Asti- Lunghi applausi di commozione per la senatrice Liliana Segre ospite di Passepartout
Che fosse una giornata diversa dalle altre al Passepartout Festival si poteva intuire già dalla lunga fila formatasi davanti al portone ancora chiuso della Biblioteca Astense, in via Carducci. Pazientemente gli astigiani hanno atteso di poter accedere al cortile della Biblioteca, incuranti del sole e delle auto che chiedevano strada, per partecipare all’appuntamento di sabato 9 giugno con Liliana Segre, senatrice, sopravvissuta, testimone.
La platea alle 18, ora prevista per l’inizio dell’incontro, è già abbondantemente al completo e i nuovi arrivati, che hanno continuato a guadagnare l’ingresso, hanno dovuto accontentarsi dei posti in piedi. Ma nessuno ha rinunciato all’evento. La senatrice Segre, vestita di bianco, è arrivata pochi minuti dopo le 18, accompagnata da Alberto Sinigaglia, direttore scientifico del Festival, da Roberta Bellesini, presidente della Biblioteca Astense e da Maurizio Molinari, direttore de La Stampa cui è affidato il compito di condurre l’intervista.
Si crea subito una sintonia tra il pubblico e il palco. Il silenzio è quasi irreale in platea. Tacciono i presenti, tacciono persino i cellulari e nessuno perde una parola di quanto Liliana Segre dice col suo tono asciutto, preciso, lucido. La sua è una testimonianza, lo ripete spesso, di quello che ha vissuto quella Liliana di 13 anni, giunta ad Auschwitz-Birkenau per la sola colpa di essere nata. Di essere nata ebrea ai tempi del nazi-fascismo, ma per la Segre questa è una precisazione inutile.
Eravamo senza colpa – dice a più riprese – se non la colpa di esser nati“.
Ha impiegato molti anni la Segre prima di decidere di parlare di quegli avvenimenti (aveva già compiuto 60 anni), ma da allora non ha mai smesso di testimoniare. Nelle scuole soprattutto, incontrando i ragazzi ai quali è più importante far sapere. E ha vissuto, incontrato l’amore. Ha costruito una famiglia, avuto dei nipoti che la considerano una “persona importante”.
Sceglievamo la vita – racconta – non si parlava della morte nel campo. Non guardavamo i forni crematori, le cataste di scheletri, le compagne in punizione lungo le recinzioni. Sceglievamo la vita, nonostante tutto. Sembrerà assurdo, ma l’unica cosa di cui parlavamo tra compagne erano le ricette di cucina che ricordavamo della vita familiare. Perché cosa c’è di meglio per vincere la fame che parlare di cucina?”.
Ricorda il suo recente discorso in Senato, nel quale si è schierata contro l’avanzare dei razzismi e delle persecuzioni dei popoli nomadi.
Sono stata una clandestina nel mio paese, con documenti falsi – ha continuato nel suo racconto senza pietismi – e sono stata una richiedente asilo. Quell’asilo che mi è stato negato”.
Il racconto dell’arrivo in Svizzera, di quello che poteva essere la salvezza e che si rivelò come una vana speranza, rifiutati dalle guardie di frontiera, è particolarmente duro.
Eppure la senatrice rifiuta di puntare il dito. Ricorda i nomi delle persone che rimasero amiche anche dopo l’espulsione dalla scuola a causa delle leggi razziali. Rifiuta di fare i nomi delle compagne che si dileguarono, indifferenti a quello che succedeva. Ricorda la pietas dei detenuti comuni di San Vittore che li incoraggiavano e salutavano benedicendoli quando vennero caricati sui camion per la deportazione. Accenna soltanto ai vicini di casa, ai cittadini liberi che non ebbero il coraggio di uscire in strada davanti a quei camion della disperazione.
E mentre racconta, negli occhi di chi ascolta si manifesta la commozione interrotta più volte dagli applausi di vicinanza, più che di approvazione.
Allora ero vecchia – dice – oggi ho compassione per quella sciocca ragazza. Una come tante. E non so come sia sopravvissuta a tutto quell’orrore indicibile. Perché abbiamo visto l’indicibile. Ma in fondo, ora che potrei essere la nonna di quella Liliana, so che non sono diversa da allora e che quell’orrore non mi ha cambiata. Ho continuato a scegliere la vita“.
E il pubblico di Passepartout ha scelto di rendere omaggio a Liliana Segre, salutandola con un lungo, emozionante applauso, espressione del ringraziamento per la sua testimonianza così piena di verità e per aver vissuto una giornata da raccontare. Peccato per chi non c’era!
Carmela Pagnotta