CURIOSITA’ NOVARESI 37. LE TESTIMONIANZE SUPERSTITI DELLA BATTAGLIA DELLA BICOCCA
Il 23 marzo 1849, data della nota battaglia di Novara, conosciuta come battaglia della Bicocca, dal nome del borgo accanto al quale è stata combattuta, è considerata l’atto conclusivo della prima guerra d’indipendenza d’Italia. La battaglia vide, come si sa, la sconfitta delle truppe piemontesi contro quelle austriache, vittoriose. Tuttavia, pur avendo avuto un esito nefasto, è ritenuta importante e per questo molto ricordata, poiché si ritiene abbia dato lo stimolo e la spinta per le successive guerre che portarono all’Unità d’Italia. Iniziò con quella, insomma, il percorso risorgimentale che caratterizzò, in Italia, la seconda parte del XIX secolo. Nella notte tra il 22 e 23 marzo 1849 l’esercito sardo di Carlo Alberto (Torino 1798- Oporto 1849, Re di Sardegna dal 27 aprile 1831 al 23 marzo 1849) schiera le proprie forze, mentre l’esercito austriaco di Radetzky si dirige da Mortara verso Novara. La battaglia inizia intorno alle 11,00 del mattino e prosegue per tutta la giornata con fasi alterne. Intorno alle 19,00 avviene però l’attacco decisivo austriaco alla Bicocca, che permette agli Austriaci di conquistarla avanzando su Novara. Il numero complessivo dei morti e dei feriti è stato stimato in circa 3/4000 per parte oltre a più di 2000 prigionieri piemontesi e circa 1500 austriaci. Al comando delle truppe piemontesi vi era il generale polacco Wojciech Chrzanowski, ma, come è emerso anche nel convegno del 27 marzo 1999 su “Novara crocevia del Risorgimento”, organizzato dal Comitato di Novara dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, e come testimoniato dai relativi atti, pubblicati dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Novara, le responsabilità della sconfitta non possono essere attribuite solo a Chrzanowski. Deve essere probabilmente considerata anche la cattiva preparazione militare degli ufficiali superiori piemontesi e le loro indecisioni, oltre forse al morale nei soldati semplici, forse non particolarmente convinti della necessità di quella guerra. Tuttavia, anche in relazione a quanto dichiarato al proposito, più tardi, dal generale Radetzky, la maggior parte dei soldati piemontesi si comportarono coraggiosamente, come si evince anche nella pubblicazione “La battaglia di Novara
del 23 marzo 1849” di Paolo Cirri, stampata dall’Associazione Amici del Parco della Battaglia nel 1999 (edizioni Interlinea). Anche l’approvvigionamento dell’esercito non aveva molto funzionato e, dopo la disfatta, la ritirata verso la Città pare sia stata accompagnata da episodi di saccheggio, forse perché l’accoglienza dei Novaresi alle truppe sabaude non sembra fosse stata particolarmente “calorosa”, almeno secondo alcune testimonianze, come si legge negli atti del convegno sopra citati, dando così l’impressione che gli abitanti non si sentissero molto coinvolti nella guerra. La data della battaglia è ricordata dall’omonima corso, arteria fondamentale della Città, che attraversa i quartieri di Porta Mortara e Bicocca. La denominazione di corso XXIII Marzo 1849 risale alla deliberazione consiliare del Comune di Novara del 7 luglio 1890. La battaglia e la sua data sono testimoniate però soprattutto da monumenti e diverse persistenze architettoniche. Anzitutto dobbiamo considerare la chiesa parrocchiale, tuttora esistente, della Bicocca (nella foto). Sono molti e famosi i dipinti e le incisioni litografiche che rappresentano le fasi della battaglia intorno alla chiesa, che furono sicuramente le più cruenti. L’edificio era stato edificato intorno alla metà del XVI secolo e quindi ampliato in forma barocca nel XVII secolo, divenendo quindi parrocchia nel 1658. La chiesa costituiva il centro strategico per le truppe piemontesi e ospitò moltissimi feriti e fu tra l’altro colpita da numerose palle di cannone. Poco più a sud della chiesa si trova la Piramide-Ossario (nella foto), di stile egiziano, di corso XXIII marzo, nell’area del campo della battaglia e dell’attuale omonimo Parco. La Piramide ospita i resti di molti caduti di entrambi gli eserciti, piemontesi e austriaci assieme, i cui nomi vennero incisi sulle otto facce di semi-obici. Il monumento progettato dall’architetto Luigi Broggi di Milano è una piramide di colore grigio scuro, di metri 12 di base e 16 di altezza, con una grande croce di marmo bianco, sul fronte principale, sopra la porta, oltre a un’aquila in bronzo, con due corone negli artigli. Nel 1910 all’interno della Piramide fu collocato un trittico scolpito da Carlo Cantoni con le effigi in bronzo di Carlo Alberto e dei generali Ettore Perrone e Giuseppe Passalacqua, protagonisti della storica giornata. La piramide viene aperta ogni anno nel giorno della
ricorrenza della battaglia e fu costruita fra il settembre 1878 e il marzo 1879. Fu inaugurata il 23 marzo 1879, con la presenza del magg. generale Paolo D’Oncieu De La Batie e dell’ufficiale Pietro Morelli, in rappresentanza del re.
La zona teatro della battaglia (il territorio che prosegue dal lato del torrente Agogna e da quello della valletta dell’Arbogna) è protetta dal 1992, come parco, da un vincolo della Regione Piemonte, che ne ha riconosciuto l’importanza storica e il rilievo paesaggistico e ambientale. Numerose le cascine a sud e in tutta l’area limitrofa, che furono convolte direttamente nei vari scontri della battaglia: la cascina Zaffarona o Porto franco, la cascina Farsà, la cascina Castellazzo, la cascina Galvagna, quindi Villa Monrepos-Visconti, che, per la collocazione strategica, fu molto contesa (forse proprio per questo il portale della Villa è spesso rappresentato nelle varie opere artistiche dedicate alla battaglia), la cascina Lugone (valletta dell’Arbogna) e la cascina Luogo Regio. Le palle di cannone ancora infisse nei muri della cascina Luogo Regio ancora oggi la fanno chiamare dai Novaresi doc “cassina dj bali” (cascina delle palle), denominazione peraltro condivisa con la vicina cascina Luogo Nuovo. Quindi ancora, per terminare l’elenco: la cascina Rasario (Villaggio Dalmazia), fino alla chiesa parrocchiale di S. Eustachio del Torrion Quartara, che costituiva un riparo per gli austriaci. Altro edificio fondamentale per ricordare quella fatidica giornata è certamente Palazzo Bellini, nel centro storico novarese, poi divenuto sede della Banca Popolare di Novara, dove la sera del 23 marzo, dopo la sconfitta, il re Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele. L’armistizio, con i relativi patti, però venne firmato il giorno dopo, in una cascina ancora esistente, nella frazione di Vignale, a nord di Novara, con un incontro tra il generalissimo Radetzky e il nuovo re Vittorio Emanuele II. Un’ultima testimonianza, a ricordo della battaglia, era costituita dal monumento a Carlo Alberto, poi demolito, che era in piazza del Rosario (oggi piazza Gramsci), dietro Palazzo Cabrino, in un piccolo cortile chiuso da cancellate. Le cancellate, realizzate su disegno di Pelagio Palagi (Bologna 1775-Torino 1860), già autore della cancellata di Palazzo Reale a Torino,
originariamente destinate alla Barriera Albertina, furono reimpiegate, insieme alle statue della Concordia e della Vigilanza (realizzate dallo scultore Giuseppe Argenti sempre per la Barriera Albertina), nella recinzione del monumento a Carlo Alberto, ma, dopo la sua demolizione avvenuta nel 1944, vennero riutilizzate all’entrata del Cimitero comunale, dove sono tuttora (nella foto una delle due statue). Chi volesse approfondire ulteriormente le proprie conoscenze sulla battaglia e sull’epoca in cui avvenne potrebbe certamente visitare il piccolo Museo, che è stato allestito con cimeli risorgimentali, presso alcuni locali del Castello Visconteo Sforzesco di Novara, in piazza Martiri (nella foto), dove peraltro ha sede anche la citata Associazione Amici del Parco della Battaglia. Nel Castello ritroviamo anche le tracce delle antiche casate Visconti e Sforza, come ci conferma lo stemma di queste importanti famiglie milanesi, che si trova sopra la porta d’ingresso al complesso. Presso questo Castello fu combattuta quella battaglia di Novara, che segnò la fine del potere degli Sforza, con la cattura, tra l’altro, di Ludovico Maria Sforza, eventi che portarono all’inizio di un lungo periodo di dominio straniero. Poiché da questo dominio straniero si giunse finalmente, nel XIX secolo, anche con la battaglia della Bicocca, al Risorgimento e all’unità nazionale dell’Italia, è forse emblematico che proprio qui abbia la sua sede il novarese Museo del Risorgimento.
Enzo De Paoli