CURIOSITA’ NOVARESI 59. CHI SI RICORDA DELL’ABBAZIA DI VALLOMBROSA?
Ricordata nei primi secoli della fondazione nel sobborgo di Sant’Agabio e ora collocata (quello che ne resta circondato da altri edifici) nel quartiere della Bicocca
Anche se ormai se n’è persa la memoria, poco distante dall’antica cinta muraria della città si trovava l’antica abbazia di San Bartolomeo di Vallombrosa, ricordata nei primi secoli della fondazione nel sobborgo di Sant’Agabio e ora collocata (quello che ne resta circondato da altri edifici) nel quartiere della Bicocca, in fondo alla via dell’Abbadia a destra (il nome della via non è casuale), arrivando da via Sforzesca, appena prima della ferrovia per Mortara e del relativo sottopassaggio (nella foto uno scorcio dei resti del complesso dell’abbazia). La congregazione vallombrosana è una comunità di monaci benedettini fondata da San Giovanni Gualberto nel 1039, che prende il nome della località di Vallombrosa (comune di Reggello, provincia di Firenze, diocesi di Fiesole); lì si trovava l’abbazia dove per opera di Giovanni Gualberto si costituì una comunità di Vallombrosani, che furono noti nei secoli per la lotta contro la simonia, contro la corruzione e la mondanità della Chiesa (nella foto stemma dell’Ordine di Vallombrosa).
Come ricordano Barlassina e Picconi nel loro volume “Le chiese di Novara” (Tipografia San Gaudenzio, Novara, 1933) non molto lontano dal convento di S. Nazzaro della Costa sorgeva appunto l’abbazia di San Bartolomeo di Vallombrosa: la chiesa di S. Bartolomeo dei padri dell’Ordine di S. Giovanni Gualberto con l’adiacente convento. Il vescovo Litifredo di Novara (vescovo dal 1122 al 1151) ottenne che venissero in Città dalla Toscana alcuni monaci provenienti da Vallombrosa, noti appunto per la loro opera di lotta ai vizi del concubinato e della simonia, allo scopo di riportare alla vera fede molti sacerdoti che non sembravano più esserne rappresentanti, così come rientrava invece nella loro missione.
Ecco la nota fatta dai Barlassina e Picconi sulla chiesa e l’abbazia: “Era assai lunga ed aveva la forma di croce latina. Le sorgeva accanto, dal lato di mezzogiorno, il convento, molto piccolo, ma bello, con giardino, costruito tra il 1124 e il 1128. Vi abitavano solamente tre o quattro religiosi col superiore che aveva il titolo di abate. Il convento fu illustrato dal nome di Alberto Magno che vi dimorò, di Amico Canobio che coprì la carica di abate, e pare anche di Agnolo Firenzuola”. Diamo qualche notizia di questi tre personaggi della storia dell’abbazia.
Alberto Magno (Lauingen 1206 – Colonia 1280) era un vescovo domenicano. E’ considerato il più grande filosofo e teologo tedesco del medioevo sia per la sua grande erudizione che per il suo impegno a livello logico-filosofico nel far coesistere fede e ragione, applicando la filosofia aristotelica al pensiero cristiano. Fu inoltre anche il maestro di San Tommaso d’Aquino. Coltivò assiduamente le scienze naturali; era un’autorità nella fisica, in geografia, in astronomia, mineralogia, chimica (alchimia), zoologia oltre che ovviamente nelle discipline filosofiche. Fu beatificato nel 1622 e venne proclamato santo da Papa Pio XI e acclamato ufficialmente dottore della chiesa nel 1931. La chiesa cattolica lo venera come santo protettore degli scienziati. La sua posizione ebbe un’importanza fondamentale soprattutto per la sua affermazione dell’armonia tra fede e filosofia/scienza, accolta poi dall’insegnamento ufficiale della Chiesa.
Agnolo Firenzuola, ovvero Michelangelo Gerolamo Giovannini da Firenzuola (Firenze 1493 – Prato 1543), è stato uno scrittore italiano cresciuto in un ambiente umanistico (nella foto un suo ritratto). Si trasferì a Roma nel 1518, dove divenne procuratore dell’Ordine vallombrosano presso la Curia e abate di Santa Prassede. Barlassina e Picconi lo citano per il fatto che, tra le sue novelle boccaccesche, ve ne è una ambientata a Novara, in cui si parla dei frati del convento di S. Nazzaro della Costa (descritto “poco fuor de la porta de sant’Agabio”) con cui spesso i Vallombrosani erano in lite. Nella novella che racconta le vicende di fra’ Cherubino, i frati di San
Nazzaro sono derisi in relazione ai cattivi rapporti con i Vallombrosani. E’ il caso di ricordare al proposito che fra’ Agnolo Firenzuola faceva appunto parte, guarda caso, proprio dell’Ordine di Vallombrosa… Tra le opere più importanti di Agnolo il libello “Discacciamento de le nuove lettere inutilmente aggiunte ne la lingua toscana” (1524), i “Ragionamenti” (1525) ispirato al “Decamerone” di Boccaccio, il volgarizzamento/rifacimento delle “Metamorfosi” di Apuleio, più note come “L’asino d’oro” e infine il “Dialogo delle bellezze delle donne intitolato Celso” (1541).
Quanto ad Amico Canobio (Novara 1532 – Isola di San Giulio 1592), ricordiamo che è stato un noto benefattore novarese (nella foto un suo ritratto in dipinto del XVI secolo). Dopo aver compiuto i primi studi presumibilmente a Novara con insegnanti privati, continuò poi, forse a Pavia, gli studi di diritto canonico e si avviò alla carriera degli uffici ecclesiastici. Il 1° novembre 1556 ricevette nel Palazzo Episcopale di Vigevano gli ordini minori. In tale data egli era già stato investito della commenda dell’abbazia di San Bartolomeo di Vallombrosa presso Novara, commenda che tenne per tutta la vita e che, se non era già dei Canobio, doveva comunque essergli stata assegnata durante l’Episcopato novarese del Cardinale Giovanni Morone (1552 – 1560). L’abate commendatario era uomo sicuro di sé, descritto spesso come incline alle liti, da cui per lo più usciva vittorioso. Fu accusato di simonia e per tale accusa dovette subire un processo davanti all’Arcivescovo di Milano S. Carlo Borromeo (1560 – 1584) dal quale pare però uscisse scagionato dalle accuse. Diverso esito ebbe invece la lite con i monaci della sua abbazia, anch’essa discussa davanti a S. Carlo. Alcuni di questi monaci, poiché chiesa e convento di Vallombrosa si trovavano in una località paludosa e malsana, in estate si trasferivano in altre terre dal clima più salubre come quelle di Bergamo, ove il loro ordine aveva delle proprietà. Amico Canobio, che era tenuto a versare le annualità a tutti i monaci, le rifiutò, per questo motivo, a coloro che non avevano risieduto nell’abbazia per l’intero anno. La sentenza
dell’Arcivescovo di Milano (1574-1576) fu questa volta contraria al Canobio a cui fu imposto di pagare le annualità arretrate. I monaci contestavano inoltre al commendatario il titolo di abate, facendo notare che abate del monastero non poteva essere che un monaco.
Anche dopo l’esperienza canobiana si verificarono altre polemiche con i commendatari sul pagamento della mensa dei monaci e la vita del monastero è continuata, pur con una comunità ridotta anche a due monaci e un converso, fino alla soppressione dello stesso monastero del 1792, a seguito del decreto del Regno di Sardegna e anche la chiesa, essendo estremamente umida, non fu più aperta.
L’abbazia di Vallombrosa fu quindi acquisita dal demanio e quindi venduta ai privati che la trasformarono anche in cascina. Alcuni resti sono però, come si è detto all’inizio, ancora visibili là dove un tempo si trovava l’intera struttura, in via dell’Abbadia, nel quartiere novarese della Bicocca. Della chiesa, con orientamento est-ovest, presumibilmente di stile tardo gotico quattrocentesco lombardo, resta una parte del muro del braccio sinistro del transetto con finestra monofora, mentre il complesso del convento è rintracciabile in maniera più consistente nell’insieme degli edifici attuali, così come ricordato anche da Giovanni Baselli nella sua pubblicazione “L’abbazia fantasma”, dedicata appunto all’abbazia (Omniserver, Novara, 2020).
Enzo De Paoli