Il Covid-19 cambia tutto, ma non la solita scuola sbagliata.
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Geo localizzazione: Città di Savigliano, Provincia di Cuneo (detta anche provincia Granda), Regione Piemonte, Italia. Profondo nord. Istituto scolastico con indirizzi tecnici e professionali.
Giovedì 27 febbraio, dopo le vacanze di carnevale, la scuola avrebbe dovuto riaprire le porte, ma da quel momento sono rimaste chiuse. Informato, nel limite del possibile con la rete a disposizione, inizio a valutare, confrontandomi con alcune colleghe insegnanti, sul come attrezzarsi per affrontare questa situazione eccezionale. In autonomia, come “Dipartimento di grafica”, e quindi con discipline in gran parte sviluppabili soltanto in presenza e in progress, attiviamo le chat di classe, dapprima con tutti gli studenti e docenti e poi disciplinari, per non perderci nella marea di messaggi. Al contempo cerchiamo un portale che consenta di gestire “materiale pesante” per trasferire documenti progettuali e link a software opzionali, rispetto a quelli normalmente utilizzati. Una collega, con ottime competenze informatiche, ne individua uno, un cloud che consente di gestire fino a 50GB gratuitamente, è la nostra soluzione. Mercoledì 4 marzo è attivo, a questo punto la nostra didattica online è praticabile a tutti gli effetti. Non entro, inutilmente, nei dettagli funzionali di questa scelta. Altri canali virtuali sono utilizzati dai docenti della mia scuola, avvalendosi di molte risorse gratuite disponibili. La macchina della didattica a distanza è avviata in autonomia e con confronti continui. Domenica 8 marzo una nota del Ministero dell’Istruzione segnala e suggerisce comportamenti utili a gestire la situazione particolare. Passano alcuni giorni e sono attivate le procedure per accreditarsi sulla Google Suite che consente di gestire la scuola virtuale, con calendari, classi, videoconferenze etc., assolvendo in questo modo a tutte le necessità di una scuola.
Nel frattempo sul sito del ministero si avviano procedure e suggerimenti, in gran parte già individuate. La ministra il 2 marzo dichiara: “Dalla scuola grande capacità di reazione. Emergenza sia spinta per rilanciare l’innovazione didattica”. E nel tempo si sprecano gli elogi perché, sostanzialmente, l’arte di arrangiarsi è una prassi consolidata, nel corpo insegnante, di chi crede nel suo lavoro e nel ruolo socioculturale, nonostante sia stato svilito, abbandonato a se stesso, anche e non solo da colleghi impiegati della banalità del male, gli Eichmann che eseguono qualsiasi cosa senza preoccuparsene.
Bisognerà attendere il 26 marzo, con l’informativa al Senato della Repubblica, per sentire la nostra Ministra. Ascoltandola non apprendiamo nulla di utile, di ragionevole, che aggiunga qualcosa. Da una nota del 28 marzo apprendiamo che nel decreto legge Cura Italia, approvato dal governo è stato previsto lo stanziamento di 85 milioni per la didattica a distanza, 43,5 milioni per le pulizie straordinarie delle scuole. Poi nulla più. Interviste rilasciate a vari network e/o giornali. Fumose, con varie ipotesi sul proseguimento dell’anno scolastico, sugli esami; ovviamente sempre condite dall’elogio ai docenti, agli studenti e alle famiglie.
Ricorda tremendamente un’altra Ministra, quella che ascoltava tutti gli attori della scuola e noi, che eravamo e siamo gli attori, increduli per non essere mai stati messi in gioco. Evidentemente, per essere buoni senza aver perso il senso vitale dell’ironia, ci fu un difetto nella comunicazione: l’emittente e il destinatario non si sono mai incontrati, un rumore di fondo impedì la comunicazione.
Giovedì 4 aprile 2020, gli stanziamenti sono utilizzabili ed è quindi anche attivabile il supporto agli studenti sprovvisti di computer, pur nelle difficoltà si riesce ad affrontare anche questo problema.
Lavorare a distanza ha comportato un surplus di lavoro, l’incrociarsi di comunicazioni tra classi, allievi e docenti. Tutti connessi con i loro dispositivi personali, con le loro connessioni private, con i limiti immaginabili di un ritardo tecnologico di cui l’Italia soffre. Dopo un mese, il rodaggio della macchina è avviato e in qualche modo riesce a funzionare. Con aggiustamenti, riequilibri, calendarizzazioni funzionali, per evitare di sovrapporsi nelle attività didattiche. La creatività è stata al servizio, come sempre, di soluzioni praticabili, pragmatiche, efficaci. Ora, in qualche modo, la situazione inizia a normalizzarsi e, a parte gli allievi latitanti ricercati in vari modi, il lavoro online funziona.
Colpo di scena si fa per dire. Giovedì 2 aprile apprendiamo che la Ministra dichiara ai giornali: “Nessuno sarà bocciato o rimandato”. Il suo piano svelato, naturalmente con una pessima abitudine diventata prassi: prima si parla con i media e poi si legifera, capovolgendo le buone regole proprie delle Istituzioni.
Se tutto questo diventerà un decreto, rischieremo di vanificare, per Legge, tutto il lavoro fatto finora. Non ho parole, anche se c’era da aspettarselo da un Ministro con la cultura dell’1 vale 1.
Lunedì 6 aprile appare, nel tardo pomeriggio sui giornali, la bozza del Decreto (Misure urgenti per gli esami di Stato e la regolare valutazione dell’anno scolastico 2019/2020), dopo l’ennesima pseudo anticipazione televisiva della domenica. Nell’articolato nulla di nuovo, rispetto a quello espresso nelle dichiarazioni pubbliche. Certo è difficile legiferare in condizioni eccezionali, ma è anche vero che la coralità di un confronto, poteva assicurare altri risultati, che non pregiudicassero il lavoro fatto e soprattutto contemplassero principi meritocratici.
Del resto, non me lo sono dimenticato, questo è il paese dei condoni, che poi piange sui disastri ambientali conseguenti. Siamo il paese del vogliamoci bene per poi ignorarci alla prima occasione. Lo stesso paese che sfrutta i migranti, sequestrandoli sulle navi invece di regolarizzarli.
In questi giorni di clausura laica, nelle lunghe giornate di quotidianità costretta, leggere è diventato un’opportunità ancora maggiore, vedere film o ascoltare musica o videoconferenze. Poche sere fa, ascoltando il filosofo/psicanalista Umberto Galimberti, nella sua lunga dissertazione sul tema della “tecnica” (non scienza, si badi bene) cita Günther Anders (filosofo e scrittore tedesco, compagno di Hannah Arendt, esiliato negli Stati Uniti) ricordando un passo di uno dei suoi libri (“L’uomo antiquato” del 1956) definisce i campi di sterminio nazisti “un teatrino di provincia rispetto all’età della tecnica”, ed è tutto dire, ora che siamo totalmente immersi in quella dimensione. Questa considerazione può apparire fuori luogo ma così non è, dal mio punto di vista. Quella che Galimberti ha definito l’età della tecnica, analizzata in numerosi saggi, è ora il tempo in cui viviamo. La Tecnica che cos’è? Con differenze minimali i dizionari convergono nel definirla come quel “complesso di norme che regolano l’esercizio pratico e strumentale di un’arte, di una scienza, di un’attività professionale etc.”. Quello che apparentemente non emerge è che, fuori da un quadro valoriale che abbia al centro l’uomo, tutto è possibile. E se l’uomo non è il fine ma può diventare il mezzo al servizio di… Allora anche la scuola, nel percorso aziendale che è andata assumendo (e lo dico da liberale); nel suo progressivo affidarsi alle competenze, sganciandole dalle conoscenze, dalla complessità delle intelligenze perdendo di vista, inevitabilmente, gli esseri umani di cui è fatta, finisce per scontrarsi con la realtà. Mai come in queste circostanze appare chiaro questo, almeno a me sembra; quelle che emergono sono le persone (alunni e docenti) con le loro forze e/o fragilità umane e quindi sociali, economiche, culturali.
Quella della promozione di tutti, che è evidentemente la vanificazione anticipata di qualunque serio impegno di insegnamento e di studio di qui a giugno, è una scelta “tecnicamente” efficiente (si risparmiano un sacco di lavoro, di ricorsi, di polemiche e di soldi, in un momento in cui la macchina pubblica è in altre faccende affaccendata), ma è dal punto di vista pedagogico-educativo, e dunque umano, una scelta nichilista. La sua conseguenza principale sarà amplificare le differenze culturali tra gli allievi, replicare e “congelare” le loro differenze di reddito e socio-culturali, disarmare la scuola come meccanismo di redistribuzione non solo di conoscenze, ma di opportunità. Saltare di fatto un anno significa aggravare la distanza di chi partiva da più indietro e ancora più indietro resterà.
Le crisi, come questa che stiamo attraversando, sono state spesso nella storia l’occasione per sviluppare nuovi paradigmi; voglio pensare, sperare e credere che non sprecheremo questo occasione tragica. Anche nella scuola, che deve aggiornarsi e ripensarsi anche nel suo ruolo sociale, e non solo nei necessari dispositivi e protocolli per l’homescholling.
Marco Filippa
Marco Filippa
Nato a Villafranca P.te (To) nel 1962. Architetto e docente di Discipline grafico-pubblicitarie e Storia dell’arte, ha ideato e curato decine di mostre di arte contemporanea per gli “Amici della Biblioteca” di Villafranca Piemonte (To), per l’associazione culturale “En Plein Air-arte contemporanea” di Pinerolo (To) collaborando alla realizzazione del ciclo (Site Specific) La Via del Sale per “Il Fondaco” di Bra (Cn). Attivista militante di Radicali Italiani e di +Europa.