CENTOTORRI/SFOGLIA LA RIVISTA – Quel  Natale a Chieri, con Gesù Bambino e senza Babbo Natale

Il presepe con muschio e ghiaietta: i ricordi di Rita Berruto:

 

Cedo volentieri il mio spazio all’amica di facebook, Rita Berruto, che il 3 dicembre scorso posta:

“Verso l’ultima settimana di novembre arriva il Natale….Non che mi dispiaccia però. Però una volta Natale arrivava discretamente, in punta di piedi, avevi tempo di vivere l’attesa con calma. Eppure puntualmente arrivava.

Quando ero bambina la mia famiglia viveva ai ‘Saragat’,  in una casa di ringhiera adiacente ad un grande cortile  al centro del quale si trovava una pista da ballo e il posto per l’orchestra. (odierno condominio di via Balbo n.d.r.).  Alla fine del cortile, addossata ad altre case, c’era anche una torre piuttosto fatiscente, una delle tante di Chieri. La pista non veniva più usata, le serate danzanti si tenevano al chiuso in una struttura che era assolutamente proibita a noi bambine. Ma tutto il resto era a nostra disposizione e costituiva il nostro personale, meraviglioso e arcano parco dei divertimenti. A dicembre era la neve che per prima annunciava l’arrivo del Natale…. La seconda avvisaglia era la comparsa sul balcone di un pino di un bel verde vivo e con le radici ancora avvolte nella terra. Subito dopo mia madre e mia nonna l’avrebbero rinvasato in un capiente vaso mettendogli la terra ‘buona’, per aiutarlo a passare indenne le feste natalizie. Il riportare in casa gli addobbi per l’albero e per il presepe che giacevano ordinatamente stipati in scatoloni in quella che consideravamo la cantina, era il segno definitivo che ormai Natale era imminente. Il Presepe veniva allestito sul mobiletto della macchina da cucire con tanto muschio e ghiaietta per fare i sentieri, il fiume e il laghetto di carta stagnola…. Il pino lo addobbavamo noi bambine con l’aiuto della mamma… E giungevano gli ultimi giorni prima del 25 dicembre.  L’arrosto veniva cotto e gli spinaci lessati; mia madre portava a casa un bel pezzo di salame cotto, questi erano parte degli ingredienti della nostra personale ricetta per il ripieno. Sul tavolo della cucina appariva il vecchio tagliere di legno così frusto da avere un solco in mezzo. La mezzaluna, impugnata saldamente da mia nonna, cominciava il su e giù veloce e preciso e, a ogni dondolio, tagliava, sminuzzava sbriciolava arrosto, salame cotto e spinaci nella danza antica delle mani che allora tutte le cuoche di casa conoscevano. Il compito mio e di mia sorella era quello di grattare il parmigiano: gratta e gratta e nel piatto cadevano fiocchi prelibati di formaggio. …Tutto poi veniva messo in una terrina e posto nella ghiacciaia per le scale che dall’ingresso conducevano al nostro alloggio. D’estate la ghiacciaia aveva effettivamente il ghiaccio, ma d’inverno non era proprio necessario.  Il giorno appresso, l’antivigilia, l’asse di legno che stava nascosto sotto il tavolo della cucina, veniva estratto e posto sul tavolo stesso, lavato asciugato e infarinato era pronto per la sua funzione principale: gli agnolotti, più buoni perché fatti da noi.

E finalmente arrivava la vigilia. L’agnello a cuocere nella pentola sulla stufa e le patate a dorare in forno. Che ansia nell’attesa dell’arrivo di Gesù Bambino, allora era Lui che portava i regali, Babbo Natale non c’era ancora. Per fortuna la neve e il cortile stemperavano la nostra inquietudine di bambine. E arriva finalmente la sera: dopo cena mio padre e mia madre si preparavano con calma per andare alla messa di mezzanotte, e  mentre mia nonna si fermava a riordinare e controllare una ennesima volta i pitansin per l’indomani noi andavamo a letto…

‘Rita! Sveglia! E’ Natale’. Oh cavoli! Neanche questa volta sono stata sveglia, pazienza il prossimo Natale andrà meglio. Ma ora ci sono i regali da scartare…”

(Foto Archivio storico Biblioteca civica sezione Storia locale).  A cura di Valerio Maggio