Leonardo e la musica – di EDOARDO FERRATI
“OGNI NOSTRA CONVINZIONE PRINCIPIA DAI SENTIMENTI”: LEONARDO E LA MUSICA
Le numerose mostre disseminate nel mondo per celebrare il quinto centenario della morte di Leonardo, non hanno indagato un aspetto meno noto,quello della sua passione per la musica, definita da lui stesso raffigurazione dell’invisibile. ed è in questa prospettiva che vanno collocati i suoi progetti di acustica e di nuovi strumenti musicali. Leonardo era anche un compositore ( a riguardo non è pervenuto nulla), secondo le testimonianze di Giorgio Vasari pare che cantasse benissimo accompagnandosi con una lira da lui stesso costruita. Leonardo era affascinato dal mondo uditivo. Il suono gli serviva come strumento critico per spiegare i fenomeni naturali, le varie analogie tra gli strumenti e gli eventi legati all’universo fisico, cioè le leggi della natura. Gli strumenti musicali gli offrivano l’opportunità tangibile di confrontarsi su specifici dilemmi acustici che gli permettessero di approdare a tecniche ibride per la produzione del suono. Nel Codice Atlantico e in quello di Madrid sono presenti venti disegni di strumenti che il liutaio calabrese Michele Sangueto ha “costruito” basandosi sui bozzetti leonardeschi e perfettamente funzionanti. L’idea vinciana che accompagna questi progetti di costruzioni musicali è quello della produzione di un suono. Per Leonardo la musica era la chiave di accesso al mondo invisibile, un mondo che non si poteva vedere, toccare ma che esiste. E’ un mondo che affascinava non solo i suoi contemporanei, ma anche gli studiosi di oggi che tentanto di carpirne il segreto. E la musica era la cosa più vicina allo spirito.Visto che non ci è pervenuta alcuna testimonianza musicale autografa, vediamo un po’ come la vita musicale a Milano al tempo dello stesso Leonardo presso la corte ducale degli Sforza dove fu attivo per quasi diciotto anni (1480-1498).Nella prima edizione a stampa (1717) del vinciano Trattato della Pittura (custodita ai Musei Vaticani) leggiamo al capitolo XXV: La musica non è che da essere chiamata altro che sorella minore della pittura (…) La pittura signoreggia la musica cosa non umana, immediata dopo la sua creazione, Sventurata musica che si dimostra in qual fatto solo una superficie. Milano all’epoca era un punto d’incontro di raffinate professionalità musicali grazie ai rapporti della sua aristocrazia con gli ambienti franco-fiamminghi. Gli autori “oltremontani” (cioè passati oltre le Alpi), cercarono di introdursi nell’ambiente della corte sforzesca e farsi riconoscere come depositari del sapere musicale. Un osservatore come Lodovico Guicciardini prende atto in un passo del suo lavoro Descritione di tutti i Paesi Bassi: “Questi sono veri e propri maestri della musica che l’hanno restaurata e ridotta a perfezione” Si trattava di persone in buona parte immigrata perchè mancavano istituzioni didattiche alla formazione della musica polifonica che avevano la Francia e le Fiandre, All’epoca degli Sforza erani presenti musicisti impiegati a vario titolo nel “cantiere”: trombettieri, banda di fiati (detta piffara), strumenti ad arco e a tastiera, cappella dei cantori destinata alle attività di maggiore prestigio.i franco-fiamminghi Loyset Compère, Gaspard van Weerbecke, Alexander Agricola e Heinrich Lubecke sono i musicisti con cui Leonardo entrò in contatto a Milano. Il maggiore documento è la Messa della Beata Vergine Maria(fonte originaria oggi custodita presso la Veneranda Fabbrica del Duomo) che coinvolge i suddetti musicisti, Gli Sforza promossero un genere di musica polifonica consistente in un ciclo di mottetti denominati missialis o ducales in sostituzione del consueto ordinario della Messa (Kyrie-Gloria-Credo-Sanctus-Agnus Dei) trovano particolare rilievo testi dedicati al culto della Madonna delle Grazie, tradizionalmente caro agli stessi Sforza. Capolavoro del genere è la Messa a cinque voci accompagnata dagli strumenti della cappella musicale: due trombettieri, due bombarde, due tromboni, liuto, due viole, arpa e cornetto. In pratica, come si direbbe oggi, si tratta di una Messa “virtuale “.
LEONARDO: “RITRATTO DI MUSICO”– Venne dipinto da Leonardo negli anni 1488-90 durante il soggiorno milanese. Si ritiene che il quadro (olio su tela, cm. 44,7X32, ora custodito presso la Biblioteca Ambrosiana) , non abbia fatto parte di opere donate nel 1618 dal cardinale Federico Borromeo, dato che risulta registrato per la prima volta solo nel 1671 . Sono state formulate varie ipotesi non sostenute da adeguato riscontro documentario. Tuttavia è stato correttamente interpretato come ritratto di un musico solo in seguito a un restauro condotto nel 1905 che ha riportato alla luce il particolare della mano con il cartiglio musicale, occultato da una rifinitura dove si riconoscono frammentarie cant(un) angelicum lette sul cartiglio stesso. Si tratta di Franchino Gaffurio, maestro di cappella del Duomo milanese e conosciuto da Leonardo. Per quanto questa identificazione abbia trovato vasta accoglienza nella critica, l’aspetto molto giovane del personaggio effigiato sembra entrare in conflitto con l’età che Gafferio doveva avere al tempo della realizzazione del ritratto. Altre ipotesi più recenti vedrebbero il personaggio effigiato in Joaquim des Prez, celebre musicista presso gli Sforza che abbandonò nel 1484, quattro anni dopo l’arrivo di Leonardo, oppure Atalante Migliorotti, amico musicista e cantante che accompagnò Leonardo a Milano, sono privi di riscontri sul piano iconografico.I dubbi avanzati in passato sulla completa autografia vinciana del dipinto (ritenuto di collaborazione con Ambrogio de Predis), risulta comunque non finito in alcune parti del busto. La casacca, ad esempio, è rimasta ferma alla preparazione rossastra. Si è spesso insistito sul apporto con la ritrattistica di Antonello da Messina, Per quanto questa suggestione sia evidente nell’impostazione di tre quarti data alla figura, nella forte concentrazione sui tratti del volto, fatto emergere con deciso vigore plastico dal fondo scuro, e nella intensa caratterizzazione espressiva del personaggio effigiato(una suggestione forse un tempo resa più esplicita anche nella gamma cromatica molto vivida nell’ abito e nella stola resa oggi offuscata da ridipinture antiche non rimosse). Il dipinto leonardesco manca di quella astrattezza nella resa del volume e della luce che distingue l’opera di Antonello da Messina. Vi è invece un senso naturalistico nel descrivere la potente struttura del volto che, nella forte accentuazione anatomica, rivela la precisione degli studi scientifici condotti da Leonardo sulla struttura ossea dei crani, testimoniata in una piccola serie di studi a penna conservata a Windsor. La connessione con questi studi anatomici e l’impiego di un intenso chiaroscuro volto a modellare con vigore i piani del viso, fanno pensare alla Vergine delle rocce oggi alla National Gallery di Londra-