CENTOTORRI/SFOGLIA LA RIVISTA – CHIERI COM’ERA. Maddalena, l’arte di annodare i fili dell’ordito

 

 

Madlinìn, storica dipendente di due ditte chieresi, divenne famosa lavorando come gròpoira

di Valerio Maggio

 

Maddalena Agnolio, Madlinin (1887 – 1979) – nella foto in piedi in seconda fila, ultima a sinistra, con i capelli bianchi – è stata una storica dipendente della ditta Tinelli e successivamente della Costa & Vay quando – sia la prima, sino alla chiusura, sia la seconda sino al trasferimento in via Campo Archero 8 (per la tessitura) e in via Gualderia 3 per (stamperia e laccatura)  – più tardi in corso Matteotti 81 sotto il solo marchio Vay – avevano sede in piazza Angelo Mosso. Negli anni successivi, negli ambienti tessili chieresi e in particolare in quelli degli ‘artigiani conto terzi’, Madlinin diventerà famosa praticando, dapprima come secondo lavoro, il mestiere di gròpoira, (annodatrice) ovvero: «colei che, a mano, annoda i fili dell’ordito – quelli che, partendo dal subbio posteriore rimovibile, passando per maglie, licci e pettine – vanno a collegarsi al subbio fisso posto nella parte anteriore del telaio (n.d.r.)».

Maddalena Agnolio – Bauducco (il marito, Vittorio Bauducco era stato consigliere comunale socialista nel ‘biennio rosso’ con le Giunte Davico/Menzio) eserciterà questa professione, per quanto possa ricordare io, tra i primi anni del secondo dopoguerra e la metà degli anni ’60 quando questa occupazione, seppur ricca di arte manuale, verrà rimpiazzata dalla ‘macchina annodatrice’ capace di fare il lavoro di giorni in poche ore. Saranno le sorelle Chiosso con il papà Matteo ad acquistarne dapprima una, poco dopo una seconda, diventando ben presto – soprattutto con Margherita – l’unica realtà chierese in grado di servire le piccole e medie tessiture.

Nemmeno l’avvenuta automazione scoraggerà Madlinin, forte della sua clientela formata da tessitori con un esiguo numero di telai (tre quattro) spesso ospitati nella boita di famiglia quasi sempre ricavata in angusti spazi interni all’abitazione. Per quelle realtà affidarsi alle mani della gròpoira (a quei tempi altre tre storiche rispondevano ai nomi di Giòana, Neta – Netun e Camila) diventava un rito da celebrare con un’attenzione che aveva del sacro sin da momento in cui  – munita di cenere e scaranfonia per far scorrere meglio i fili tra le dita, dopo essersi accomodata su di un minuscolo e scomodo sgabello – cominciava ad annodarli sin dove arrivavano le mani. Solo dopo si sarebbe spostata per guadagnare altri spazi – questa volta sin dove avrebbe potuto allungare le braccia – per continuare quell’ incredibile opera di ingegneria, quasi miracolosa, che era il trovare, tra migliaia di fili, quello giusto da legare all’altro attraverso una combinazione dagli aspetti incredibili. Da parte del titolare esisteva la consuetudine, quasi l’obbligo, di far tacere, per qualche tempo, i telai per poter intrecciare con l’ospite quattro chiacchiere legate ai più recenti pettegolezzi. A volte, invece, si trovava il modo di imbastire racconti prendendo spunto dalla filiera dei tessuti: fusi, fusaioli, spade, pettini rocchetti e aghi. Oggetti già allora secolari ma sempre capaci di tessere memoria ispirandosi a storie di vita vissuta.

Foto Biblioteca civica N. Francone (Archivio storico, sezione storia locale)