LIRICA: GRANDI VOCI PIEMONTESI a cura di Edoardo Ferrati
OLIVERO Magda, propr. Maria Maddalena, soprano
Saluzzo (Cn), 25 marzo 1910; Milano, 8 settembre 2014
Figlia di un magistrato, svolse il ciclo completo di studi (pianoforte, armonia, composizione) con diploma al Conservatorio di Torino. Allieva per il canto di Luigi Rizzi e Luigi Gerussi. Esordì a Torino nel 1933 al Teatro Vittorio Emanuele in Gianni Schicchi (Lauretta) di Puccini, autore in cui riscuoterà memorabili successi, scrivendo pagine d’oro del melodramma ormai entrate nella leggenda. Nel 1938 esordì alla Scala in Marcella di Giordano. Roma e Trieste furono le sedi successive in cui si produsse. La carriera del soprano saluzzese sembrò definitivamente chiusa quando nel 1941 si unì in matrimonio con l’industriale Aldo Busch. Dieci anni dopo (1951), su richiesta di Cilea, ritornò sulle scene al Teatro Grande di Brescia con Adriana Lecouvreur, suo cavallo di battaglia. Si esibì nei principali teatri italiani, soprattutto a fianco di Giuseppe Di Stefano ((Manon Lescaut, Traviata), Franco Corelli e Mario Del Monaco. A partire dal ’53 l’ascesa internazionale a Londra, Vienna e il tardivo esordio negli Stati Uniti (1967) a Dallas nella Medea di Cherubini, sede dove la cantò pochi anni prima Maria Callas: il successo fu travolgente e questo le valse la chiamata al Metropolitan di New York dove fu protagonista di ben cinque edizioni di Tosca accanto a Luciano Pavarotti con cui fu anche a Rio de Janeiro e Caracas. In occasione del centesimo compleanno partecipò a trasmissioni televisive sulle reti Canale 5 , Rai3 e Radio3.
Dotata di una tecnica eccezionale del fiato esemplare che le consentì di eseguire filature delicatissime e di solida musicalità. L’ Olivero ha saputo conservare se non migliorare le proprie qualità vocali per un lasso di tempo lungo, quasi del doppio rispetto alla durata normale di una carriera. La voce è subito riconoscibile per la pronuncia personale chiarissima e, soprattutto, per l’estrema duttilità nel modificare timbro e dinamica a secondo delle esigenze espressive. Altrettanto è magistrale il talento della musicista prima ancora che della cantante. A tutto questo si aggiungeva una altrettanto intensa presenza scenica. La sua arte, forse, può muovere controversie, ma non lascia indifferenti. La Olivero è annoverata tra le grandi cantanti-attrici del secolo scorso come Claudia Muzio o Maria Callas.
Resta un mistero come mai le case discografiche non abbiano mostrato interesse per una cantante di tale levatura: fecero eccezione la Cetra con una Turandot integrale (Liù, EIAR di Torino, 1936) e la Decca con Fedora di Giordano (1959) e una selezione da Francesca da Rimini con Del Monaco (1970) realizzata a Montecarlo a fine carriera. Per fortuna restano parecchi documenti “lives” tra cui Mefistofele (Rio de Janeiro, 1960), Medea (Dallas, 1967), Fanciulla del West (Trieste, 1963), Madama Butterfly (Napoli, 1961). Infine, due video testimoniano la classe scenica: Adriana Lecouvreur (Napoli, 1959) e Tosca (Milano, 1960) per l’etichetta Hardy Classics.
BURZIO Eugenia, soprano
Poirino, 20 giugno 1882; Milano, 18 maggio 1922
Primogenita del medico Domenico Maurizio Agostino Burzio (1851-1909) che si unì in matrimonio con la chierese Luigia Margherita Ducato (1859-1906) da cui nacquero altre due figlie Rosa (1883-1954) e Romana (1884-1947).Guadagnò per concorso l’ammissione al Conservatorio di Milano dove fu allieva della celebre Carolina Ferni. Nel corso di circa un ventennio conquistò un ruolo preminente nella storia del teatro lirico dei primi vent’anni del secolo scorso., Non ci sono tracce di un suo ritorno nella natia Poirino, mentre è noto che a Chieri venne a riposare e studiare alla cascina Croce, di proprietà del nonno Eugenio Ducato, sulla strada che da Chieri va alla frazione Airali e abitata per lungo tempo da Giovanni Zainolo, figlio dell’ultimo fattore della famiglia Burzio. Dopo due pubblicazioni che videro la luce nel 1982 (centenario della nascita) e nel 1999 (centenario dell’esordio) si ritenne chiuso il discorso quando nel maggio 2004 venne scoperto a Domodossola un archivio di proprietà di Giuseppe Zanotti Fragonara contenente materiale di grande interesse: fotografie, locandine, giornali d’epoca, lettere, spartiti con note autografe a cui va aggiunto il corpus artistico della sorella Romana, affermata pittrice. Un fondamentale ritrovamento che obbligò gli studiosi a rivedere l’intera parabola artistica della stessa Burzio. Zanotti Fragonara venne casualmente a conoscenza della prima pubblicazione (1982). Solo allora si ricordò che nella cantina dei genitori, amici della famiglia Burzio, giaceva questo fondo, ormai abbandonato da anni, che rischiava di finire al macero.
Comunque il dottore di Domodossola non perse tempo e realizzò un elegante e informato sito web sulla cantante, tuttora attivo. Da queste inedite carte è emersa una figlia illegittima di nome Sofia, nata nel 1907 da una relazione con il noto tenore spagnolo Licilio Calleja e che visse lontana dalla madre. In precedenza la cantante sposò il notaio torinese Ugo Ravizza (20 agosto 1901) la cui unione durò appena un anno. Una nefrite trascurata portò al decesso dell’artista, avvenuto a Milano il 18 maggio 1922. Dopo i funerali, a cui parteciparono le più importanti personalità musicali, tra cui Toscanini, la salma giunse a Chieri, via, ferrovia, dove venne tumulata nella tomba di famiglia., salvata dalla rovina nel 2001 dopo una ricognizione e relativa bonifica.
La Burzio esordì appena diciassettenne il 19 dicembre 1899 al Teatro Vittorio Emanuele di Torino in Cavalleria rusticana (Santuzza): la sua storia sulle scene del capoluogo sabaudo si ridusse a sole due altre presenze nel 1911/12 al Teatro Chiarella. Interprete della prima italiana de La fanciulla del West di Puccini, diretta da Toscanini, al Costanzi Roma (maggio 1911), a cinque mesi di distanza dalla prima di New York. Ritenuta una delle più forti personalità dell’epoca, la sua usa è una testimonianza, davvero rara, di come sia possibile conciliare temperamento passionale e opulento quanto a timbro vocale con le esigenze del verismo e del neo-belcantismo, tenendo ben saldi i fondamenti della scuola ottocentesca appresi dallo studio con Carolina Ferni, uno dei migliori soprani drammatici della seconda metà dell’Ottocento, già allieva di Giuditta Pasta, leggendaria prima Norma. I caposaldi del repertorio della Burzio furono: Africana (Suleika) di Meyerbeer, Santuzza, Norma, Gioconda, Ballo in maschera (Amelia), Forza del destino (Leonora), Trovatore (Leonora), Tosca, Aida.
Quale ruolo le spetta nell’olimpo delle primedonne? Forse, la posizione più propria coincide con quella della cèca Emmy Destinn (1878-1950), Ambedue voci imponenti, donne di vasta cultura con un tratto in comune di una vita sentimentale inquieta e di travaglio nervoso, affrontarono anche il medesimo repertorio. La Burzio proietta la sua maestosa ombra sul versante più spiccatamente drammatico come le coeve Ester Mazzoleni, Emma Carelli, Celestina Boninsegna, Giannina Russ, Tina Poli Randacio dominatrici delle scene internazionali.
I dischi della Burzio sono il fedele specchio di come una cantante, dotata di acuta intelligenza e consapevole talento, abbia saputo mediare la grande tradizione del melodramma ottocentesco con l’urgenza espressiva del suo tempo.
Tra il 1905 e il 1916 incise per le etichette discografiche Fonotipia, Columbia, Pathé, Phonographe ottantasei facciate di cui diciannove non vennero pubblicate per ragioni rimaste sconosciute. Tali documenti sonori confermano una voce ampia dal bel timbro, robusta tanto nel proiettarsi all’acuto con forza, non di rado impressionante, quanto nello scendere al registro medio-grave con aperture di suono poste in deliberato contrasto con assottigliamenti eterei: il tutto nel quadro di una dizione dove viene sottolineata la forza esplosiva delle consonanti.
Le mie preferenze vanno ai dischi Fonotipia (1905-08) a cominciare dal brano “Ma dall’arido stelo divulsa” (Ballo in maschera) dove la Burzio fa uso di quelle riprese di respiro usate a fini espressivi e che sono peculiari delle sue interpretazioni. Le due arie “Madre pietosa Vergine” e “Pace, pace mio Dio” (Forza del destino), stupendamente cantate, possono suscitare qualche riserva per i tempi lenti e vistosi rallentandi sempre indicati con chiarezza al mezzo espressivo, In “Casta diva” (Norma) la voce viene manovrata sul contrasto tra un granitico registro di petto, i suoni chiari del medium e quelli penetranti del registro acuto. Impressionanti i lancinanti acuti dei la naturali che illuminano il racconto di Santuzza. Nella scena del suicidio (Gioconda) aggredisce i suoni con un’ampiezza che apre il centro alla ricerca di inflessioni scure, improntate a delirante platealità. Esempio di vocalità che sa benissimo appoggiare e controllare il fiato con alternanza di tinte delicate a schianti tellurici. Le registrazioni, partiture alla mano, rendono conto di una lettura opera di una grande musicista fedele alla scrittura e alle rispettive indicazioni.
La Burzio è tra le voci più ricercate dall’antiquariato discografico, diffuso soprattutto in area anglo sassone. L’etichetta statunitense Marston Records, specializzata in riversamenti di registrazioni storiche, nel 2007 ha edito un doppio cofanetto in versione CD dell’omnia in disco della Burzio la cui voce viene conservata nell’immediatezza e nella gamma degli armonici originali, senza rinunciare alle tecniche più sofisticate per ridurre il fruscio e i rumori estranei alla musica. Gli esiti sono di notevole qualità del suono ricavata da problematiche incisioni acustiche. Non di minore qualità è il fascicolo illustrativo che accompagna il box arricchito dagli illuminanti saggi di William Askbrock e John Ardoin, purtroppo solo in lingua inglese. Peccato che tale importante prodotto editoriale sia di non facile reperibilità sul mercato italiano.
(7. fine)
I precedenti articoli sono stati pubblicati: 11-18-25-31 luglio, 14-25 agosto.