CHIERI. SORPRESE DI ARTE E DI STORIA. La cappella privata del Seminario dei Gesuiti nel complesso di Sant’Antonio

Come il complesso di San Filippo Neri, anche quello di Sant’Antonio, lungo tutte le fasi della sua travagliata esistenza, oltre alla chiesa dedicata al Santo titolare aperta al pubblico ha sempre avuto, ed ha tuttora, una cappella interna privata, riservata ai religiosi. Ma mentre quella dei Filippini dall’inizio ad oggi è sempre rimasta nello stesso luogo (all’inizio del corridoio d’ingresso), quella dei Gesuiti ha subito più di un trasferimento. Originariamente era al pianterreno.

Nel Settecento fu trasferita al piano superiore dell’ala verso il giardino.

Fra il 1885 e il 1886, quando i Gesuiti, dopo la seconda soppressione della loro Compagnia, tornarono nella loro antica sede chierese e oltre al Noviziato vi trasferirono anche il loro Seminario, dotarono l’uno e l’altro di una nuova cappella, quella della quale stiamo parlando, anch’essa posta al piano superiore ma dell’ala prospiciente la via Maestra: una cappella “… splendida davvero – come sottolineano con orgoglio le cronache della Compagnia – nella sua forma di vera chiesa con bei dipinti e con l’altare di marmo”.

Grazie alla lanterna della volta che emerge dai tetti, è individuabile anche dall’esterno.

Curiosamente, questa cappella è sopravvissuta alle profonde trasformazioni subite ultimamente dal complesso di Sant’Antonio: è ancora lì, con intatte le volte e le pareti affrescate, anche se trasformata in un grande ufficio. Probabilmente, nel momento in cui i Gesuiti hanno deciso di alienare il loro storico complesso, a pretendere che la cappella venisse risparmiata è stata la Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici del Piemonte.

Quel che è più curioso è che, nascosto dietro una falsa parete, esiste ancora il bell’altare di marmo bianco, ancora in buono stato e sovrastato dalla sua pala, opportunamente coperta da una protezione di legno. Ma quasi dimenticato com’è, e trasformato in base di appoggio per scatoloni ed oggetti vari, è diventato la perfetta metafora della poca o nessuna considerazione nella quale oggi è tenuto il “sacro”, non solo nel mondo laico ma, purtroppo, spesso anche in quello ecclesiale.

Antonio Mignozzetti