Condannato a morte ricercatore iraniano dell’Università del Piemonte Orientale
Ahmadreza Djalali, un medico iraniano che ha lavorato per quattro anni all’Università del Piemonte Orientale di Novara come ricercatore capo del Crimedim, il Centro di ricerca in medicina di emergenza e delle catastrofi, è stato condannato a morte in Iran, accusato d’essere una spia.
Dopo aver conseguito il dottorato di ricerca al Karolinska Institutet di Stoccolma, per quattro anni ha lavorato a Novara, dove si è conquistato la stima e l’affetto dei colleghi che lo aspettavano per un convegno al quale non è mai arrivato.
Il medico, che vive con la famiglia a Stoccolma, periodicamente si recava nel suo Paese, dove nell’aprile scorso è stato arrestato e rinchiuso in isolamento nel terribile carcere di Evin, un buco nero a nordovest di Teheran, da cui molti non sono tornati.
Pochi giorni fa la terribile notizia che il medico è stato condannato a morte e l’esecuzione avverrà entro due settimane.
In molti si sono mobilitati per far conoscere al mondo la sua storia: i suoi colleghi e amici di Novara hanno lanciato una petizione sui social; all’appello hanno aderito il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, l’assessore Antonio Saitta e il consigliere Domenico Rossi.
La petizione si può firmare su change.org, una pagina Facebook ha il titolo di Freeahmadreza. La petizione sarà consegnata al presidente iraniano Hassan Rouani e al consigliere dell’ayatollah Ali Khamenei, Mohammad Javad Larijani. Inoltre, verrà consegnata al premier italiano Paolo Gentiloni, al ministro degli Esteri Angelino Alfano, alla responsabile della politica Estera europea Federica Mogherini, al presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani, al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.