CHIERI. SORPRESE DI ARTE E DI STORIA Il “mercato” degli arredi della distrutta chiesa di Sant’Andrea
La soppressione degli ordini religiosi, decretata dalle leggi napoleoniche all’inizio dell’Ottocento, mise in moto un grande traffico di opere d’arte e di arredi.
I “pezzi” più preziosi presero la strada della Francia. Gli altri alimentarono il commercio locale. Nei casi più fortunati andarono ad arredare chiese parrocchiali o cappelle di altri enti religiosi. Molti finirono nelle residenze di privati facoltosi, ad abbellirne stanze e corridoi.
Lo studioso chierese Giambattista Gioacchino Montù racconta che carri molti carichi di quadri e statue lasciarono Chieri per altre località.
Gli arredi della chiesa di Sant’Andrea non fecero eccezione.
È lungo l’elenco di opere d’arte e di mobili che da essa presero le direzioni più diverse, e che oggi ritroviamo in chiese ed edifici civili delle più svariate località. Il suo bellissimo coro ligneo, ad esempio (fig. 1), fu acquisito dalla chiesa del Carmine di Torino: si trattava di un capolavoro di intaglio eseguito nel 1700 da Carlo Sietto di Quarona Valsesia, in provincia di Vercelli (la data di esecuzione e il nome dell’autore erano incisi dietro gli stalli). Ma purtroppo quell’opera non esiste più, essendo stata distrutta dalle bombe che caddero su Torino l’8 agosto del 1943. L’organo fu venduto alla parrocchia di Andezeno per 400 lire (ma, sostiene il Montù, ne valeva almeno due o tremila). La pala dell’altar maggiore raffigurante l’Assunta, opera di Sebastiano Taricco, oggi fa bella mostra di sé nella chiesa parrocchiale di Piovà Massaia, insieme ad alcune balaustre di legno che ne ornano i matronei del presbiterio (fig. 2). Un quadro del Moncalvo con l’immagine di Sant’Andrea e sullo sfondo lo stemma dei Broglia, fu acquistato dal pittore Pietro Zalli (lo attesta il Montù, che dice di averlo visto con i suoi occhi nella camera dell’artista) che
insieme al figlio Filippo fu molto attivo in questa compravendita. Delle opere delle tre figlie monache del Taricco, ospiti del monastero, almeno due finirono a San Giorgio. Non si conosce il destino delle altre, e nemmeno quello del quadro di Claudio Francesco Beaumont di cui riferisce il Montù, raffigurante il Cristo in croce e l’Addolorata. Sempre dal Montù apprendiamo che un grande leggìo, forse appartenente al coro, prima fatto portare in municipio dal sindaco Goffi, dopo qualche anno (il 14 giugno 1840) da un altro sindaco, Balbiano, dietro suggerimento del teologo Ramello, fu donato alla chiesa di San Giorgio.
Finirono a San Giorgio anche un tabernacolo di legno e vari paramenti sacri.
Antonio Mignozzetti