Chieri e i profughi. Nell’ex albergo storie di angoscia e speranza
40 ucraine, una psicologa (russa) e l’attesa di notizie
Sono 40, potrebbero diventare 50. Sono i profughi ucraini che da sabato sono alloggiati nell’ex Albergo Tre di Chieri. La polemica sollevata al TG 3 dal console onorario dell’Ucraina a Torino è già il passato (“Ma è servita a smuovere le acque e accelerare i lavori”, commenta la consigliera comunale Rachele Sacco, che ha fatto visita al gruppo di ospiti). L’albergo è infatti chiuso da oltre un decennio e riattivato per la cooperativa Liberi Tutti dalla proprietà, l’Immobiliare San Felice, che l’ha rilevato dalla famiglia Pavia, che l’aveva fatto costruire alla fine degli anni Sessanta. I vecchi tifosi ricorderanno questo albergo con malinconia, visto che ha ospitato per alcuni anni le squadra di calcio in ritiro prepartita, il Torino e la Juventus ma anche il Milan di Rocco e Rivera, per capirci. Tutto un altro mondo, rispetto all’oggi. Un lungo abbandono, in vista di una sua riconversione a struttura sanitaria privata, che non è mai stato possibile realizzare. “La nostra cooperativa – racconta la responsabile dell’intervento chierese, Sonia Migliaccio – si è candidata all’accoglienza ai profughi ucraini dopo avere acquisito a tempo di record la disponibilità di questa struttura, che era già in fase di ristrutturazione, ma che prevedeva tempi decisivamente più lunghi che si sono dovuti per forza accorciare di molto. Quando, sabato, sono arrivati i 40 ospiti attuali, non tutto funzionava al meglio, a cominciare dal riscaldamento che era solo parzialmente attivo, ma le imprese impegnate nei lavori hanno fatto l’impossibile e oggi quasi tutti i problemi sono stati risolti. Presto, anche i pasti (che oggi sono preparati fuori e veicolati qui) saranno cucinati in albergo, ci si sta attrezzando.” Il gruppo è formato quasi totalmente da giovani donne e bambini anche molto piccoli. Sette persone della cooperativa se ne sono fatti carico. C’è anche una psicologa volontaria, la dottoressa Elena Vinokurova (foto accanto), che da anni vive e lavora a Torino. “In Ucraina – dice – queste persone hanno vissuto una esperienza terrificante, hanno perso tutto e, quel che è peggio, sono perennemente angosciate dal destino dei loro uomini, che sono rimasti là a combattere o comunque a rendersi utili. Ognuna delle persone che sono qui ha una sua storia, diversa da quella delle altre. Cerco di stare vicina ai loro problemi e per i bambini ci stiamo organizzando, sia per la scuola che per momenti di svago. Qui in albergo, tra l’altro, si sta allestendo una stanza per i giochi…”. Particolare non banale: Elena non è ucraina, ma russa. “Sono di San Pietroburgo e la mia famiglia, come molte famiglie in Ucraina, è mista. Parenti russi e altri ucraini. Difficile da spiegare, ma è la realtà complicatissima che si vive là…”.
Dal punto di vista burocratico, la cooperativa si sta occupando di queste persone sulla base di quanto le norme più recenti stabiliscono. “Per loro – spiega Sonia Migliaccio – ci sono due strade possibili: quella della richiesta di asilo politico, che è lunga e complicata in prospettiva (potrebbero non poter più tornare nel loro paese, dopo aver ottenuto l’asilo, ma non è ancora del tutto chiaro) e quella del permesso di un anno, che sembra la strada da loro scelta.”
Intanto, la Prefettura riconosce alla cooperativa 24 euro al giorno a persona e un pocket money di 2,5 euro ad ogni persona ospitata. Dettagli importanti, ma adesso il problema è rassicurare, ospitare, dare un segnale di speranza. Tutt’altro che facile.
Gianni Giacone