Premi a Luigi Cucco di Chieri e ai Fratelli Rasetti di Pecetto
di Bruno Bonino
Il Freisa di Chieri trionfò a Torino nel Carnevale del 1894 con due medaglie, una d’oro e l’altra d’argento, al Concorso Enologico abbinato alla Mostra dei vini, vermouth e liquori italiani. Se ne trova notizia sulla Gazzetta Piemontese che descrisse la mostra e il concorso organizzati dal Circolo Enofilo Subalpino nel cortile di Palazzo Carignano, sotto l’egida del Municipio di Torino. Per il settore dei vini si aggiudicò la medaglia d’oro il produttore Luigi Cucco di Chieri, mentre quella d’argento andò ai Fratelli Rasetti di Pecetto Torinese.
Ma dal vitigno freisa non si ottenevano solo vini di pregio e da pasto ma anche un passito molto apprezzato. Infatti già nel 1884 il produttore di Chieri Giuseppe Gerbino era stato premiato con la medaglia d’oro alla Esposizione Generale Italiana di Torino, nella sezione vini rossi liquorosi e da dessert, con questa motivazione: “per la sua freisa passita eccellente per fragranza e gusto squisito”.
Altre parole estremamente lusinghiere sul Freisa si trovano in una pubblicazione specialistica del 1896 del Ministero dell’Agricoltura dal titolo: “Notizie e studi intorno ai vini ed alle uve d’Italia”. In essa vi è scritto: “Nel circondario di Torino primeggia tra i vitigni ad uva rossa il Freisa, diffuso sulle colline di Torino e in quel di Chieri. In ordine di importanza viene poi il Barbera, il Bonarda, il Neretto, il Dolcetto, ecc. Il Freisa è vino ricco di tannino, ha intenso color rosso granata e si conserva con facilità. Nelle buone annate il Freisa riesce assai pregevole, e migliora con l’invecchiamento, arrivando di frequente all’onor della bottiglia come i Baroli, ai quali allora per la finezza del sapore e la delicatezza del profumo molto assomiglia”.
Il freisa o al femminile la freisa, come dicevano i nostri nonni, ha radici antiche e il primo documento noto che ne riporta il nome risale agli inizi del XVI secolo. Si tratta di un registro della dogana di Pancalieri che per una “carrata fresearorum” richiedeva il pagamento di un tributo maggiore in quanto il prodotto era considerato di qualità superiore rispetto ad altri vitigni.