CHIERI. SORPRESE DI ARTE E DI STORIA. Un’antica lapide e una disarmante testimonianza di fede
Nella cripta del Duomo di Chieri è esposto il frammento di una lapide del V secolo che è difficile leggere restando impassibili. Questo ne è il testo (completato nelle parti mancanti dall’archeologo Giovanni Battista De Rossi): “Qui riposa in Cristo Genesia, che è stata tolta al mondo affinché vivesse in eterno, non consegnata alle pene dell’inferno ma destinata al premio eterno; che così brevemente visse in terra perché più santa migrasse in cielo; cara a tutti nel mondo, più cara nell’eterno Paradiso di Cristo, al quale è stata offerta come ostia.Visse due anni, mesi…, giorni due. È stata sepolta l’8 giugno dell’anno in cui erano consoli Dinamio e Sefidio (cioè del 488, ndr)”. È evidente che la lapide proviene dalla tomba di una bambina, Genesia, morta nell’anno 488 all’età di poco più di due anni.
Un reperto come questo suscita subito una domanda: come mai una lapide funebre del V secolo in una chiesa del 1400? La risposta la si può leggere in qualsiasi libro di storia locale: il Duomo sorge sul sito di una chiesa paleocristiana e del suo cimitero; non deve meravigliare, perciò, che talvolta, come in questo caso, riemerga qualche testimonianza di quell’epoca. Questa lapide, restituita da qualche scavo, nel 1400 era stata riutilizzata come un qualsiasi materiale edilizio. E’ stata ritrovata nel 1875 durante il restauro della facciata ed esposta nella cripta. Ma il principale motivo di interesse di un reperto come questo è un altro. Si rilegga con attenzione il testo, e lo si faccia con la consapevolezza che è stato scritto nell’anno 488 dopo Cristo. Ci si renderà subito conto che si tratta di una grande e matura testimonianza di fede: della fede di due genitori che, pur nello strazio per la perdita di una figlia di due anni, trovano conforto nella certezza nella vita eterna. Dal che si deduce che nella Chieri del V secolo doveva già esistere una comunità cristiana strutturata, dalla fede genuina e sorprendentemente matura.
Antonio Mignozzetti