LE PERLE NERE DELLA MUSICA a cura di Edoardo Ferrati
Franco Faccio 1840-1891
Amleto, tragedia in quattro atti di Arrigo Boito (da Shakespeare)
Genova, Teatro Carlo Felice, 30 maggio 1865
Interpreti principali: Pavel Cernoch (Amleto), Paolo Sgura (Claudio), Julia Maria Dor (Ofelia), Edouard Tsang (Polonio), Dshamilija Kaiser (Gertrude), Paul Schweinster (Laerte)
Orchestra Sinfonica di Vienna e coro Filarmonico Praga diretti da Paolo Carignani
registrazione live, Festival di Bregenz (Austria), agosto 2016
edizione, dicembre 2019
etichetta, Naxos 8.660454-55 (2cd) durata 2h.14
Destino sfortunato quello dell’ Amleto di Franco Faccio. Scomparso dal repertorio, dopo le recita milanesi del 1871, a 150 anni di distanza, era prevista in tempi moderni la prima rappresentazione al Teatro Filarmonico di Verona, Le recite sono state sospese a causa della grave emergenza sanitaria in corso, e si spera vengano riprogrammate . L’interesse nei confronti del titolo è tornato a farsi vivo grazie alla mediazione di Anthony Barrese, direttore d’orchestra e compositore italo-americano, nonchè autore dell’edizione di uso in attesa di quella critica sull’autografo. Il veronese Franco Faccio (foto) studiò musica a Milano dove frequentò, in compagnia di Arrigo Boito, il celebre salotto della contessa Clara Maffei. Qui conobbe Verdi il quale all’inizio lo accolse in modo tiepido a causa dei diversi gusti musicali della tendenza wagneriana e antitradizionale Faccio, superata la diffidenza iniziale, sarà il direttore di fiducia dello stesso Verdi. Nel 1867 iniziò la carriera di direttore d’orchestra, dal 1871 fu attivo alla Scala dove diresse la prima italiana di Don Carlo cui seguirà, quella di Aida. Sempre sulla scena scaligera, propose le prime italiane de Il franco cacciatore di Weber e di Una vita per lo zar di Rimskij Korsakov; indi la prima assoluta de I Lituani di Ponchielli. Negli anni Sessanta e Ottanta, considerato il maggiore direttore italiano, promosse la produzione sinfonica euopea, mentre la rinascita della musica strumentale italiana ebbe Faccio tra i suoi promotori. Amleto, frutto della collaborazione di due artisti poco più che ventenni, si può considerare un tentativo di un nuovo percorso del melodramma italiano. Il testo di Shakespeare (che Boito conosceva nella traduzione di Carcano), è costruito su una drammaturgia “aperta” con mescolanza di generi, il rapporto del tragico con il grottesco e quasi con il comico. Nonostante i tagli imposti, Boito resta piuttosto fedele al dramma originale. Gli esiti sono di forte impasto drammatico (il finale verrà rivisto nel 1871, ma in questa incisione è quello del 1865). nell’ aletrnanza di linguaggio “alto” a momenti assai crudi e immediati (l’invettiva di Amleto indirizzata alla madre), situazioni “aperte” in modo musicale (i recitativi molto mobili in cui la lezione verdiana è palese e altre in cui la forma del numero chiuso si fa più stringente (a(aria di Gertrude, atto III). L’influenza di Verdi è manifesta in taluni preziosismi di scrittura e nello sviluppo del’arco melodico (duetto Ofelia-Amleto, il racconto dello spettro). Ma, è soprattutto nelle ampie sessioni di recitativo (monologo “Essere o non essere”) che dimostrano come Faccio abbia assiilato da Verdi il valore della cosiddetta “parola scenica” (Macbeth in primis) E se si assomano una facilità melodica non comune (marcia funebre, atto IV) e una capacità di realizzare ampie strutture drammatiche (finale secondo) si comprenderà come sia importante la riscoperta del titolo Per prima cosa va sottolineata la prova dell’eccellente Orchestra Sinfonica di Vienna guidata da Paolo Carignani con uno stacco di tempi improntati a un certo gusto teatrale. Buono il Coro Filarmonico di Praga. Il protagonista Pavel Cernoch è inquieto, a tratti violento e cantato in una lingua che ha poco da condividere con quella italiana (comune a tutto il cast). L’ Ofelia di Julia Maria Don, per nulla intimorita dall’impegnativo ruolo, ci fa intravedere un’artista dalle promettenti capacità. Dsamiljia Kaiser è una Gertrude resa in tutte le sue sfaccettature. Valido nelle singole professionalità il resto della compagnia. Qualità del suono complessivamente buona, nonostante i rumori scena che non inficiano più di tanto l’ascolto. Un’edizione non memorabile, ma degna di attenzione e interesse sia per la riscoperta di quest’opera, dimenticata in modo ingiusto e sia per l’esecuzione accettabile.