Il celebre fumettista e disegnatore, scomparso nel novembre 2020, aveva per alcuni anni vissuto con la famiglia tra Chieri e Pino Torinese
di Valerio Maggio
Rodolfo Marcenaro (1937 – 2020) – meglio conosciuto come Ro Marcenaro (nella foto a colori) – grande disegnatore e vignettista, uno dei più grandi del Novecento italiano – è scomparso pochi mesi fa, nel novembre 2020. Tutte le sue opere, dal Manifesto Comunista degli anni ’70 all’ultimo suo lavoro sulla Costituzione Italiana, erano sempre concepite, studiate e realizzate con lo spirito di adattare, e rendere fruibile, ad una platea di persone la più ampia possibile, i testi spesso impegnativi. Questo discorso valeva anche per le illustrazioni e per le tavole di opere come il Candido di Voltaire o il Vangelo a fumetti per le Edizioni San Paolo. Annoverava tra i suoi amici colleghi del calibro di Quino (autore di Mafalda) di Mordillio (illustratore argentino di fama mondiale), di Silver, Altan, DeMaria (autore tra l’altro di SupeGulp), di Gino Paoli, per il quale aveva realizzato i videoclips dell’album “Quattro Amici al bar ”. Fu anche pioniere delle tv private e – come direttore di TeleCiocco – tra i primi a mettere in mano una telecamera a giovani giornalisti, sguinzagliandoli a caccia di notizie e di storie da mandare in onda. Lascia la moglie Augusta e i figli Chicca e Umberto. Quest’ultimo porta lo stesso nome del nonno (nella foto in bianco e nero), Umberto Marcenaro, padre di due maschi: Ulrico e, appunto, il vignettista Rodolfo. I tre, negli anni della seconda guerra mondiale e più avanti nei primi anni ’50, sono stati saltuariamente nostri concittadini (concittadini tra virgolette); ed è anche la ragione per cui – oltre alla sua indubbia maestria artistica – ho deciso di ricordare ai chieresi più anziani, caso mai lo avessero dimenticato, la presenza in città di Ro Marcenaro e di parte della sua famiglia. Vicissitudini di vita e di lavoro (il papà in quel tempo era agente di commercio per alcune rinomate tessiture locali) portano, infatti, il trio a spostarsi tra Pino Torinese e Chieri, dove soggiornano spesso al 9 di via Marconi. Per un certo periodo Ulrico e Rodolfo frequentano il blasonato Real Collegio di Moncalieri dal quale, a fine settimana, tornano indossando la ricca divisa da “cadetti”, comprendente berretto d’ordinanza e ghette (soltanto altri due giovani chieresi -rampolli di una famiglia tessile cittadina facente capo alla stirpe del “Ronco Cotonificio” – potevano permetterselo). Così almeno mi raccontavano i miei genitori che, spesso, erano presenti a quel civico di via Marconi dove risiedeva, in un altro alloggio, la coppia formata da mio zio Antonio, fratello di mio padre, e da sua moglie Maddalena. Appena raggiungo l’età della ragione, comincio anch’io a frequentare quel cortile del borgo del Murè e, in qualche caso, sono Ulrico e appunto Rodolfo, ormai adolescenti, ad intrattenermi, con pazienza, in qualche gioco. Altre volte sono ospite della fiammante Lancia Ardea di papà Umberto; una Lancia Ardea, dicono le pubblicità del tempo, «luogo intimo e signorile il cui uso quotidiano attribuisce al suo (o alla sua) conducente la patente di raffinatissimo intenditore». A questo punto la loro stagione chierese è però quasi agli sgoccioli. Saranno infatti nuove traversie in ambito famigliare a costringerli all’abbandono della nostra città: «Ma del periodo di Chieri – ricorderà soltanto poco tempo fa il figlio da me interpellato – papà me ne parlava spesso soprattutto quando era in compagnia di zio Ulrico: tanti racconti, tanti ricordi, tante avventure».