LE PERLE NERE DELLA MUSICA a cura di Edoardo Ferrati
Isaac Albéniz (1860-1909), foto
Iberia suite di dodici brani in quattro quaderni composti da tre pezzi ciascuno
1.Evocation, El Puerto, Fete Dieu in Seville
2.Rondea, Almeria, Triaria
3.El Albacin, El Polo, Lavapiés
4.Malaga, Jeret, Eritana
Nelson Goerner, pianoforte
Etichetta discografica. Alpha Classic 229 (CD)
Registrazione live: Ixelles (Bruxelles). Maison de la Radio Flagey, luglio 2021
Pubblicazione: ottobre 2022
Durata: 1h.22’41”
La serie Iberia, composta tra la fine del 1905 e l’inizio del 1908, è da sempre considerata il capolavoro del compositore catalano Albéniz. L’ispirazione è di ampio respiro e la scrittura pianistica elaborata presta attenzione alle scale modali rispetto a quelle tonali, ampio uso delle appoggiature mordenti, bruschi contrasti accordali, ricomposizione tematica e iterazioni irregolari. Qui Albèniz non si limita a riprodurre sulla tastiera quei caratteri che tra i musicisti spagnoli rappresentano quasi una ossessione della memoria, ossia la tecnica e i ritmi di danza scanditi dal canto popolare che Albéniz trasfigura per mano di una esilarante astrazione fantastica. Albéniz fu un bambino prodigio che esordì a quattro anni al teatro Romea di Barcellona. Superò l’esame di ammissione al conservatorio di Parigi, ma venne respinto per la troppo giovane età, migliore sorte non ebbe a quello di Madrid: Era un allievo ribelle, intollerante ai canoni accademici. Dopo una violenta discussione con il suo docente di pianoforte disse di non mettere mai più piede in un conservatorio, proseguendo così la sua formazione da autodidatta, Indisciplinato fuggì di casa, imbarcandosi per Porto Rico. Forse è leggenda mitizzata. Rintracciato dal padre Angel a Cuba, dove era ispettore doganale, il tredicenne Isaac avviò il suo tour nelle Americhe al seguito del padre. Intorno al 1875 tenne concerti negli Stati Uniti , Londra e Lipsia. Venne ammesso al conservatorio di quest’ultima città, poi in seguito a Bruxelles dove confermò la fama del suo carattere. Infine, allievo di Liszt a Weimar .Si calmò unendosi in matrimonio con l’allieva Rosina Jordana, Nel frattempo strinse conoscenza con Felipe Pedrell, fondatore della scuola nazionale spagnola che lo esortò a sviluppare il repertorio iberico. Dopo un apparente periodo di quiete familiare a Madrid fu di nuovo a Parigi dove prese residenza ufficiale a partire dal 1893, dopo un soggiorno di tre anni a Londra. Morì non ancora quarantottenne a Cambo-les-Bains in seguito a disturbi renali. Compose Iberia in un momento storico in cui i nuovi modelli dell’arte pianistica internazionale venivano dettati, oltre che in Russia da Rachmaninov e Skrjabin, proprio a Parigi con Images, le due serie di Estampes e da Ravel con Miroirs e la Sonatine che videro la luce negli anni 1904-05. Albéniz riuscì a maturare un proprio stile originale. Iberia è un’opera problematica, a cominciate dal titolo che sembrerebbe includere tutta la Spagna, mentre l’attenzione è indirizzata verso una sola regione, l’Andalusia. I dodici pezzi recano nomi di luoghi e città di questa regione. Albéniz attingeva in modo lirico al canto popolare (flamenco, jondo) e ai ritmi della danza popolare, senza mai copiarli da cui estraeva ispirazione per la sua fertile creatività. I brani della suite, esclusi Evocation, Fete-Dieu in Sevilla e Triaria spesso eseguiti come bis nei recitals pianistici, non sono mai entrati in modo stabile nel repertorio dei grandi pianisti. La discografia di questo capolavoro è breve e fino ad ora si regge sulle tre registrazioni integrali realizzate dalla spagnola Alicia De Larrocha, scomparsa nel 2009, in ben tre edizioni che videro l luce tra il 1955 e il 1980., oggi ritenute un punto di riferimento. Altre interpretazioni sono state firmate da interessanti pianisti, ma non del tutto persuasive affidate alla cretese Rena Kyriakon (Vox) al basco Ricardo Requejo (Claves), al quasi sconosciuto spagnolo Esteban Sanchéz Herrero (1960) e al canadese Marc André Hamelin (Hyperion.
Nelson Goerner, ascoltato la scorsa settimana al conservatorio torinese nel concerto del suo esordio nella stagione dell’Unione Musicale,, viene a capo con assoluta chiarezza delle arditezze imposte dalla scrittura pianistica grazie a un completo controllo delle nitide linee interne disegnate dal linguaggio di Albéniz. I pregi maggiori del pianista argentino vanno ricercati nella rara capacità di mettere in risalto le indubbie ascendenze che l’impressionismo pittorico francese esercitò sulla sensibilità intellettuale di Albeniz stesso. Quella di Gorner è un lettura densa e varia nei colori che provengono dalle linee della struttura, privilegiato dall’approccio di natura neoclassica che fu un po’ il canone interpretativo che si sviluppò lungo il corso di tutto il Novecento. Un’interpretazione davvero maiuscola, degna di competere con quelle storiche di Alicia De Larrocha