CURIOSITA’ NOVARESI 13 – FORO, TERME E TESTIMONIANZE “ROMANE” IN CITTA’

In una citazione di Tacito Novara, con Vercelli, Ivrea e Milano è ricordata tra i “firmissima municipia” della Transpadana di epoca imperiale. Si presenta quindi a quell’epoca come un abitato solido, resistente, ben fortificato, oppure coerente e fedele.

Dell’antica città romana ciò che si conosce meglio sono certamente le mura difensive, di cui sono stati messi in luce tratti nell’isolato compreso tra via Solaroli e via Dominioni e in piazza Cavour. Ma di questo abbiamo già avuto occasione di parlare in altro articolo di “Curiosità novaresi”. L’area delimitata dalle mura è di circa un chilometro quadrato ed ha la forma di un quadrilatero al quale si sovrappone a nord un triangolo, come si rileva dall’andamento obliquo del muro di piazza Cavour, che

Banca d’Italia, Novara

dovette probabilmente adattarsi alle condizioni naturali del terreno. Nel corso dei secoli gli interventi all’interno dell’antica Novara sono stati numerosi e radicali, come nella costruzione dei molti edifici religiosi medievali e successivi, compresa la realizzazione della basilica di San Gaudenzio. In relazione a ciò non si può indicare con sicurezza le dimensioni delle insulae romane (corrispondenti ai nostri isolati), così come non si riesce a definire con ragionevole certezza l’area del foro, anche se si ipotizza piazza Cesare Battisti (Piazza delle Erbe) e la zona del Duomo. A questo proposito è il caso di ricordare gli importanti reperti emersi in occasione delle fondazioni del Duomo neoclassico, realizzate dall’Antonelli, nella seconda metà del secolo scorso, così come testimoniato da un breve saggio di Angelo Stoppa, che fa riferimento a quanto aveva scritto nel 1884 il Rusconi.

Anzitutto un frammento di statua di bronzo dorato: “un grosso dito di bronzo con tracce di doratura…il quale deve essersi staccato quando la statua a cui apparteneva veniva in quella località spezzata”, come scrive appunto Antonio Rusconi. Quanto al luogo del ritrovamento, il Rusconi precisa “rinvenuto fra le macerie all’occasione in cui si stava costruendo l’odierno atrio del Duomo…a tre metri sotto il livello ordinario del piano attuale” e aggiunge che fu anche trovato un ricco pavimento “formato a strati di tabelloni di marmo rossiccio”, oltre a “un marmo di grandi dimensioni, formato di calce viva e ciottoli”. Quanto al “grosso dito di bronzo”, si tratta probabilmente, come scrive Stoppa, dell’indice della mano destra di una grande statua di personaggio. Considerate le dimensioni del dito si può pensare a una statua di uomo dalle dimensioni superiori al naturale. Quanto al luogo del ritrovamento di questo e altri reperti, anche Giuseppe Fassò, presidente della Società Archeologica di Novara scrive: “questi oggetti furono rinvenuti sulla spalla destra della porta grande del Duomo vecchio, ora atterrato, in occasione della sua demolizione”.

Terme romane, frammento di mura

Stoppa poi, sempre attraverso gli scritti del Rusconi, ricorda il cippo dell’Augustale Valerio, un cippo funerario egualmente “scoperto a tre metri sotto il suolo della Cappella del Riscatto, posta a mezzodì del nostro Duomo…Sembra appartenere alla fine del secondo secolo dell’era cristiana”, oltre a un pavimento romano che lo stesso Rusconi attribuisce ai resti di quello che dice tempio degli Augustali. Parla quindi della distruzione di quella che dice basilica pagana, su cui fu poi costruito il tempio cristiano.

Questione simile è quella delle terme, testimoniate dalle epigrafi di Terenzia Postumina e Valerio Pansa, che, appunto, parlano di edifici termali pubblici nella Città. Le Terme pubbliche potrebbero corrispondere forse all’edificio di via Negroni, che fu distrutto negli anni Venti del secolo scorso, che si trovava dove ora è il palazzo della Banca d’Italia (nella foto). In un disegno parziale si vede un ambiente absidato che poteva essere il “calidarium” termale. Di questo edificio è rimasto un frammento di muro, rimosso e collocato in un giardinetto di via Bascapè (nella foto). Via Negroni, tra l’altro, era già in origine una via romana, come è stato testimoniato dal rinvenimento di alcuni tratti di pavimentazione stradale. A proposito della pavimentazione stradale è il caso di ricordare che più volte, anche nella seconda metà del secolo scorso e sempre casualmente, in centro città, si sono scoperti resti della rete viaria urbana, ad esempio nella piazza del Duomo. Tra l’antico Portico del Paradiso del Duomo romanico e l’ingresso del Broletto sono stati, tra l’altro, ritrovati resti di edifici romani, con testimonianze di botteghe, munite di canalizzazioni, per le vaschette con cui conservare in fresco derrate deteriorabili, come il pesce (questa era la tesi di Stoppa, confermata dal fatto che nella piazza permase a lungo il mercato del pesce).

Epigrafe romana, S. Maria d’Ingalardo

Parlando di quanto resta della Novara romana non possiamo poi non soffermarci sui marmi epigrafici del monumento al senatore romano Caio Ovinio. Questi marmi epigrafici compongono, riutilizzati, la statua della Vergine d’Ingalardo, collocata nella prima cappella, entrando a destra, della attuale chiesa di San Pietro al Rosario. La lettura della parziale epigrafe di tali marmi è stata curata da padre Antonio Ferrua e dal prof. Giovanni Mennella dell’Università di Genova. Con l’interpretazione di Mennella si è scoperto che nella “Novaria” del II secolo d.C. era stato eretto un monumento al personaggio novarese senatore Ovinio, che aveva ricoperto in Città l’elevata carica pretoria, quando era imperatore Marco Aurelio (121-180 d.C.). Secondo lo storico Frasconi, questa bella statua (XIII secolo o, secondo altri, primo quarto del XV secolo), di autore ignoto, serviva da ancona all’altare maggiore dell’antica chiesa di S. Maria d’Ingalardo, demolita dai domenicani nel XVI secolo, quando qui trasferirono il loro convento, costruendo la nuova chiesa. La statua sarebbe stata scolpita riutilizzando due massi distinti di antichità romana, uno trasformato nel blocco della statua e l’altro nell’ornamento sopra la stessa. La frammentaria epigrafe funeraria in latino, la cui data è ipotizzata fra il 170 e il 175 d.C., è visibile sul lato destro del dorsale del trono, a sinistra per chi guarda (nella foto).

Quanto alle necropoli della Novara romana, queste, normalmente collocate in area extraurbana, lungo le principali strade di collegamento, sono state individuate almeno in due zone. La prima è a nord est della Città e corrisponde approssimativamente all’area dell’abbazia o basilica di San Lorenzo, anticamente esistente nella zona della stazione ferroviaria, sino all’altezza di via Ploto (il complesso religioso è stato abbattuto nel 1743). Lì sono state trovate alla fine del XIX secolo tombe ad inumazione, databili tra il I e il III secolo d.C. La seconda necropoli poteva invece trovarsi ad ovest della Città, lungo la via XX Settembre, più o meno nell’area dove poi fu costruita la prima basilica di San Gaudenzio, probabilmente una antica chiesa cimiteriale fuori le mura. Proprio in quella chiesa, già nel XVI secolo, si trovavano numerosi sarcofagi.

Novara quindi, per concludere, diventata “municipum” romano, ha avuto una cinta muraria, ma anche un foro, terme, necropoli e altri edifici pubblici e privati.

Enzo De Paoli