CURIOSITA’ NOVARESI 24. L’ASSISTENZA SANITARIA NEI SECOLI: DAGLI OSPEDALI DI SAN MICHELE E DI SAN GIULIANO ALL’OSPEDALE MAGGIORE DELLA CARITA’

Ospedale Maggiore della Carità

Un tempo le strutture ospedaliere non erano istituzioni come oggi noi le conosciamo. Anticamente i malati erano collocati e curati in strutture adiacenti ai templi delle divinità che dovevano proteggere la salute e gestite dai sacerdoti di tali divinità. “Nelle antiche civiltà greca e romana -come ha scritto Roberto Moroni nel suo saggio sull’Ospedale Maggiore di Novara- i luoghi di ricovero riflettevano l’importanza data al concetto di ospitalità. In Grecia gli xenodochi erano luoghi destinati al ricovero degli stranieri in transito, mentre in Roma i valetudinaria erano gli edifici entro i quali le grandi famiglie patrizie raccoglievano liberti e schiavi”. Il valore dell’ospitalità muta con l’arrivo del Cristianesimo. L’ospitalità è infatti ora rivolta al pellegrino, al povero e al malato. Nascono così con spirito di carità cristiana, fin dal IV secolo, in particolare per iniziativa dei vescovi, i primi luoghi di ricovero. Gli ospedali più antichi erano chiamati xenocomi ed erano destinati soprattutto all’assistenza dei poveri e dei pellegrini. Più tardi nacquero i nosocomi per la cura delle persone malate povere. Sia gli xenocomi che i nosocomi erano diretti da sacerdoti o da chierici scelti dal vescovo, come era stato disposto dal concilio di Calcedonia del 451. Le caratteristiche “crociere” delle strutture, presenti nella progettazione ospedaliera fino al XIX secolo, richiamano il legame fra edificio religioso e assistenza della salute. Una prima assistenza ospitaliera a Novara è documentata negli atti del Sinodo di Milano nell’864. Alla fine dell’XI secolo strutture ospedaliere appaiono gestite da ordini religiosi che dedicano la loro attività ad ospitare e curare pellegrini e poveri malati. Sempre nell’età medievale nelle città nascono ospedali su iniziativa di corporazioni artigianali. Viene creato infatti in questo periodo a Novara l’Ospedale di San Giuliano, che sarà nel futuro legato alla storia del Paratico dei Calzolai.

Chiesa di S. Agabio

Nei secoli successivi si arrivò a una razionalizzazione e accorpamento delle strutture ospedaliere già presenti con la creazione di ospedali più grandi e meglio organizzati. Con la bolla di Sisto IV del 1482 vengono riunite le forme di assistenza ospedaliera nate nei secoli precedenti presenti a Novara.

Chi poteva permetterselo aveva un proprio medico per le cure sue e della famiglia, quindi l’ospedale di quei tempi serviva solo a chi, in quanto povero o comunque non sufficientemente ricco, non poteva pagare un medico privato. La cura degli ammalati negli ospedali era affidata alle congregazioni religiose e a chi per carità collaborava con esse.

L’esistenza di “veri e propri” ospedali a Novara è attestata con certezza da un documento del 1102 in cui si parla degli ospedali novaresi di Santa Maria, di San Giovanni di Gerusalemme, degli Infermi, di San Genesio, di San Michele e di Santa Marta. All’Ospedale di San Michele di Novara, che diventerà poi l’Ospedale Maggiore della Carità di corso Mazzini 18 (nella foto), furono uniti, prima con un decreto del 1479 di Bona di Savoia, sposa di Gian Galeazzo Maria Sforza, quindi con la bolla del 1482, tutti gli ospedali novaresi, fatta eccezione per quello di San Giuliano. Questo Ospedale di San Michele (così denominato dall’intitolazione della sua chiesa) restò fino al secolo XVII nel sobborgo di Sant’Agabio, fuori dalle mura cittadine, nei pressi dell’attuale chiesa parrocchiale (nella foto), come ricorda anche Sergio Martinelli nel suo saggio sulla carità e l’assistenza nel Novarese. Abbattuto per volere degli Spagnoli, così come molti altri edifici, per le ragioni di difesa delle fortificazioni della città, fu quindi ricostruito all’interno delle mura nell’area che ancora occupa attualmente, su progetto dell’architetto Soliva e il trasferimento definitivo avvenne nel 1643, assieme alla chiesa e alla parrocchia di San Michele.

Ex Ospedale San Giuliano

L’ospedale era inizialmente diretto e gestito dai frati e dalle suore dell’Ordine degli Umiliati. Quanto ai rapporti tra l’autorità ecclesiastica e quella laica, fino al secolo XV non abbiamo prove sicure della presenza laica accanto a quella religiosa e vescovile. Inizialmente la finalità dell’ospedale era soccorrere gli esposti, i poveri e i vecchi incurabili, solo più tardi si occupò della cura dei malati. Prima del 1200 i documenti ci dimostrano che l’ospedale soccorreva i poveri. Grazie a un testamento del 1321 scopriamo che vi si accoglievano i poveri incurabili, i cosiddetti cronici. Nella bolla di Sisto IV del 1482 già citata si specifica anche che era preciso compito dell’ospedale l’accoglienza e il mantenimento dei bambini esposti. La bolla del 1486 di Innocenzo VIII attesta chiaramente che l’istituzione doveva occuparsi di bambini esposti, infermi poveri, pellegrini ammalati e altre persone temporaneamente ricoverate. Solo alla fine del XVIII secolo finì quindi per prevalere l’assistenza ai malati.

Prima del XVI secolo emergono testimonianze dei seguenti ospedali oltre a quello di San Michele della Carità già ricordato: quelli di Sant’Antonio, di San Bartolomeo (pare fondato dai monaci di Santa Maria di Vallombrosa nel 1124) e di San Colombano che erano nel sobborgo di San Gaudenzio, quindi quello di Santa Maria Nuova e di San Gottardo (adibito ai lebbrosi) presso la porta Torino, di San Dionigi presso la porta Sempione e infine di San Giuliano.

Quest’ultimo, che sicuramente era già esistente nel 1225, pare fondato e amministrato inizialmente da più associazioni o confraternite novaresi, vedrà quindi una decisa prevalenza del Paratico dei Calzolai, tra tutti certamente il più generoso e attivo, in relazione al potere economico e politico acquisito in Città. In un editto di Francesco Sforza del 1452 si parla infatti di un controllo esercitato dai Calzolai “per privilegio e antichissima consuetudine”. Tale controllo continuò nei secoli della dominazione spagnola e anche dopo, visto che nel XVIII secolo il San Giuliano continua ad essere diretto dai delegati del Paratico dei Calzolai. Aumentano tra l’altro i suoi proventi grazie a nuovi lasciti e viene così incrementato il numero dei letti per i ricoverati che tuttavia nel 1778 non erano più di sedici. Con l’arrivo di Napoleone e delle armate francesi però tutte le pie istituzioni presenti in Città sono riunite in un’unica congregazione di carità, compreso l’Ospedale di San Giuliano. Questo, persa la sua autonomia nel 1810, la ricuperò, caduto Napoleone, nel 1817. Lo statuto dell’ospedale cambiò nel 1862. Gli amministratori divennero sette, di cui sei eletti dal Municipio ed uno, il presidente, nominato dal governo. Quattro dei sei di elezione municipale dovevano però essere scelti tra i membri della Corporazione dei Calzolai. Era così una amministrazione che si adeguava al corso dei tempi senza però disconoscere i meriti dell’antica corporazione, che infatti nell’amministrazione manteneva la maggioranza. Dal 1929 però l’Ospedale di san Giuliano viene fuso definitivamente con l’Ospedale Maggiore della Carità. Quanto alla sede nel 1554 pare che l’ospedale fosse collocato nell’isolato a Nord della piazza delle Erbe (oggi piazza Cesare Battisti), l’isolato dove i Calzolai avevano il loro edificio e le loro attività. All’inizio dell’Ottocento, come scrive Bianchini nella sua pubblicazione del 1828 sulle “cose rimarchevoli della città di Novara”, “era il detto Spedale ancor situato nell’interno della casa in questa città al civico n. 121; ma dopo la recente sua ripristinazione (quella del 1817, dopo la caduta di Napoleone) fu trasferito nell’antico ritiro delle Convertite”. All’inizio del Novecento l’Amministrazione considera però insufficienti gli spazi dell’ex convento delle Convertite. Viene quindi costruita la nuova sede di baluardo La Marmora 10 (nella foto), su progetto degli ingegneri Gardella e Martini di Milano, che poteva ospitare fino a 120 degenti e che fu inaugurata il 26 settembre 1905. Nella nuova sede l’Ospedale di San Giuliano restò autonomo fino al 1929 e quindi continuò a funzionare, anche dopo l’accorpamento nell’ospedale Maggiore della Carità, fino al 1979, mutando però da ospedale generale in struttura specializzata per l’ostetricia e la ginecologia. Ora è sede del Liceo delle Scienze Umane ed Economico Sociale “Contessa Tornielli Bellini”.

E’ il caso a questo punto di tornare a parlare diffusamente dell’antico Ospedale di San Michele, divenuto quindi Ospedale Maggiore della Carità. Nel 1478 il Comune di Novara aveva ottenuto dalla Duchessa Bona di Savoia l’autorizzazione a concentrare gli ospedali novaresi (fatta eccezione del San Giuliano) in quello di San Michele o della Carità, ma per arrivare ad una concentrazione effettiva era necessaria anche l’autorizzazione ecclesiastica, che aveva giurisdizione sulle opere pie. Tale autorizzazione arrivò appunto con la più volte citata Bolla di Sisto IV del 1482, che consentì infine la vera unificazione di tutte le strutture ospedaliere della Città (fatta eccezione, come detto, per l’Ospedale di san Giuliano).

La nuova amministrazione doveva essere conforme a quella già esistente dell’Ospedale della Carità, con un ministro e quattro rettori, che poi diventarono sei, nominati dal Comune di Novara. Il Papa Innocenzo VIII vi aggiunse anche i Conservatori apostolici, che avevano il compito di decidere le cause che interessavano l’ospedale e che continuarono a svolgere il loro ruolo fino al 1727.

Con il trasferimento dell’ospedale dal sobborgo di Sant’Agabio alla Città, avvenuto, come si è detto nel 1643, la nuova costruzione dell’architetto Soliva disponeva di un cortile centrale, ancora presente, e intorno allo stesso i locali per il ricovero dei malati e i relativi servizi: da una parte l’infermeria degli uomini con 30 letti, dall’altra l’infermeria delle donne e il brefotrofio col torno, verso la strada, dove venivano esposti i neonati e inoltre le camere per gli ammalati da curare separatamente e i locali per i servizi. Successivamente nuovi locali vennero aggiunti fra il 1770 e il 1789. Con l’arrivo dei Francesi, come si è già detto a proposito dell’Ospedale di San Giuliano, venne effettuata la concentrazione di tutte le opere pie in una unica congregazione e quindi anche l’Ospedale della Carità perse la sua autonomia, che ricuperò con il ritorno dei Savoia, ma con una difficile situazione finanziaria che gradualmente riuscì a risolvere, assumendo quindi nel XIX secolo un ruolo primario nel campo dell’assistenza, tale da convincere molti ricchi benefattori a sceglierlo come soggetto beneficiario di consistenti donazioni e lasciti. Fu così ampliata la sede e rinnovati i servizi fino a una riforma radicale edilizia che prese corpo con il progetto del noto architetto Antonelli, la cui esecuzione fu completata nel 1864. Ormai il concetto di ospedale era profondamente mutato e mentre prima era considerato il luogo ove curare i poveri ora era l’istituzione che doveva operare per la cura di ogni genere di malattia, anche con attività di prevenzione alle stesse malattie, utilizzando a questo scopo tutti i mezzi che la scienza metteva a disposizione. La riforma ospedaliera del 1929 fu di grande importanza per la riorganizzazione dell’istituzione; furono poi anche abbattuti vecchi fabbricati dell’ospedale per essere sostituiti da nuove strutture a padiglioni con progetto dell’ingegnere Redaelli. Si arrivò quindi al giorno d’oggi, quando l’Ospedale Maggiore della Carità (di cui fa parte anche il presidio ospedaliero di Galliate), che rappresenta per importanza il secondo ospedale del Piemonte, è in attesa della realizzazione a Novara della “Città della Salute”, dove nel futuro trasferirsi.

Enzo De Paoli