LE PERLE NERE DELLA MUSICA a cura di Edoardo Ferrati
ENRICO CARUSO: UNA LEGGENDA – Centocinquanta anni fa nasceva a Napoli (quartiere di San Carlo all’Arena) Enrico Caruso (foto nel ruolo di Canio ne “I pagliacci” di Leoncavallo): era il 27 febbraio 1873. Il padre Marcellino lavorava in fonderia, mentre la madre Anna Baldini lavorava come donna delle pulizie. Dopo le scuole serali andò a lavorare con il padre: sotto la pressione materna s’iscrisse a una scuola dove scoprì di essere portato al disegno. Nel frattempo crescevano il talento e la voce. Nel 1881 morì la madre di tubercolosi, poco tempo dopo il padre si risposò con Maria Castaldi. Oltre a cantare nel coro della chiesa, Enrico fece alcune apparizioni in piccoli spettacoli teatrali che ben presto non gli bastarono più. La sua fortuna ebbe inizio quando il baritono Eduardo Missiano, sentendolo durante un funerale, si entusiasmò a tal punto dal presentarlo al M° Guglielmo Vergine.il quale gli impartì le prime lezioni per migliorare la voce, pretendendo il 25% dei compensi dell’allievo con un contratto che sarebbe durato cinque anni.
Ormai si sentiva pronto all’esordio: alla prima della Mignon venne respinto, mentre l’esordio ufficiale reca la data 18 marzo 1896 nel ruolo del protagonista de L’amico Francesco di Mario Morellino, percependo un compenso di 80 lire per quattro recite, ridotte a due per scarsa affluenza di pubblico, nonostante una critica positiva. Iniziò così a prodursi nei teatri di Caserta, Napoli e Salerno. Il primo impegno all’estero fu al Cairo con uno stipendio di 600 lire per un mese di lavoro. Nel corso della stagione estiva a Livorno conobbe il soprano Anna Botti Giachetti, sposata e madre di un bimbo, una relazione che durò undici anni e da cui nacquero due figli Rodolfo ed Enrico, finiva con la fuga della Giachetti che venne condannata a te mesi di reclusione e alla multa di cento lire.
Nel dicembre 1900 alla Scala cantò Rodolfo ne La Bohème diretta da Toscanini e poi al Teatro di San Carlo di Napoli dove la leggenda vuole che nel corso de L’elisir d’amore ebbe la sua prima delusione dovuta, forse, all’emozione o l’insicurezza vocale non lo avrebbero fatto cantare al meglio. Amareggiato dalla reazione dei napoletani, da allora non cantò mai più nella sua città e in Italia., andando così incontro al successo al Metropolitan di New York e in Sudamerica. Fu l’inizio di una clamorosa affermazione durata fino al 1920 per un totale di 861 recite di cui parecchie dirette da Mahler e Toscanini. Il 28 agosto 1918 sposò Dorothy Benjamin, soprano statunitense di buona famiglia, da cui ebbe una figlia Gloria scomparsa nel 1999.Nel 1909 venne operato a Milano per una laringite ipertrofica, intervento che sul momento non compromise la sua carriera tanto da consentirgli la prosecuzione delle sue tournées, senza trascurare le recite di beneficienza nel periodo bellico. Dopo un lungo tour in Sudamerica la salute di Caruso iniziò a peggiorare. L’11 dicembre ebbe una forte emoraggia dalla gola che lo costrinse a sospendere la recita de I Pagliacci dopo il primo atto. Solo il giorno di Natale gli venne diagnosticata una pleurite infetta. Operato il 30 dicembre al polmone sinistro. Trascorse la convalescenza a Sorrento, non gli restavano che pochi mesi. Scomparve il 2 agosto 1921. E’ sepolto a Napoli nella cappella del cimitero di Santa Maria del Pianto a Napoli a pochi metri dalla tomba di Antonio De Curtis, in arte Totò.
Vediamo, ora in breve, come nacque la leggenda di Caruso la cui carriera iniziò con il divenire del repertorio verista che appannava il fascino del tenore romantico. Avanzavano al palcoscenico “amorosi” di bassa estrazione sociale svincolati dalle convenzioni dei ceti aristocratici come alcuni personaggi di Mascagni, Leoncavallo, Giordano e Puccini che richiedevano vampate iperboliche, sfogate sugli acuti estremi e su una vocalità declamatoria più immediata che sembrava trovare l’espressione nel modo d’uccidere o di essere uccisi: Insomma, dopo un lungo periodo di polemiche letteraria il Verismo approdava al palcoscenico d’opera,
L’11 dicembre 1902 a Milano Caruso incise 10 dischi con arie d’opera per la etichetta inglese Gramophone & Typewriter Company .Fu il primo a cimentarsi con grande successo nella nuova tecnologia fino ad allora snobbata dagli altri cantanti. Il primo nella storia del disco a vendere più di un milione di dischi con l’aria “Vesti la giubba” da I Pagliacci incisa nel 1904 e nel 1907 negli Stati Uniti per l’etichetta Victor. Il tenore napoletano fu anche il primo a sfruttare con consapevolezza le potenzialità (anche remunerative) offerte dal disco. La sua fama gli sopravvisse per decenni, restando sempre aperta la caccia tra le grandi voci di tenore (forse Luciano Pavarotti?) non potrebbe essere considerato a buon diritto l’erede .E’ importante ricordare che i metodi di registrazione del tempo non consentivano la completa gamma vocale dell’interprete. I supporti avevano una durata massima di quattro minuti mezzo , molti passi venivano accorciati per rispettare tale limite.
Caruso aveva una voce molto fonogenica. Timbro caldo, vellutato, ma anche pieno, maschile e sensuale con qualche ombreggiatura baritonale si fondeva la lucentezza tenorile. L’emissione spontanea e morbida, l’eccezionale padronanza dei fiati, lo scatto con cui certi acuti vengono ghermiti conferiscono certe vampate sensuali che nascono dal rispetto della tecnica vocale ottocentesca. Nella prima fase della carriera (che termina nel 1905) il timbro è più chiaro e si colgono acuti estremi emessi in falsetto a mezzavoce e smorzature anche se quasi mai in zona alta. Successivamente il timbro diventa più scuro , il canto più aggressivo, gli acuti più impetuosi, ampi. In patica accentuò sia il volume dei centri che degli acuti e come interprete sfoggiò uno slancio e un vigore espressivo rimasti ineguagliati.
Le registrazioni di Caruso non sono mai uscite dai cataloghi con innumerevoli ristampe in formato vinile e compact disc da parte di etichette che si occupano di materiale storico sonoro come l’inglese Nimbus e l’olandese Naxos. Cosa scegliere? Senza dubbio le arie di Canio, Andrea Chénier, Radames, duca di Mantova, Cavaradossi, Rodolfo, don José, Pinkerton e Manrico (1906-17) che riflettono quanto sopra affermato su una una voce ormai storicizzata ed entrata in modo definitivo nella leggenda.