Di ‘Formaggero’ si parla sin dagli Statuti comunali del 1313…
di Antonio Mignozzetti
Formaggero, scrive padre Giovanni Piovano nelle sue “Divagazioni per l’agro chierese”, è un toponimo medioevale che risale almeno al XII secolo, e fin dal 1313 negli Statuti del Comune di Chieri si parla di un “Castrum Formagerii” e di una casata “Formagerio”. Il toponimo si riferisce ad un territorio del Comune di Chieri situato a circa cinque chilometri dal capoluogo e a poco più di un chilometro a sud di Pessione. Oggi il nome si è trasformato in Fortemaggiore. Dell’epoca medioevale è rimasto il rudere di una casa fortificata il cui elemento più appariscente è una torre angolare cilindrica. Attorno ad esso sono sorte delle cascine. Una di esse dal 1682 è appartenuta ai Gesuiti di Chieri, che l’avevano avuta dalla famiglia Buschetti, non si sa bene se in seguito ad un acquisto o ad una donazione. Un’altra, facente parte della Commenda di San Giacomo, apparteneva all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Una terza nel 1741 pervenne alle monache Domenicane di Santa Margherita di Chieri. Piovano riferisce che nel 1771, allorché venne costituita la Contea di San Salvatore (o San Salvà) e venne data in feudo all’avvocato Ignazio Arnaud di Chieri, Fortemaggiore entrò a farne parte insieme alle altre località di Pessione, Casa del Ratto, Motta, Rivara, Tetti Giustino e Gabannone. In epoca imprecisata, in mezzo alle cascine sorse la cappella di San Giacomo Maggiore. “Li padroni di detta cappella – si legge nella relazione della visita pastorale di mons. Giovanni Battista Roero, del 1750 – dicono essere loro Particulari (gli agricoltori del posto, ndr), poiché per lo passato e presente è riputata e provvista a loro spese. I suddetti Particulari fanno celebrare le Messe in tutte le feste… dal sig. don Lucca di Moriondo in qualità di Cappellano, abitante in Chieri, che riceve dai contadini nove sacchi di frumento e sei lire in contanti, per celebrare la Messa e fare catechismo nei giorni festivi. Per la festa di S. Giacomo c’è la Messa cantata e la Benedizione, celebrate da un vicecurato: la spesa è coperta con una colletta di grano fatta dai massari (designati dal curato durante la Messa Grande)”. La visita pastorale descrive anche la cappella: “Lunga circa due trabucchi e larga uno. Tre finestre: due ai lati dell’altare e la terza sopra la porta. Dal soffitto pende la corda della campana. Sopra il muro si vedono alcune scritture vecchie fatte alla mosaica”. C’era un armadio ed un confessionale. Nell’armadio i paramenti e le suppellettili indispensabili, un calice con patena di ottone dorato, tre messali.
Con l’avvento di Napoleone, le cascine appartenenti agli Ordini Religiosi furono incamerate dal Governo e vendute all’asta. Uno dei lotti, messo in vendita “ il 28 Fruttidoro anno VIII (15 sett. 1800)” comprendeva la “cappella di S. Giacomo e un sito di tavole 4 piedi 2 …, beni spettanti alla Commenda di S. Giacomo dell’inaddietro Religione dei SS. Maurizio e Lazzaro”: il lotto venne venduto per 400 lire e acquistato dal conte di Ormea. Ma la cappella continuò ad essere officiata. Fra l’altro, il 21 luglio 1839 il canonico Curato della Collegiata Sebastiano Schioppo chiese ed ottenne dall’Arcivescovo l’autorizzazione ad erigervi la Via Crucis. Verso la fine dell’Ottocento fu totalmente restaurata, tanto che il 22 settembre 1874 il canonico Curato Andrea Oddenino chiese all’Arcivescovo l’autorizzazione per benedirla di nuovo. L’Arcivescovo Lorenzo Gastaldi, con documento del 24 settembre 1874, dette il consenso e incaricò della funzione lo stesso don Andrea Oddenino. Attualmente l’arredo, molto essenziale, annovera due quadri di discreta fattura, uno dei quali raffigura la Madonna col Bambino e i Santi Giacomo apostolo Marco evangelista, l’altro la Madonna col Bambino e San Marco. E’ strana questa doppia presenza di San Marco, visto che, secondo vari documenti, la cappella è dedicata a San Giacomo e a San Cristoforo. Attualmente (2024) non viene più officiata.