LE PERLE NERE DELLA MUSICA a cura di Edoardo Ferrati

FRANCESCA: RITRATTO IN MUSICA TRA NOTO E CURIOSO  (Dante 1265-1321; VII° centenario della morte)

Lo scorso dicembre mi occupai della musica nella Divina Commedia, ora completo il discorso con la figura di Francesca da Rimini di cui Dante parla nel V° canto dell’Inferno (versi 82-142) della vicenda di Paolo Malatesta e di Francesca di Guido da Polenta, ormai entrata nell’immaginario collettivo poetico. Vicenda storica, se si presta attenzione alle note di Jacopo Alighieri e Giovanni Boccaccio, che includono anche il fratello maggiore Gian Ciotto (Lanciotto). Papa Martino IV° (maggio 1282) invia Paolo come Capitano del Popolo a Firenze dove rimane un anno per condurre l’assedio di Castiglione della Pescaia in cui fu ferito da un colpo di balestra. Nel febbraio 1283 fece ritorno nel suo possedimento di Ghiacciolo. Gli eventi comprendono gli anni 1283 e 1286, quest’ultimo anno è quello delle nozze di Gian Ciotto. I retroscena dell’assassinio da parte di costui del fratello e della propria moglie vanno oltre il conferire dell’adulterio. Il matrimonio del maggiore Malatesta con la figlia di Guido non fu altro che il risultato di una complessa azione diplomatica tra Ravenna e Rimini, celebrato per procura con Paolo al posto di Gian Ciotto. La rivalità tra i fratelli giunse a un tal punto di tensione tanto da approdare a un oscuro delitto politico che prese come pretesto scuse d’amore. La storia, talora non rispetta in primo piano la poesia che fa appello alla memoria, conducendo al traguardo le modulazioni creative. La vicenda dantesca risulta così fortemente legata al patetico racconto e alla pietas del poeta. Patetico e sublime hanno favorito la nascita di arte letteraria e musicale tra titoli melodrammatici o poetiche o romanze da salotto o vocal-cameristiche. Il periodo Ars Nova-Rinascimento trascurò, per un lungo periodo, l’argomento, complice l’esegesi negativa della Divina Commedia operata dalla Compagnia di Gesù che esercitò un peso non trascurabile. Solo alla fine del Settecento iniziò l’interesse per Francesca a cominciare dai lavori scritti dal giacobino Francesco Gianni (1705) e dal carbonaro Edoardo Fabbri (1802) cui seguirono le traduzioni dantesche d’importanti scrittori inglesi quali Byron, Keats e Leigh Hunt, tutti esempi di riflessione di alto profilo, ma non per i poeti dell’opera dell’Ottocento, soprattutto nel primo trentennio. Tra essi va citato Felice Romani che prestò la sua opera a musicisti quali Massimiliano Quilici, Francesco Morlacchi o Pietro Generali che misero sul pentagramma la vicenda di Paolo e Francesca. A un frammento famoso dell’Inferno (canto V°) fa riferimento Gioachino Rossini con La canzone del gondoliere (“Otello”, atto III°), imposta in un clima di struggente nostalgia impresso ai versi “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria”, Tornerà poi con la melodia “Farò come colui che piange. Di un certo rilievo sono i Tre schizzi musicali di Cajkovskij: il primo appuntato in un taccuino, il secondo in una lettera alla sua mecenate von Meck e il terzo contenuto in un taccuino che confluirà nella Sinfonia Manfred. Esordio a stampa di Puccini con “Storielle d’amore” che non è altro che il racconto di Francesca “Noi leggevamo insieme”. Sedici anni dopo verrà intonato da Ponchielli. Il Risorgimento ignorò la coppia dantesca. Il primo titolo degno di nota è “Francesca da Rimini” di Antonio Cancogni (Torino, Teatro Regio, 18 febbraio 1878) su libretto di Antonio Ghislanzoni che sviluppò il testo della tragedia come un intreccio lineare su cui innescare una sfilza di intrighi e complotti. Meglio il grand opéra del francese Ambroise Thomas (Parigi, Palais Garnier, 11 aprile 1882) che ebbe scarso successo e verrà ripreso solo nel 2011 a Metz. Si rivolse alla ditta Michel Carré e Jules Barbier che realizzarono un ampio libretto che inizia con il sinistro Prologue dove compare l’ombra di Virgilio. Più avanti troviamo il “Duo du livre” dall’iniziale calma vocale passa , in modo progressivo, al turbamento interiore grazie al montare dell’orchestra. Il quarto atto esordisce con il soave “Chant du livre” cui segue la malinconica aria di Paolo a cui si unisce Francesca per l’ultimo duetto d’amore “Amour enivrant! Devorante flamme!”. Primo Riccitelli scrisse verso il 1896-1900 una “Francesca da Rimini, l’unica composta sulla tragedia di Silvio Pellico. A grande distanza il librettista russo Modest Cajkovskij, fratello del celebre compositore, suggerì a Sergej Rachmaninov un’opera sul testo di Paolo e Francesca (Mosca, Teatro Bolshoj, 11 gennaio 1906). Il titolo non è lineare nel suo sviluppo tra le varie sezioni al cui orizzonte si scorge una sorta di suggestione wagneriana, mentre il prologo e l’epilogo si staccano nettamente dall’originale dantesco. Non ci ripensa neppure Luigi Mancinelli (1848-1921), celebre direttore d’orchestra con lunga carriera a Londra e New York che ne fa una tragedia di pura evocazione e di dramma di respiro liberty dove un tortuoso e asciutto melodismo rinuncia al canto. La diva Sarah Bernhardt venne acclamata nelle musiche di scena scritte da Gabriel Pierné  (6 gennaio 1914) su testo di Gabriele D’Annunzio. Altro titolo è quello di Franco Leoni dove tutto converge verso il monumentale duetto finale dove si mescolano estasi e lussuria orchestrale. Chiudo questa rapida sintesi con tre titoli, rientrati parzialmente in repertorio a cominciare dalla Francesca di Saverio Mercadante , proposta per il Teatro Principe di Madrid (1830) sulle cui scene non comparve a causa di dissidi; passò alla Scala dove si registrarono litigi tra le due primedonne. L’opera rimase inedita fino al 2016 quando venne ripresa al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca in Puglia. La musica è improntata ad alto artigianato, la vocalità rigogliosa, la orchestrazione assai raffinatala nel solco del migliore romanzo storico popolare dell’epoca. Il migliore traguardo toccato alla vicenda di Paolo e Francesca spetta a Riccardo Zandonai con la sua “Francesca” (Torino, Teatro Regio, 10 febbraio 1914) che prende le mosse da D’Annunzio grazie all’abilità del librettista Tito Ricordi .Nacque così un’opera dolente e truce. Punto focale del lavoro di Zandonai sta nel non lasciarsi coinvolgere nei labirinti teatrali del Vate, rischio evitato grazie al non abbandono della lettura dei versi, bensì favorendo l’onda delle emozioni foto.jpg (100 KB)