Nella cantina di una cascina vicina a Casa Zuccala, nel 2000, Guido Vanetti ha scoperto le tyracce di un antico ipogeoI Longobardi a Marentino?
di Ugo Melagrana e Antonio Mignozzetti.
UN PO’ DI STORIA. Nella primavera del 580 l’orda longobarda, lasciate alle spalle le pianure ungheresi, aveva scavalcato le Alpi invadendo la pianura padana e le regioni interne della penisola. Gli “uomini dalle lunghe barbe” avevano fondato un nuovo regno, con capitale Pavia, suddiviso in provincie e ducati. “La seconda provincia – scrive Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum – era la Liguria, che si estendeva dall’Adda sino al confine della Gallia…” e comprendeva, quindi, anche il Piemonte. Qui come altrove, gli arimanni, i guerrieri vincitori, che rappresentavano una piccola minoranza della popolazione totale, si insediarono “a macchia di leopardo” nelle zone più fertili. Vi fondarono le “cortes”, sorta di aziende dove vivevano da padroni, sfruttando il lavoro dei nativi. Le cose andarono avanti così fino al 774, quando il regno longobardo cadde sotto i colpi degli eserciti di Carlo Magno.
E’ CERTO CHE NEL TERRITORIO CHIERESE CI FURONO INSEDIAMENTI LONGOBARDI: lo attestano vari documenti. Lo provano anche alcuni ritrovamenti archeologici: una necropoli imponente, con 350 scheletri di guerrieri, a Testona; altre tombe sotto il battistero di Chieri; piccole croci longobarde in lamina d’oro a Carignano e a Madonna della Scala.
VI FURONO LONGOBARDI ANCHE A MARENTINO? Lo si pensa da tempo, soprattutto da quando, presso la villa Monplaisir, fu ritrovata una delle solite piccole croci in lamina d’oro, oggi conservata al Museo di Antichità di Torino. Ma cinque anni fa, nel 2000, l’ipotesi ha avuto una conferma, quando il prof. Guido Vanetti, visitando per puro caso la cantina di una cascina in località S. Sebastiano, nei pressi della nota Casa Zuccàla, intuì che la parte più profonda di essa era in realtà un manufatto molto più antico di quanto si credesse. Ma ascoltiamo come sono andate le cose dal racconto che ne fanno i cortesissimi proprietari della cascina, i signori Maria e Claudio.
NON SOLO “INFERNOT”. “L’esistenza di una grotta al di sotto dei nostri scantinati non è una scoperta recente –dice la signora Maria -: quella cavità noi la conosciamo e la usiamo da sempre, da quando abitiamo qui. Io l’ho frequentata fin da bambina”. “Probabilmente – aggiunge il sig. Claudio – essa fu scoperta attorno al 1850, quando fu costruita la casa. Ma nessuno, né allora né in seguito, ci fece gran caso. E’ stata sempre considerata un semplice “infernot”, uno dei tanti sparsi per le colline chieresi e del Monferrato, ottimo per conservarvi il vino e altre cibarie”. “A dire il vero –continua la signora Maria – qualche volta ci siamo poste delle domande sulla sua possibile origine, senza, però, trovare risposte. Qualcuno ha sostenuto che potesse trattarsi di una di quelle gallerie, scavate come vie di fuga dall’antico castello verso la valle, di cui da sempre si favoleggia qui a Marentino”. Si, avevano notato sulle pareti della grotta alcune sculture rudimentali, ma le avevano attribuite a qualche buontempone desideroso di misurarsi con Donatello e Michelangelo, con risultati alquanto deludenti. Il Vanetti, invece, appena entrato, si rese conto di essere davanti a ben altro: un antico ambiente ipogeo, forse di epoca celtica o longobarda. “ La datazione esatta è molto difficile – dice il professore – perché essendo il complesso scavato in un’arenaria molto fragile, non è più molto leggibile. Dovrebbe, comunque, essere di epoca longobarda”. La dott.sa Gabriella Pantò, della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte, è dello stesso parere: ”I caratteri stilistici e l’iconografia delle rappresentazioni – scrive in una sua relazione- rinviano al mondo altomedievale….Un orizzonte tra tardo VIII e IX secolo appare il più probabile”. Confrontando, infatti, i bassorilievi dell’ipogeo di Marentino con altri di epoca longobarda rinvenuti in varie parti d’Italia, di cui il prof. Vanetti ci mostra le foto, ci si rende conto della loro impressionante somiglianza.
L’IPOGEO. “Questo tipo di ipogeo – aggiunge il professore – caratteristico dell’età paleocristiana, lo troviamo in tutto il mondo mediterraneo. Dalle nostre parti è quasi unico. Simile a questo conosco solo quello di Cisterna d’Asti, sotto il castello”. Il complesso inizia con una ripida scalinata ( n. 1 nella riproduzione della sezione, in questa stessa pagina) che dalla parte superiore dello scantinato scende fino ad un piccolo atrio (2). Questo, un tempo doveva essere sostenuto da due colonne, delle quali è stato rinvenuto un solo capitello. Da qui, scendendo altri gradini (3), si entra in un ambiente perfettamente quadrangolare, di m. 2,90 x 2,70 (4). Siamo otto metri sotto il livello stradale. Nella parete di fronte all’ingresso, si intuisce una Madonna col Bambino, appena leggibile, perché molto deteriorata. La pseudovolta poggia agli angoli su quattro capitelli dalla forma di teste aureolate. Quella dell’angolo di sinistra, l’unica abbastanza leggibile, è una rudimentale immagine di Cristo, facilmente identificabile per la sua aureola crociata. Le altre tre sono troppo consumate per poterle identificare. Sulla parete destra di chi entra, è scavata una nicchia, dalla forma molto regolare, che poteva servire ad appoggiare anfore o lampade. Altre incisioni e nicchie sono lungo le pareti della gradinata. Attorno agli stipiti dell’ingresso, alcune cavità fanno pensare a fori destinati alle torce.
TOMBA O CHIESA? “Risulta al momento difficile stabilire la funzione cultuale o funeraria dell’ambiente…” si legge nella relazione della dottoressa Pantò . Vanetti, invece, è senz’altro per l’ipotesi “chiesa” o, comunque, luogo di culto. “Ma – si domanda- perché un luogo di culto sotterraneo e così decentrato rispetto all’abitato”? “ Forse – è la risposta dello stesso Vanetti – perché si trattava di un culto segreto, magari ariano, proibito in un’epoca in cui ormai la maggior parte dei Longobardi si era convertita al cattolicesimo”.
FORSE C’E’ DELL’ALTRO. Sulla parete di arenaria, a sinistra dell’imbocco della gradinata, si nota un’altra sagoma arrotondata, modellata in modo da far pensare ad un altro tunnel, attualmente interrato. Che ci sia qualcos’altro da scoprire? I signori Maria e Claudio non lo escludono, e nemmeno il prof. Vanetti. La Soprintendenza ha intenzione di eseguire ulteriori scavi per verificare. Ma ora mancano i fondi necessari: se ne riparlerà in futuro. Non è da escludere che potremo raccontare un altro capitolo di questa intrigante storia.