CURIOSITA’ NOVARESI 39. SAN MARTINO E LE SUE CHIESE PARROCCHIALI NEI SECOLI
Sono Barlassina e Picconi, con la loro pubblicazione “Le chiese di Novara”, edita nel 1933 (Tipografia S. Gaudenzio, Novara), a fornirci utilissime notizie sulla nascita e l’evoluzione nei secoli del titolo parrocchiale di S. Martino, che fu assegnato nel tempo a chiese diverse, anche se tutte collocate in quell’area, fuori le mura cittadine, che corrisponde all’attuale quartiere (un tempo borgo o sobborgo) di San Martino.
A seguito dell’ordine di demolizione di grande parte dei sobborghi cittadini, dato nel 1552 dal Governo spagnolo, così da rendere la città, da loro fortificata, più facilmente difendibile da eserciti nemici, poco restò dei sobborghi di San Gaudenzio e di Barazzuolo (nella foto l’attuale via Marconi, già via Barazzuolo), come alcune case lungo le vie di Vercelli e di Varallo.
Gli abitanti di quei cascinali chiesero allora di poter costruire una chiesetta extraurbana per poter partecipare alla santa messa e alle altre celebrazioni religiose. Quanto richiesto fu loro consentito, ma la chiesetta doveva essere eretta presso le mura, in quanto “incorporata quasi con queste, non potesse essere di ostacolo alla difesa, né giovasse ai nemici in caso di guerra o di assedio”. Il piccolo oratorio dovette sorgere presso le rovine dell’antica basilica di San Gaudenzio (precedentemente demolita come appunto ordinato dal Governo spagnolo). Fu costruito nel 1563 e officiato da
uno dei due curati, delegato dai canonici di San Gaudenzio, finché nel 1585, divenuta indipendente la parte fuori le mura, fu nominato un parroco, che esercitò in vece del Capitolo Gaudenziano e fu chiamato vicario. Era così sorta la parrocchia di “S. Gaudenzio fuori le mura”, detta più comunemente di S.Martino (forse per ricordare un’antica chiesa che con quella intitolazione sorgeva al di là dell’Agogna, nella zona denominata “Selve”). Pare che questa originaria chiesa di San Martino avesse una sola navata, con la facciata a occidente e un portico sostenuto da sei colonne (nella foto l’area di via XX Settembre, accanto a baluardo Quintino Sella, dove doveva trovarsi l’edificio). Anche questa chiesa fu però abbattuta e sempre per ragioni militari, ma questa volta per ordine del Governo austriaco del tempo e ciò avvenne l’8 aprile 1727. Il parroco dell’epoca si trasferì dapprima temporaneamente nell’oratorio di S. Bernardino e poi nel 1729 nella chiesa di S. Guglielmo, detta anche di S. Venere ottenuta dall’Ordine di Malta, su richiesta del vescovo. Venne quindi subito innalzato il campanile della nuova parrocchiale. Tuttavia, ottenuto dalle suore Agostiniane l’antico oratorio delle monache di S. Antonio (che si erano trasferite presso il monastero di S. Agostino), che da tempo era adibito ad usi profani, “venne edificato su di esso la chiesa di S. Martino -come ci ricordano sempre Barlassina e Picconi- quella che tuttora (nel 1933) si vede abbandonata a ponente delle Officine Dell’Erra”. Il Capitolo di S. Gaudenzio, come patrono, concorse alla spesa con una somma ingente e quella fu la chiesa parrocchiale di S. Martino dal 1734 al 1831, quando fu sostituita dalla più antica, vasta e nobile chiesa di S. Maria delle Grazie, su cui dobbiamo ora soffermarci.
La chiesa di S. Maria delle Grazie (poi abbazia) fu costruita, assieme alla canonica annessa (dove venne poi aperto l’Istituto De Pagave, che vediamo nella foto), dai Canonici Lateranensi (che da tempo officiavano la chiesa di S. Marta presso la sponda dell’Agogna, già degli Umiliati, e prima ancora la chiesa di S. Giacomo della Strada, sulla strada di Vercelli, presso il cavo Dassi, che fu poi distrutta verso il 1782), invitati a Novara dal vescovo Giovanni Arcimboldi, con bolla dell’11 febbraio 1473 di Sisto IV. Prima fu eretto il convento e poi la chiesa, che un documento mostra in costruzione nel 1477. Cresciuto il numero dei canonici, nel 1628 venne concesso al loro priore il titolo e la dignità di abate. Nel 1752 i Canonici Lateranensi abbandonarono il convento e non se ne conosce il motivo. Li sostituirono i monaci Olivetani, che lì rimasero fino alla soppressione degli ordini religiosi voluta dal Governo francese. La chiesa fu ceduta al Municipio cittadino, affinché se ne servisse come caserma o ospedale militare. Col ritorno di Novara sotto i Savoia, nel 1827, il Cardinale Morozzo ottenne dalla Santa Sede e dal re Carlo Felice l’autorizzazione ad alienare convento e chiesa della Madonna delle Grazie con i relativi terreni, con la finalità di raccogliere fondi per i seminari diocesani. Nel contratto di vendita aveva però fatto inserire una particolare clausola: nel caso in cui i parrocchiani di S. Martino avessero deciso, entro il termine di tre anni, di riscattare la chiesa, questa sarebbe stata ceduta loro in base a perizia. La parrocchiale di S. Martino di quei tempi, di cui abbiamo parlato sopra, aveva comunque necessità di urgenti restauri al tetto, con i relativi costi; tra l’altro la chiesa di S. Maria delle Grazie era più grande e più bella (nella foto). Gli abitanti del borgo
decisero quindi, con atto del 22 maggio 1830, di acquistarla per lire piemontesi 7290, mentre l’antica parrocchiale veniva venduta per circa lire 3000 e adibita ad uso profano. S. Maria delle Grazie, che era stata abbandonata per circa quarant’anni, dal 13 aprile 1831 tornò ad essere officiata e divenne la parrocchiale del sobborgo, che andava crescendo di popolazione e di importanza, e prese quindi il titolo di S. Martino. Sul tronco di torretta già esistente, subito dopo l’acquisto, veniva eretto un campanile di 27 metri, dove venivano collocate le campane che pochi anni prima erano state acquistate per la vecchia parrocchiale. Nel 1929 il campanile veniva poi innalzato e rinforzato alla base, mentre nuove campane, unite alle vecchie, davano luogo a un riuscito concerto di 8 campane.
Importanti gli affreschi presenti nella chiesa, che testimoniano la diffusione di questa arte nella seconda metà del XV secolo. Le decorazioni interne sono attribuite a Tommaso Cagnoli, Johannes De Campo e Daniele De Bosis. La facciata, l’interno e il lato destro della chiesa sono ornati da decorazioni in terracotta, testimonianza di una tecnica decorativa diffusa nella seconda metà del Quattrocento nel ducato di Milano, a cui Novara, in quei tempi, apparteneva. Nell’abside si trovano due affreschi coevi (1508/1520). Uno dei due mostra un cavaliere genuflesso davanti alla Vergine. L’epigrafe dice che si tratta di un certo Giacomo, probabilmente un Cunningham, come indicato dallo stemma araldico, che doveva far parte del corpo di guardia di arcieri scozzesi del Re di Francia, a cui apparteneva in quel tempo il Ducato di Milano. Recentemente l’impresa Barberi restauri ha eseguito il restauro dell’abside, mentre ha ancora in corso i lavori in due delle cappelle laterali.
Enzo De Paoli