CRONACA – Torino, Asti, Alessandria e molte altre città del nord: così operava la mafia nigeriana nel campo della droga e della prostituzione
Alle prime ore dell’alba, la Polizia di Stato ha eseguito le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Tribunale di Torino e dal Tribunale di Bologna, su richiesta delle D.D.A. delle rispettive Procure della Repubblica, con il supporto di Eurojust, nei confronti di un vasto gruppo di cittadini nigeriani appartenenti al sodalizio criminale di stampo mafioso denominato “Viking”. I provvedimenti restrittivi sono stati disposti all’esito di lunghe e complesse indagini svolte, in perfetto coordinamento, dalle Squadre Mobili di Torino e di Ferrara, ed hanno riguardato complessivamente 69 persone (43 provvedimenti della D.D.A. di Torino e 31 della D.D.A. di Bologna, con 5 persone colpite da entrambi i provvedimenti cautelari) delle quali 52 sono state rintracciate sul territorio nazionale. Per la realizzazione della fase esecutiva, svolta sotto il coordinamento del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine, sono stati impiegati complessivamente circa 250 uomini della Polizia di Stato, con l’utilizzo di Reparti di rinforzo del controllo del territorio. Oltre alle Squadre Mobili di Torino e Ferrara, l’attività ha coinvolto anche gli omologhi uffici delle Questure di Alessandria, Asti, Bologna, Biella, Brescia, Caserta, Firenze, Imperia, Lodi, Monza, Padova, Parma, Pavia, Savona, Verona, Venezia e Vicenza. L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi ha consentito di sgominare l’intera consorteria criminale dei “Viking”, anche denominata “Norsemen Kclub International”, colpendo i personaggi al vertice del livello nazionale dell’organigramma, direttamente responsabili delle nuove affiliazioni, della gestione dello spaccio di sostanze stupefacenti nelle piazze cittadine e dell’attività di sfruttamento della prostituzione. Agli affiliati colpiti dalle misure cautelari vengono contestati, oltre al reato di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.), i delitti di tentato omicidio e associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, rapina, estorsione e lesioni gravissime. Le attività investigative, avviate nel luglio del 2018, si sono sviluppate attraverso attività tecniche di intercettazione, nonché articolati e dinamici servizi di diretta osservazione e pedinamento sul territorio, ed hanno consentito di individuare i vertici nazionali del cult, in costante e diretto contatto con i leader operanti in Nigeria. Le investigazioni hanno permesso di ricostruire nel dettaglio la struttura del sodalizio criminale, caratterizzato da un’organizzazione piramidale, che si connota con la presenza di un organismo operante a livello nazionale (che in Italia prende il nome di “Vatican Marine Patrol”) e di numerose articolazioni locali (dette “Marine Patrol” o “Deck”), attivi in singole città italiane, soprattutto del centro-nord. Ogni realtà locale (che a Torino prende il nome di “Valhalla Marine” ed a Ferrara “Vatican”) presenta al vertice un capo operativo (“Executional”), che comanda il territorio di competenza coadiuvato da un organo collegiale (“Exco”) costituito da consiglieri. La struttura prevede altresì una serie di cariche cui sono assegnati specifici incarichi organizzativi (“Escape”, il responsabile del rispetto delle regole interne; “Dockman”, il tesoriere; “Pilot”, l’organizzatore delle riunioni) o operativi (“Arkman”, il vice capo operativo; “Strike chief”, il responsabile delle attività di spaccio). I capi operativi scaduti dal loro mandato costituiscono una sorta di membri onorari e si pongono in una posizione di primissimo piano nell’articolazione delle scelte criminali della consorteria. Specularmente, a livello nazionale, sono state distintamente individuate cariche operative ed un Consiglio degli anziani (“Elders”). I vertici nazionali dell’organizzazione chiamata “Vatican Marine Patrol”, stanziati a Torino, esercitavano il loro potere anche nel capoluogo estense e prendevano ordini direttamente dal “National”, capo assoluto in Nigeria. I contatti tra le varie articolazioni nazionali e la sede presente in Nigeria (denominata “Niger Catalina”) hanno fornito agli investigatori una chiara indicazione di come le varie “Marine Patrol” (“MP”) operanti in Europa siano saldamente legate alla “casa madre”, tanto da apparire una diretta diramazione della stessa. L’organizzazione presenta tutti i caratteri di un’associazione di tipo mafioso, poiché connotata, anzitutto, da una precisa struttura gerarchica con ruoli e cariche ufficiali, a cui corrispondono compiti ben precisi. Le affiliazioni sono caratterizzate da atti violenti e rigidi rituali, che si traducono in un serio e concreto pericolo per la stessa vita degli aspiranti affiliati, che vengono sottoposti ad azioni brutali, all’esito delle quali manifestano l’accettazione del codice comportamentale dell’associazione e la loro fedeltà indiscussa. Altrettanto spietate sono le conseguenze previste in caso di violazione delle regole dell’organizzazione, che si traducono in sanzioni corporali talmente efferate da sfociare talora in tentativi di omicidio. La violenza rappresenta lo strumento di comunicazione privilegiato per affermare la forza dell’organizzazione sul territorio e creare lo stato di soggezione necessario per accrescere il proprio potere. Altro aspetto di rilievo è stato individuato nella capacità dell’organizzazione di autofinanziarsi, mediante il contributo dei sodali, strumentale anche al mantenimento economico degli affiliati a vario titolo detenuti, come tipico anche delle tradizionali consorterie mafiose italiane. Le indagini hanno infine consentito di evidenziare elementi distintivi caratteristici (il colore rosso predominante è il colore del cult), il peculiare abbigliamento degli affiliati (baschi con un simbolo di militanza da esibire con orgoglio durante le riunioni) ed una sorta di “papello” (litania) da recitare durante i riti di affiliazione.
Sulla piazza torinese, il cult “Valhalla Marine” controllava e gestiva il commercio su strada di sostanze stupefacenti in alcune aree individuate – in particolare nella zona del Lungo Dora Savona, tra via Bologna ed il ponte Mosca – nonché, sempre nella stessa zona, lo sfruttamento della prostituzione di donne nigeriane.
Una delle peculiarità dell’articolazione torinese dell’associazione era rappresentata dal ruolo delle donne, le quali venivano affiliate mediante rapporti sessuali di gruppo ed assumevano l’appellativo di “Queen” o “Belle”. Costrette a pagare somme di denaro in cambio di una inesistente protezione, le “Belle” venivano sfruttate sessualmente, trasformandosi di fatto in vittime del gruppo. Tra loro si evidenziava la figura di OSAYANDE Aisha detta “One Queen”, unica delle donne ad assumere sostanzialmente la veste di associata (ed infatti raggiunta dall’imputazione dell’art. 416 bis c.p.), con l’incarico di controllare le sue connazionali sfruttate. A riprova della grave condizione cui erano sottoposte, la totalità di costoro si vedeva financo costretta a trasferirsi all’estero, per sottrarsi a tale stato. Momento associativo fondamentale erano le riunioni periodiche che si svolgevano a cadenza settimanale all’interno di locali abitualmente frequentati dai sodali, in occasione delle quali venivano definite le linee da seguire nello svolgimento della vita associativa ed effettuati i pagamenti di quote destinate alla cassa comune o ad affrontare le spese legali degli affiliati arrestati. L’indagine ha altresì disvelato l’esistenza di una riunione annua, che vede il coinvolgimento di tutti i rappresentanti dei vari Paesi; quella fissata per il giugno 2020, in Turchia, non si è svolta a causa delle restrizioni dovute al Covid. Durante la lunga indagine, gli investigatori torinesi hanno potuto documentare diverse fasi della strategia dell’associazione criminale, sotto la direzione di tre differenti “Executional”, ovvero OKAFOR Chuks, ASLEM Alex e OJIE Cristian. In particolare, il periodo di OKAFOR è risultato caratterizzato da un frequente impiego della violenza e da una significativa conflittualità con altre consorterie criminali nigeriane, a loro volta presenti sul territorio torinese, culminando in efferati tentativi di omicidio in danno di connazionali. Proprio dalle dichiarazioni di una vittima di una feroce aggressione, avvenuta nell’estate del 2018, aveva infatti avvio l’investigazione della Squadra Mobile di Torino, sotto il coordinamento della locale Procura della Repubblica (P.M. dr. Enrico ARNALDI DI BALME). Secondo quanto emerso, l’ “Executional”, nella sua veste di titolare del potere punitivo nei confronti degli affiliati, deteneva una peculiare arma da taglio (una sorta di machete) denominata “Manga” o “Maga”, che infatti era risultato essere lo strumento utilizzato per cagionare le gravi lesioni occorse in quell’occasione.
A sua volta l’indagine della Squadra Mobile ferrarese, che veniva avviata a fine luglio 2018 (P.M. drssa Isabella CAVALLARI) a seguito del tentato omicidio di un giovane nigeriano appartenente al cult rivale degli Eiye, ferocemente aggredito a colpi di machete da un gruppo di almeno cinque connazionali, all’interno della zona GAD, permetteva di collegare gli episodi di estrema violenza già accertati e giungere alla dimostrazione dell’esistenza dei due gruppi malavitosi antagonisti, tra i quali era in corso una vera e propria guerra con modalità mafiose per la spartizione ed il controllo del territorio. Una volta assicurati alla giustizia i responsabili del gravissimo episodio, nel corso dell’anno 2019 le indagini approdavano alla D.D.A. di Bologna (P.M. dr. Roberto CERONI), per dimostrare l’esistenza sul territorio ferrarese della mafia nigeriana “Supreme Viking Arobaga” collegata al network internazionale.
In questa seconda fase, le indagini acclaravano la completa disponibilità dei sodali ad eseguire le direttive impartite direttamente dalla Nigeria: gli associati, vincolati da un rigoroso rispetto della segretezza, venivano affiliati con riti tribali, alla presenza dei vari vertici e capizona, durante riunioni (“party”) che si svolgevano nella zona di Brescia e del Veneto orientale, nel corso delle conversazioni emergeva un profondo rispetto per le gerarchie e solitamente un affiliato di rango inferiore salutava o si congedava rispettosamente dal superiore con la formula “Salutamos”.
Nel capoluogo estense, veniva accertata la centralità di OKENWA Emmanuel “Boogie”, dj di musica afro beat, che costituiva la figura di riferimento per il cult, tra le provincie di Ferrara, Padova, Treviso e Venezia, controllando il territorio e dirimendo le numerose diatribe che scoppiavano tra affiliati di rango medio-inferiore;
in questa veste “Boogie” manteneva i contatti con il vertice di Torino.
A livello locale il predetto era supportato da diverse altre figure di rango inferiore, che gestivano capillarmente lo spaccio di droga sui territori loro assegnati, e si occupava personalmente dell’organizzazione delle spedizioni punitive nei confronti degli affiliati che si erano macchiati di qualche mancanza o avevano dimostrato poco rispetto.
Le indagini portavano anche alla scoperta di un importantissimo canale di rifornimento di cocaina, destinata prevalentemente al Veneto, proveniente dalla Francia e dall’Olanda. La droga veniva prelevata a Parigi ed Amsterdam, grazie all’appoggio di connazionali appartenenti ad una confessione protestante evangelista, da nutrite squadre di “corrieri” che effettuavano il trasporto “in corpore” di numerosi ovuli, rientrando in Italia attraverso i valichi del Monte Bianco e del Frejus. In un’occasione è stato intercettato un carico di circa dieci chili di cocaina, con l’arresto dell’intera squadra di “spalloni” nei pressi del traforo del Frejus.