Chieri, per “Lo Spiffero” è Toni Negri la ‘guest star’ del Festival dei Beni Comuni di Mattei
Arriva da “Lo Spiffero – quello che gli altri non dicono”, il cliccatissimo quotidiano torinese on-line solitamente in anticipo su tutti gli altri con le sue indiscrezioni sulla politica locale, l’ennesimo attacco al vicesindaco di Chieri, Ugo Mattei, stavolta in qualità di ideatore e organizzatore dell’imminente Festival dei Beni Comuni.
“Gli Anni di piombo sono “beni comuni”, il titolo dell’articolo, che è tutto imperniato sulla partecipazione al festival di Toni Negri, protagonista della lotta eversiva negli anni Settanta, quelli delle Brigate Rosse.
Scrive “Lo Spiffero”:
Toni Negri, il “cattivo maestro” dell’eversione rossa, è la guest star al festival benicomunista promosso a Chieri dal giurista torinese Mattei. Un vecchio arnese che a 82 anni (quasi) suonati impartisce lezioni di ribellismo e lotta anticapitalista
Il cattivo maestro dei tumultuosi anni Settanta, dell’Autonomia Operaia e di PotOp (Potere operaio), brodo primordiale della sovversione e terreno di coltura del terrorismo rosso, diventa oggi un “maestro assoluto dei beni comuni”. Perché così Antonio Negri detto Toni è dipinto e presentato dal maître à penser dei benicomunisti Ugo Mattei, in vista del suo arrivo a Chieri (Torino) dove insieme ad altri nomi di spicco – da Gustavo Zagrebelsky a Stefano Rodotà da Salvatore Settis a Marco Paolini, da Michelangelo Pistoletto a Gianni Vattimo e molti altri – parteciperà al “Festival internazionale dei beni comuni” dal 9 al 12 luglio. E proprio il secondo giorno della kermesse fiore all’occhiello e palcoscenico del giurista torinese e vicesindaco della cittadina sulla collina torinese Mattei, sarà il filosofo che oltre una trentina d’anni fa balzò agli onori delle cronache per il suo arresto disposto dal pm di Padova Pietro Calogero – autore del famigerato teorema – che lo riteneva, insieme ad altri la mente delle Brigate Rosse.
La figura di Negri grande vecchio delle Br, come ebbe e ricordare un altro dei protagonisti di quegli anni, Oreste Scalzone “era nulla di più di un fantasma dietrologico, e dunque un eccesso. Ma l’esistenza di un tumulto sociale che noi tentavamo di organizzare, la teorizzazione della lotta armata anche se diversa da quella praticata dalle Br, compresi reati come rapine e gambizzazioni, erano tutte cose vere. Forse più diffuse e capaci di diffondersi di quanto immaginavano i magistrati”. Tra processi, condanne, assoluzioni, latitanza, fuga in Francia protetto dalla dottrina Mitterrand (un illuminato periodo che il maestro, pasteggiando a Côtes du Rhône, spiegava agli amici intellos trattarsi di esilio) e, pure, parlamentare eletto nelle liste radicali (“Il Parlamento è l’unica banda clandestina in cui sia mai entrato”), Negri ha segnato con la sua presenza gli anni più bui e tormentati della Repubblica.
Dal ‘93 percepisce il vitalizio da parlamentare di un Paese che avrebbe voluto cambiare e abbattere (anche) con la lotta armata. Rientrato dalla Francia nel ’97, scontò due anni di carcere, poi nel 99 la semilibertà. In seguito la figura del filosofo, che nei primi anni Sessanta collaborò a quei Quaderni Rossi che furono il laboratorio per il futuro Sessantotto, è associata a libri – Settanta e È Primavera i più noti – e conferenze. Una presenza non sempre gradita, tantomeno facile. Nel 2008 era prevista un ciclo di sue conferenze in Giappone, ma le autorità di nipponiche gli negarono il visto perché non presentò, come gli fu richiesto due giorni prima della partenza, la documentazione della sua vicenda processuale: «Venticinquemila pagine, non un certificato e basta», commentò. Gli andò meglio con Hugo Chavez che lo cita in discorsi ufficiali, così come con le Nouvel Observateur che lo definì il nuovo Marx.
Sullo sfondo, sempre, oltre alle condanne, anche quella sua spiegazione degli anni di piombo: per il maestro in arrivo a Chieri a filosofeggiare di beni comuni, alle morti provocate dal terrorismo “non vi fu alcuna alternativa. Era necessario rispondere allo stesso livello dello Stato”. Ora quello che a 82 anni suonati – li compirà il prossimo 1° agosto – ha la parvenza di un vecchio professore in pensione gode di una seconda giovinezza. Assurto a guru degli atenei in virtù di una trilogia di saggi (Impero, Moltitudine, Comune, tutti scritti con Michael Hardt) presentata da Rizzoli come «un’opera destinata a essere per il XXI secolo ciò che il Capitale è stato per il XX». Con un linguaggio a tratti visionario, l’ex leader di Potere Operaio descrive: il nuovo ordine mondiale, fondato sul mercato globalizzato; le moderne masse oppresse, che vanno molto al di là del vecchio proletariato includendo precari e movimenti dalle varie istanze; le strategie per ribaltare il governo planetario di cui G8, Wto, Fmi e multinazionali sono le principali manifestazioni.
Negri inneggia alla rivolta, come ha sempre fatto. La rivoluzione, scrive il filosofo, «non pretende lo spargimento di sangue, ma ha un legame necessario con l’uso della forza» (così in Comune). Una «moltitudine disarmata» potrebbe essere «più efficace di una banda armata». Il «sabotaggio», il «rifiuto di collaborare», le «pratiche controculturali», la «disobbedienza generalizzata» potrebbero «essere convogliate in nuove iniziative di ribellione». Nell’ottobre del 2001, un mese dopo l’attacco alla Torri Gemelle, confessò di essere dispiaciuto del fatto che la Casa Bianca fosse stata mancata dal quarto aereo.