Don Bosco e lo sport

L’EVOLUZIONE DEGLI ORATORI COME LUOGO DI EDUCAZIONE E DI SPORT

I giovani attualmente svolgono attività sportiva, esercizio fisico ma in modo limitato e conducono una vita sociale che è sempre più allineata al virtuale, infatti, i social creano reti di interazione che però limitano la relazione e l’emotività confinandola a rapporti “vicini” ma che in realtà sono distanti da quella forma esperienziale che invece dovrebbe essere fondamentale per una crescita psicofisica sana. Quando vedo le varie pubblicità di simulatori di giochi sportivi o di home fitness work mi preoccupo sempre abbastanza perché il movimento umano non può essere relegato a dei video-simulatori dove ci si muove su una pedana collegata a dei sensori davanti a un monitor “freddo e distante”, specialmente quando questi, a livello di marketing commerciale, si propongono a ragazzini in fascia preadolescenziale e adolescenziale. Il gioco all’aria aperta, la (ri)scoperta del movimento naturale, l’esplorazione unita alla creatività è ciò che l’attuale società sta perdendo come bagaglio non solo culturale ma come spinta di crescita verso una generazione che ben poco riesce a trasmettere ai bambini e ai ragazzi di questo tempo.

Ripercorrendo i momenti storici dello sviluppo e del consolidamento dell’Educazione Fisica e dello sport in Italia, una figura importante che ha caratterizzato l’attività ludico-motoria nella seconda metà dell’Ottocento è sicuramente quella di Don Giovanni Bosco. Ritengo che l’azione svolta dal Don Giovanni Bosco sia stata all’epoca, innovativa, perché attraverso il suo intervento è riuscito a radunare ragazzini di ogni estrazione culturale (anzi lui cercava proprio di aiutare chi aveva una condizione sociale più umile e povera), portandoli a vivere, in quelli che saranno definiti Oratori, in maniera sana, offrendo delle reali possibilità di crescere con dei valori e dando loro un futuro migliore partendo proprio dal benessere che oggi definiamo psicofisico globale. Tutto questo grazie anche all’educazione e alla costruzione di rapporti collettivi solidi centrati sulla collaborazione e sul supporto reciproco.

Era, quella del Curato torinese, un’epoca in cui si era ancora molto lontani dal pensare uno sport strutturato ed organizzato in società con allenatore, tessere, tesserati e con molte gare usufruibile anche dai ceti più poveri. Infatti, solo l’ambiente aristocratico poteva permettersi tutto questo.

Giovanni Bosco, nato il 16 agosto del 1815 ai Becchi, poche case su un’altura a cinque chilometri da Castelnuovo, cresce in un ambiente contadino vivendo una sana vita all’aria aperta, lavorando il terreno ed allevando il bestiame.

Già in giovane età matura il suo desiderio a diventare prete. Questo lo porterà all’ordinazione sacerdotale all’età di 26 anni.

Nel 1841 Don Bosco si trasferisce a Torino, e grazie ad un incontro casuale, che la storia individua nel ragazzo Bartolomeo Garelli, inizia la sua opera oratoriana e sportivo – ricreativa.

Il futuro Santo osserva la povertà e desolazione dei sobborghi di Torino, pieni di adolescenti e giovani disoccupati, intristiti e pronti al peggio, frutto negativo della prima rivoluzione industriale, e si convince che bisogna fare subito qualcosa per loro. La risposta dei fanciulli è molto positiva, da quel primo ragazzo in un anno si passa ad oltre cento. Inizia a radunarli presso il “Rifugio”, opera per ragazze uscite dal carcere e famiglie per “ragazze operaie”, gestito dalla Marchesa di Colbert Barolo, che lo aveva accolto come assistente. Si apre così la strada dell’”Oratorio”.

Torino, in quegli anni, vede sorgere, grazie all’impegno di questo sacerdote, numerose scuole popolari per i lavoratori. Proprio per il suo grande attivismo, Don Bosco riuscì a coinvolgere molti giovani disagiati. Il suo metodo, riassunto da lui stesso in tre parole, ragione, religione e amorevolezza, poneva in primo piano l’attività ludico-sportiva come base importante su cui costruire il buon andamento della vita scolastica e religiosa dei giovani. Il “Sistema preventivo” da lui nato e fortemente voluto, era un metodo che dava la possibilità ai giovani di scoprire la loro vocazione, incoraggiando i loro talenti, il tutto offrendo un ambiente stimolante e protettivo.

Dalla testimonianza di Felice Reveglio, parroco della parrocchia di S. Agostino in Torino, tratta dal libro di Teresio Bosco “Don Bosco visto da vicino” possiamo scoprire il suo stile:

“…In un cortile abbastanza vasto che circondava la cappella si radunavano nei giorni festivi circa cinquecento giovani. Egli aveva provvisto diversi giochi e attrezzi di ginnastica per trattenerli allegramente: bocce, piastrelle, stampelle, il passo del gigante, le parallele, il cavalletto, e nelle occasioni di S. Luigi e di S. Francesco di Sales c’era la corsa nei sacchi, la rottura delle pignatte, il rompicollo (arrampicata su un piano inclinato sdrucciolevole, un’imitazione povera dell’albero della cuccagna).”

“… Durante la ricreazione dei giovani, Don Bosco andava girando all’intorno, e ora si avvicinava a uno e ora a un altro, e in tale occasione, mentre nessuno se ne accorgeva, li interrogava per conoscerne l’indole e i bisogni”.

Uno dei giochi più famosi che Don Bosco faceva fare ai suoi ragazzi era la lippa per molti anni ancora praticato negli Oratori. Esso prevede l’utilizzo di un bastoncino o di un pezzo di ramo di una decina di centimetri, appuntito all’estremità, e di un bastone più lungo e robusto. La lippa si pone su un pezzo di terreno ben spianato. Con il bastone si picchia su un’estremità del bastoncino facendolo balzare in aria. Nel momento in cui questo è per aria viene colpito di nuovo con forza con lo stesso bastone per farlo volare il più lontano possibile. Vince chi con dieci colpi fa fare alla sua lippa il percorso più lungo. Per decidere chi inizia per primo si faceva e si fa tutt’oggi la conta o si tira a pari e dispari.

Alcuni Oratori Salesiani di Torino (ma anche in altre parti d’Italia) ogni anno, l’otto dicembre, ricordano l’anniversario della nascita del primo Oratorio, e spesso, durante la celebrazione vengono proposti giochi storici (solitamente si fanno proprio in spazi all’aria aperta, nei cortili) ideati proprio da Don Bosco, e la rivisitazione può essere talmente fedele che pare essere ritornati indietro nel tempo.

Alcuni giochi che possiamo ritrovare oggi sono la lippa, il Percorso a Mattonelle, l’Albero della Cuccagna (conosciuto allora come Rompicollo), e la corsa nei sacchi: gioco a squadra, dentro un sacco di juta (oggi anche di plastica), dove saltando si cerca di raggiungere per primi un traguardo posto ad una certa distanza. Altro gioco, che purtroppo al giorno d’oggi è difficile da riproporre per la questione della sicurezza e per la rimozione di grandi attrezzi tipici della ginnastica classica, all’epoca molto diffusa (le pertiche, le funi presenti fino a una quindicina di anni fa, nelle palestre italiane ne sono un esempio) è “l’arrampicata della montagna” in cui i ragazzi devono arrampicarsi su una pertica o su una fune robusta appesa ad un palo alto. Primi o ultimi alla fine vincono tutti, e per festeggiare, oggi come allora, caramelle e dolcetti vengono distribuiti per la felicità di ognuno. Gli Oratori Salesiani ancora oggi sono un punto di riferimento aggregativo per i bambini e i ragazzi: importante diventa tutelare questi luoghi per permettere a tutti di vivere una vita sana in un contesto protetto dove si può ritrovare quello spazio per costruire legami e per sperimentarsi anche nel gioco motorio creativo concretamente realizzabile. Bene è anche ricordare, che proprio in questi luoghi si sono costituiti nel tempo, diversi gruppi sportivi, grazie alle Polisportive Giovanili Salesiane (Ente di Promozione Sportiva affiliata al CONI) che racchiudono discipline sportive di squadra/individuali e corsi di attività fisiche preventive/fitness, offrendo non solo ai giovani la possibilità di fare sport tout court, ma dando la possibilità ai cittadini che lo desiderano di fare attività fisica specifica. L’introduzione sempre più spesso in questi anni (anche per una questione ormai legale, DL 5 ottobre 2022, nr. 163), della figura del Chinesiologo come esperto in educazione fisica e sport sicuramente da qualità e garanzia di professionalità e mi auspico sia sempre più frequente in futuro.

Don Giovanni Bosco morì il 31 gennaio 1888, ed è stato canonizzato il 1° aprile 1934 da Papa Pio XI e fu sicuramente un grande educatore del tempo che ha creato un ponte solido fra Sport e Chiesa.

 

Dott.ssa Roberta Benedetta Casti

Storica dello Sport e dell’Educazione Fisica, docente Educazione Motoria e Psicologa