Le carezze: segni di riconoscimento che ci migliorano la comunicazione

In questo articolo vi parlo di “carezze”. Le carezze sono state definite da Eric Berne, padre fondatore dell’Analisi Transazionale come segni di riconoscimento che diamo all’altro e che ci aspettiamo di ricevere dall’altro, come condizione fondamentale per riconoscere, valorizzare e considerare l’essere umano.

Prima di addentrarmi nel significato delle “carezze” però, voglio raccontarvi brevemente che cos’è l’Analisi Transazionale.

L’Analisi Transazionale, comunemente riconosciuta dagli “addetti ai lavori” (psicologi e psicoterapeuti) anche con il suo acronimo AT, è una teoria sullo sviluppo della personalità nata nella seconda metà del secolo scorso grazie proprio a Eric Berne che nei suoi studi ha definito, tra gli altri, il concetto di Okness, dove semplicemente si riconosce in ognuno di noi una parte positiva che merita di essere validata e aiutata a crescere nei migliori dei modi. Il considerare positivamente sé stessi e gli altri, permette di migliorare la nostra comunicazione interpersonale. Il concetto di “IO SONO OK; TU SEI OK” è la base di partenza per favorire un dialogo costruttivo, che può essere considerato un obiettivo della comunicazione.

La persona nella sua vita ha necessità di ricevere stimoli sia a livello fisico, sia mentale che emotivo. La fame di stimoli è fondamentale per la sopravvivenza dell’essere umano e Berne non a caso, cita a ricerca di Spitz dove egli evidenziava come bambini deprivati di stimolazioni fisiche e ambientali tendevano ad avere problemi emotivi e fisici dove alcuni di loro, addirittura non sopravvivevano.

La fame, o spinta di riconoscimento è direttamente collegata, in quanto il bambino ha necessità di essere toccato, accudito e la carezza è concretamente l’atto fisico che riceve il bambino e che gli permette di soddisfare questo suo bisogno. Da adulti questo bisogno si trasforma e Berne chiama, appunto “carezze”, (“Stroke” in inglese) le forme di riconoscimento che si possono veicolare attraverso il linguaggio verbale e non verbale attraverso una parola o una frase, un sorriso, uno sguardo, un cenno del capo e si distinguono in carezze interne ed esterne. Le prime sono quelle che abbiamo raccolto durante la nostra vita, quindi da fonti interne come da vecchi ricordi, nuove fantasie o idee e altre forme di auto stimolazione, oppure abbiamo le carezze da fonti inanimate esterne, come quelle che ci regala la natura, oppure ascoltare una musica che ci piace particolarmente, … le carezze interne, quindi, soddisfano i nostri bisogni, dunque la nostra fame di stimoli solitari e interiori. Queste carezze alleviano le tensioni, allontanano le situazioni nocive e in sostanza mantengono un equilibrio già raggiunto.

Le seconde, cioè le carezze esterne, si ricevono da un’altra persona e sono necessarie per il buon funzionamento della nostra psiche e soddisfano la maggior parte del nostro bisogno di stimolazioni. Le carezze poi possono essere condizionate e incondizionate. Quelle condizionate sono rivolte al fare, quelle incondizionate sono rivolte all’essere. L’esempio classico di una carezza condizionata può essere un complimento “oggi stai proprio bene!” mentre una carezza incondizionata “E’ bello stare insieme a te”. Le carezze poi, possono essere negative, quindi dolorose e possono trasmettere il messaggio “Tu non sei OK” e positive; quindi, sono piacevoli e tramettono il messaggio “Tu sei OK”. Infine, ci sono le “carezze artificiali”, Steiner le definisce “morbido di plastica” che non hanno un significato e si rifanno a complimenti “finti”. L’esempio classico “che bel cappellino che hai, lo hai preso al mercatino dell’usato?” e le carezze filtrate che sono carezze di svalutazione.

Claude Steiner, collaboratore di Berne e cultore dell’AT ha poi individuato cinque regole delle carezze:

  1. Dare carezze: questo è un buon atto, è OK, a volte però si portati a controllarsi per paura di scoprirsi, in quanto tendiamo a pensare che un complimento genuino possa farci percepire agli occhi dell’altro come vulnerabili, non a caso le frasi belle come “Mi manchi”, “Ho bisogno di te”, “Ti penso” possono fare paura e proprio per questo tendiamo a dirle con il contagocce. Ricordiamoci che, se si danno carezze è più facile riceverle, altro fattore non indifferente è che se siamo noi a darle per primi senza aspettarci che siano gli altri a darcele, avremo maggiore gratificazione quando le riceveremo, perché questo sicuramente accadrà come feedback naturale.
  2. Chiedere direttamente carezze: bisogna imparare a chiedere le carezze senza timore, non bisogna aspettarsi sempre dagli altri riconoscimenti senza chiederli, ovviamente non è bene nemmeno chiedere carezze per vie poco “sincere”, ad esempio ammalandosi o fingendo di stare male per avere considerazione.
  3. Rifiutare le carezze di plastica/negative: questo non vuol significare non accettare le critiche degli altri (ricordiamoci che le critiche possono essere anche costruttive), ma non subirle incondizionatamente e in modo passivo. Imparare a rifiutare le carezze negative evita la costruzione di dipendenza dall’altro come unico modo di ricercare il benessere e l’autovalutazione da ciò che gli altri ci rimandano.
  4. Accettare le carezze positive: è bello ricevere una carezza sincera e spontanea, molto spesso mettiamo dei filtri alle carezze che ci vengono donate … e le teniamo fuori. Pensateci … Una persona vi guarda e vi fa una carezza condizionata del tipo: “Oggi hai uno sguardo fantastico!”. Sicuramente è OK ma, appunto, si tende a sorvolare, a minimizzare rispondendo con qualche cenno di imbarazzo “Ehm, oh, davvero?” oppure “Mah grazie, in realtà sono stanchissima”, ecc., ecc. impariamo ad accettare queste carezze, gustiamocele fino in fondo.
  5. Accarezzarsi: le carezze interne sono importanti, impariamo a riconoscere il nostro valore, riconosciamo in noi gli aspetti positivi. Occorre però riconoscere anche gli aspetti negativi, quelli migliorabili per non cadere nell’egocentrismo/narcisismo.

Come abbiamo visto grazie all’AT noi possiamo migliorare la nostra vita, e la posizione “IO SONO OK; TU SEI OK” ci permette di rendere migliore il nostro modo di comunicare e ricordiamoci che anche la frase “Ciao come stai?” che noi crediamo banale, in realtà costituisce una prima forma di carezza che può cambiare la nostra giornata, migliorandola.

Dott.ssa Roberta Benedetta Casti,

Chinesiologa, Psicologa, specializzanda in Psicoterapia (indirizzo Analisi Transazionale)