuna iniziò quando il baritono Eduardo Missiano sentendolo a cantare durante un funerale, si entusiasmò a tal punto da presentarlo al M. °Guglielmo Vergine, il quale accettò di impartigli le prime lezioni per migliorare la voce, pretendendo il 25% dei compensi dell’allievo con un contratto che sarebbe durato cinque anni. Ormai Caruso si sentiva pronto all’esordio: alla prima della Mignon di Thomas venne respinto, mentre l’esordio ufficiale reca la data 15 marzo 1896 nel ruolo protagonista de L’amico Francesco di Mario Morelli, percependo un compenso di 80 lire per quattro recite ridotte poi a sole due per scarsa affluenza di pubblico, nonostante una positiva critica. Iniziò a esibirsi nei teatri di Caserta, Napoli e Salerno. Sua prima apparizione all’estero al Cairo con uno stipendio di 600 lire per un mese di lavoro. Nel corso della stagione estiva a Livorno conobbe il soprano Anna Botti Giachetti, sposata e madre di un bambino: una relazione che durò undici anni e da cui nacquero due figli Rodolfo ed Enrico e finita con la fuga della Giachetti che venne condannata a tre mesi di reclusione e a 100 lire di multa. Nel dicembre 1900 cantò alla Scala in occasione della ripresa de La bohème diretta da Toscanini e poi nel 1901 al Teatro di San Carlo di Napoli. Qui la tradizione o la leggenda vogliono che nel corso de L’elisir d’amore abbia avuto la sua più grande delusione: forse l’emozione o l’insicurezza malcelata, non lo avrebbero fatto cantare al meglio. Amareggiato dalla reazione dei napoletani e dalla critica che gli indirizzò critiche, centrate sul fatto che la voce fosse portata al registro di baritono. Da allora non cantò mai più a Napoli e neppure in Italia, andando così incontro al successo negli Stati Uniti e nel Sudamerica. A novembre del 1903 sbarcò a New York dove al Metropolitan esordì con Rigoletto (Duca), bissando “La donna è mobile” .Fu l’inizio di una lunga e clamorosa serie di successi fino al 1920 per un totale di 863 recite di cui 200 dirette da Mahler e Toscanini.. Il 28 agosto 1918 sposò Dorothy Benjamin, soprano statunitense di buona famiglia, da cui ebbe una figlia, Gloria, scomparsa nel 1999. Nel 1909 Caruso venne operato a Milano per una laringite ipertrofica, intervento che sul momento non compromise la carriera, tanto da consentirgli di proseguire le sue tournées, senza trascurare le recite di beneficienza durante il periodo bellico. Dopo un lungo tour in Nord America la salute del tenore iniziò a peggiorare. L’11 dicembre ebbe una forte emorragia dalla gola che lo costrinse a sospendere la recita de I pagliacci dopo il primo atto. Il 24 dicembre1920 comparve per l’ultima volta al Metropolitan ne L’ebrea di Halevy. Solo il giorno di Natale gli venne diagnosticata una pleurite infetta. Operato il 30 dicembre al polmone sinistro, trascorse la convalescenza a Sorrento: non gli restavano che pochi mesi di vita. Scomparirà a quarantotto anni, ed è sepolto a Napoli in una cappella nel cimitero di Santa Maria del Pianto, a pochi metri dalla tomba di Antonio De Curtis, in arte Totò. Caruso fu il primo cantante a sfruttare con consapevolezza le potenzialità (anche remunerative) offerte dal disco: la sua fama è sopravvissuta per decenni e, ancor oggi, tra i grandi tenori, non si è in grado di stabilirne l’erede artistico. Le doti naturali del giovane tenore napoletano non apparivano indiscutibili: aveva voce poco potente, facile all’incrinatura sugli acuti e “corta” al punto che lo si sarebbe potuto scambiare per un baritono .Tuttavia, con l’applicazione da esigente autodidatta, giunse a sviluppare una personale tecnica vocale., utilizzando il colore scuro della voce come un elemento di virile seduzione. In un panorama vocale che, faticosamente, stava abbandonando certe leziosità ottocentesche. Erano assenti le voci idonee a rendere le violente passioni portate sulla scena dalla cosiddetta Giovane Scuola. Caruso fu la personalità giunta al momento giusto. Straordinario interprete di Canio, Andrea Chénier, Radames, Duca di Mantova,, Faust, Cavaradossi, Rodolfo, Alfredo ,Edgardo, don José, Pinkerton, Manrico esempi di grande profilo vocale. , Dopo l’operazione del 1909 alle corde vocali la voce diventò ancor più brunita, talune agilità gli furono precluse e sempre più problematico si rivelò l’uso della mezza voce. Nonostante, resta un interprete inarrivabile per impeto e passionalità, soprattutto nella canzone napoletana. Bisogna rammentare che i metodi di registrazione fonogenica del tempo, non consentivano di registrare la completa gamma vocale dell’interprete, i supporti avevano una durata massima di quattro minuti e mezzo e molti brani venivano accorciati per rispettare tale limite. L’etichetta Naxos, a ricordo del centenario della scomparsa, pubblica un box di 12 CD (8110703) contenente tutte le registrazioni effettuate da Caruso tra il 1908 e il 1920, per la Rca Victor e restaurate da Ward Marston. Un omaggio imprescindibile a un’artista storicizzato e ormai entrato nella leggenda
(4. fine)