PIEMONTE X CURIOSI – I segreti di Torino: gli “Infernotti”

In Piemonte gli infernotti sono molto conosciuti, ma pochi sanno che questi cunicoli si trovano anche a Torino

Gli “infernotti“, meglio noti come infernòt in piemontese, sono dei locali sotterranei scavati a mano. Erano fondamentalmente delle cantine utilizzate dagli agricoltori per conservare il vino e le provviste. La zona del Basso Monferrato Casalese è ricca di queste strutture grandi dai 5 ai 9 metri quadri. Sono molto conosciuti in Piemonte, ma non tutti sanno che anche Torino ospita numerosi infernotti.

Il loro uso era decisamente diverso dai locali sotterranei di campagna. Questi si trovavano sotto i palazzi e si diramavano lungo le strade circostanti. Alcuni di questi erano dei veri e propri passaggi segreti utilizzati in vari periodi storici come vie di fuga per i carbonari o per i criminali. Con il passare dei decenni, questi luoghi alimentarono numerose leggende come misteriose apparizioni ed episodi di magia. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, vennero utilizzati come rifugi antiaerei di fortuna. Gli infernotti più famosi a Torino si trovano in via delle Orfane, al Caffè del Progresso, presso il Cimitero San Pietro in Vincoli e sotto Palazzo Carignano. Questi furono tutti riconvertiti in luoghi culturali e locali mondani come teatri. Vi sono infine gli infernotti sotto Palazzo Saluzzo Paesana dov’è legata una storia di cronaca nera.

Il lato oscuro degli Infernotti

Il 12 gennaio del 1902, Veronica Zucca, la figlia dei titolari del Caffè Savoia, sito sull’omonima piazza, scomparve nel nulla. Dopo alcuni mesi, un falegname che stava effettuando alcuni lavori di manutenzione nei sotterranei scoprì un baule contenente i resti della bambina, uccisa con sedici coltellate. La Polizia sospettò di tutti, perfino del padre, ma non trovò alcun colpevole. Nel maggio del 1903 scomparve un’altra bambina, Teresina Demaria: aveva cinque anni e abitava in via della Consolata. In questo caso, la Polizia si recò subito presso gli infernotti del Palazzo e per fortuna trovarono la piccola ancora viva sotto alcuni stracci e pezzi di legno.

Fu allora che il portiere dello stabile si ricordò di aver affidato le chiavi del locale sotterraneo a uno spazzino che proprio in quel periodo si aggirava spesso in piazza Savoia. Si trattava di Giovanni Gioli, un uomo con gravi problemi psichiatrici. Durante il processo, rimase quasi sempre inebetito e con un inquietante ghigno sul volto. Non si difese mai dalle accuse. I cittadini chiesero la pena di morte, ma date le sue condizioni psichiche il Tribunale lo condannò a 25 anni di carcere. Morì dopo 8 anni di detenzione.

Marco Sergio Melano