La svastica di San Damiano: una riflessione nel giorno della Festa della Repubblica

C’è una stana sintonia simbolica  e terribile che percorre la penisola nei giorni che dovrebbero celebrare l’unità nazionale e la Festa di quella Repubblica consegnataci dai padri Resistenti e dall’Assemblea Costituente.

Svastiche disegnate ovunque da nord a sud, sui muri, accanto alle corone celebrative depositate in memoria dei caduti ed ora anche nei campi, accanto a noi, sulle colline dove la battaglia per la libertà, quella vera, quella fatta di sangue e morti, si è consumata e per fortuna vinta.

La svastica di San Damiano, comparsa alla vigilia del 2 giugno, disegnata pare con un taglia-erba, non è rimasta confinata nella cronaca locale ma ha avuto eco nelle notizie di tutte le testate nazionali. L’intenzione dell’autore era davvero, come sostiene il neo sindaco Davide Migliasso (che pure ha condannato il gesto), una protesta contro il passaggio del Rally del Grappolo, o dietro un gesto così “forte” c’è qualcosa di più?

Le forze dell’ordine stanno indagando e il triste simbolo è già stato cancellato, ma una riflessione non può non nascere dopo una campagna elettorale dove abbiamo assistito alla ricerca di legittimazione (per fortuna non ottenuta e confinata agli zero percentuale) di movimenti che si ispirano chiaramente al nazi-fascismo.

A Fiumicino le svastiche sui muri sono state coperte con i versi dei nostri grandi poeti, e lo stesso avviene in maniera metaforica su molte bacheche di profili social, come a cercare di combattere l’orrore con la bellezza e ad allungare l’ombra dei grandi su così piccole menti che ancora si esprimono con tali simboli.

E allora anche chi scrive sceglie di coprire quella svastica con le parole di c’era e di chi ha visto, parole che raccontano e non possono essere cancellate dagli stupidi gesti di chi ancora rincorre la storia più terribile che abbiamo attraversato.

Tu non sai le colline

Tu non sai le colline

dove si è sparso il sangue.

Tutti quanti fuggimmo

tutti quanti gettammo

l’arma e il nome. Una donna

ci guardava fuggire.

Uno solo di noi

si fermò a pugno chiuso,

vide il cielo vuoto,

chinò il capo e morì

sotto il muro, tacendo.

Ora è un cencio di sangue

il suo nome. Una donna

ci aspetta alle colline.

9 novembre 1945

Cesare Pavese

 

Carmela Pagnotta