CHIERI, SORPRESE DI ARTE E STORIA. L’ARCO: UN MONUMENTO DA CUI STARE ALLA LARGA!

Un’opera pubblica scalognata! diremmo oggi a proposito dell’Arco di Piazza. E non solo, né soprattutto, perché a scadenze regolari ha avuto bisogno di una serie interminabile di riparazione e restauri,  ma soprattutto  perché la sua storia è accompagnata da disgrazie: e quel che più impressiona, non da disgrazie di lieve entità.

Originariamente sulla trabeazione comparivano una serie di statue, non sappiamo se di marmo o di stucco.   Nel 1593 una di esse cadde, uccidendo la moglie di tale Baldassarre Ghignone. Il Comune, per precauzione (e chiudendo la stalla dopo la fuga dei buoi)  le rimosse tutte,  ad eccezione di quelle del Duca Carlo Emanuele I e della Duchessa Caterina di Spagna che erano collocate più in basso, in due nicchie. (Nel qui riportato disegno di  Mario Ludovico Quarini, del 1785, compaiono ancora le statue della trabeazione, ma solo perché  Quarini ha voluto rappresentare l’Arco come era originariamente).

Risulta che nel 1620 siano stati necessari non meglio precisati interventi di restauro, che arrecarono qualche danno all’abitazione confinante di Giacomo Montefamerio, il quale per questo intentò una causa, vincendola, contro l’Amministrazione Comunale .

Nel 1761 ci fu di nuovo un crollo, questa volta di una parte dell’arco verso la chiesa di San Filippo, e anche stavolta ci scappò il morto: sotto le macerie rimase un certo Francesco Bertinetto di Superga.  Nella seduta  del 21 aprile 1761, presieduta dal sindaco Angelo Baudo,  il Consiglio comunale decise di procedere immediatamente al restauro, incaricando il Sindaco di cercare un bravo architetto: fu scelto Bernardo Antonio Vittone, che a Chieri aveva eseguito varie opere, e anche in quel momento, sempre su incarico del Comune, era impegnato nell’ampliamento e nella ristrutturazione  della cappella della Madonna delle Grazie all’interno del Duomo.

Antonio Mignozzetti