Chieri. Quelli del Pronto Soccorso, sempre in prima linea

Uno staff al servizio della gente, pur tra tantissime difficoltà. Un paio di giorni tra i “ragazzi” in prima linea, visti da un esperto, fatiscente, obsoleto paziente di una certa età

 

Certo, più che una passione è una necessità, ma un antipatico, esigente inconveniente della vita che mi ha messo in carrozzina 38 anni fa, mi ha reso un habitué e quasi un fan del pronto soccorso dell’ospedale di Chieri.

Ogni tanto vado per un tagliando a qualche organo interno, ci si saluta, con qualche operatore siamo anche diventati amici.

Mentre attendo il mio turno, ora in chirurgia, ora in medicina, appollaiato sulla carrozzina sbircio quel che succede intorno.

Gente anziana sulle barelle, sofferenza, gemiti, ci si arrende all’aldilà. Parenti impreparati e disattenti brancolano tra le prospettive inattese ed inquietanti.

Qualcuno implora, qualcuno grida. Non si è preparati a stare male mai. Succede, lo so da troppi anni e forse ho imparato a dialogare con quella gente speciale che si fa in quattro per onorare un difficile mestiere.

Non ho paura di morire, non più ormai, mi secca di soffrire, ma convivo con il dolore e ogni volta che tocca me, cerco di tirar fuori il meglio della mia esperienza di paziente e osservare loro, gli operatori, l’emergenza, il primo impatto con la sanità: gente del pronto soccorso mentre è al lavoro.

Il “pronto” è pieno: tutto sotto controllo, scivola dagli occhi il grido d’aiuto dei pazienti. Loro lo sanno, è un esercito addestrato: medici, infermieri ed altri operatori del pronto soccorso di Chieri, accolgono, valutano, misurano e poi decidono il da farsi con una sommessa umanità che la gente che attende con fretta e con paura, non percepisce, mostrando spesso la vera essenza della propria anima.

Ogni volta li guardo, danno il meglio di sé al pronto soccorso, meritano molto rispetto.

Tocca a me la visita dal medico di turno: sangue, pressione, ossigenazione e in tutti questi anni mai un accenno di superficialità. Anzi, attenzione, persino curiosità.

Quindi si scende alla tana dei raggi X. Mi conoscono già e accolgono con empatia, ci son passato in tutte le salse, indagato con onde a banda cortissima, le ragazze vedono se sono “bello dentro” oppure no, ma al di fuori qualche battuta non manca mai.

E poi si torna in attesa del referto, ho il terrore del ricovero. Stavolta: un paio di valutazioni e sono dimesso. Respiro male, ho molti dolori, si sa, non guarirò, ma non manca chi dà una grossa mano, a me e a tanta altra gente.

Siete fortunati cittadini di questa piccola città, di certo provinciale, gestita da assessori poco attenti a quei pazienti che saltano sui dossi, feriti e doloranti stesi nelle ambulanze, ma questa è un’altra storia…

Grazie operatori del pronto soccorso. Ogni volta vi vedo lavorare, tra gratitudine e un gesto di arroganza, con equilibrio e professionalità. Ieri è caduto un paziente… Il linguaggio del corpo e del volto non mente… Preoccupazione e dispiacere, soccorso, velocità e poi: «come sta, si è fatto male, si calmi, come si sente».

Mi rattristano certe notizie di violenza contro il personale sanitario di questi presidi di frontiera che va difeso a oltranza.

È un triste segnale di un mondo che cambia e che sta perdendo i più elementari valori civici del rispetto, della gratitudine e della civiltà.

Carlo Mariano Sartoris