CHIERI. SORPRESE DI ARTE E DI STORIA. Suffragio popolare per eleggere il Rettore-Parroco di San Giorgio

La  “capella sancti Georgii”, costruita attorno al Mille dal vescovo Landolfo in mezzo al “castrum”, cioè alla parte più alta della città, era una delle tante cappelle che dipendevano dalla Collegiata di Santa Maria della Scala.

Nei secoli successivi, probabilmente per iniziativa del Comune, la cappella venne ampliata e trasformata diventando una vera e propria chiesa.

A fungere da campanile, comunque, continuava la torre civica, che dal centro del “castrum” dominava la città.

Distrutta da un incendio nel 1412, la chiesa venne ricostruita nel 1441 per iniziativa e a spese della potente famiglia dei Villa.

Tutto considerato, è normale che sia il Vescovo, sia il Comune, sia la Collegiata, sia la famiglia Villa rivendicassero qualche diritto su di essa: cosa che in certi momenti, ad esempio quando si doveva designare un nuovo Rettore, poteva dar luogo a conflitti di competenza.

Forse fu per questo motivo che il 4 maggio 1359 il vescovo di Torino Tommaso di Savoia emise una sentenza con la quale attribuiva in esclusiva agli abitanti del luogo il diritto di eleggere il Rettore (e poi il Parroco). Risulta che solo la famiglia dei Villa all’inizio abbia protestato, ma poi anch’essa si rassegnò.

Tale privilegio è restato in auge fino all’inizio del XX secolo. Ad eleggere in nuovo Rettore erano i capi di casa delle famiglie residenti nel territorio dipendente dalla chiesa di San Giorgio, che si riunivano in assemblea in chiesa o, più tardi,  nei locali degli Asili Infantili.

Non erano ammesse ingerenze di ambienti ecclesiastici. Quando ce ne furono (e qualche volta ce ne furono) vennero bloccate con la massima decisione. Come il 14 maggio 1742, quando, in occasione dell’elezione del successore del defunto don Giorgio Romengo, il Capitolo dei Canonici  pretese di far partecipare un suo rappresentante. L’assemblea si ribellò, costringendo il Capitolo a desistere.

Alla presidenza dell’assemblea lungo il tempo si alternarono varie figure istituzionali: il Sindaco, oppure il Pretore, oppure il Giudice o, da ultimo, un rappresentante della Corte d’Appello. Il sacerdote eletto veniva scortato dal popolo alla Collegiata di Santa Maria della Scala, dove dal Capitolo dei Canonici, riunito in sacrestia in seduta plenaria, veniva investito ufficialmente del beneficio parrocchiale e riceveva il titolo di Canonico.

Fino all’inizio dell’Ottocento si poteva votare per qualsiasi sacerdote, anche forestiero: nel 1742, ad esempio, venne eletto un non chierese, don Lodovico Trinchiano. Ma a partire dal 1837 i votanti vennero invitati a privilegiare sacerdoti residenti nell’ambito della parrocchia o almeno della città  In quell’anno infatti, venne eletto il chierese don Giovanni Battista Tamagnone.

Nel Novecento la libertà di scelta venne molto limitata. Il nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato da papa Benedetto XV il 27 maggio 1917, imponeva che nei casi, come quello della chiesa di San Giorgio, in cui vigeva la tradizione dell’elezione popolare del Parroco, la scelta avvenisse esclusivamente fra una terna di candidati proposta dal Vescovo.

Fu in questo modo che l’8 dicembre 1918 venne eletto il successore del defunto don Giuseppe Olivero. La terna proposta dal Vescovo era formata dal teologo don Francesco Petitti, dal cappellano militare don Giuseppe Sona e da un terzo sacerdote. Prevalse don Francesco Petitti  con 390 voti. Don Giuseppe Sona si fermò a 304 voti. Il terzo candidato non ebbe voti. Quella fu anche l’ultima volta in cui l’elezione del Parroco avvenne a suffragio popolare.

Antonio Mignozzetti