CENTOTORRI/SFOGLIA LA RIVISTA – La cappella di Santa Maria in Betlem, in regione Balermo

A destra della strada per Torino, ha origini antichissime

di Antonio Mignozzetti

 

Roberto-Bonelli-Adorazione-dei-pastori.

Nella località chiamata Balermo, situata sulla riva sinistra del rio Tepice e a destra della strada per Torino, appena dopo il distributore Agip, almeno dalla metà del XIII secolo esiste la cappella di Santa Maria in Betlem, eretta, insieme ad un piccolo ospizio, dai Betlemitani, un ordine religioso che si dedicava all’assistenza dei viandanti: era, cioè, uno dei numerosi ricoveri che punteggiavano la Via Francigena. Estintosi l’ordine dei Betlemitani, la cappella venne retta da un cappellano nominato dal Vescovo. Nel 1457, non lontano da essa, in un piccolo convento dedicato alla Madonna delle Grazie (chiamato in seguito Grazie Vecchie) si stanziarono anche i frati Minori Osservanti, che  vi restarono per cinquant’anni: fino al 1506 quando, per motivi di sicurezza, si trasferirono prima in zona Vallero (le Grazie Nuove), poi a San Giorgio e infine nel convento di Sant’Antonio Abate. A partire dal Cinquecento il patronato della cappella di Santa Maria in Betlem fu acquisito dai De  Bernardi, seguiti dai Vasco e dai Robbio. I cappellani nominati dal Vescovo erano quasi sempre esponenti di tali famiglie, che in questo modo si garantivano il godimento dei beni che lungo il tempo erano stati donati alla cappella: un “Beneficio” che all’inizio del 1700 comprendeva: nella zona di Balermo dodici giornate e ottanta tavole di campo e prato, un mulino, uno stagno e una bealera; nel territorio di  Pino, 41 tavole di vigna in regione San Lazzaro, quattro giornate e ottanta tavole di bosco in zona Malsapello e una giornata e cinquanta tavole di bosco al Podio.  Lungo i secoli la cappella conobbe varie trasformazioni. Un documento del gennaio 1700, conservato presso l’Archivio Arcivescovile di Torino, la descrive dotata di un piccolo portico sul davanti e, verso Nord , di  “una casetta per l’abitazione dell’Eremita, composta da due piccole stanze, una  a terra e l’altra sopra”. Una relazione datata 1841 non parla più del portico e dice che dietro la cappella c’erano la sacristia, sormontata da una camera, e un altro piccolo edificio con al pianterreno la  stalla e al piano superiore la camera del sacrestano e il fienile. Nel 1844 sia la cappella che la casa erano in pessime condizioni: un certo Giuseppe Mazzola, architetto, aveva steso  una perizia e un progetto  di restauro, che però rimasero sulla carta. Finché, nel 1865, per effetto delle leggi Siccardi che avevano soppresso molti enti religiosi, anche questa cappella venne incamerata dallo Stato con tutti i suoi beni. Messa all’asta, fu acquistata dal benestante chierese Giuseppe Stella, il quale negli anni 1867-68 la restaurò, anzi, la ricostruì quasi completamente, conferendole l’attuale aspetto neobarocco, con la graziosa facciata concava e l’interno decorato da stucchi, dipinti e marmi, compreso un bell’altare di marmo bianco. Per le strutture si affidò all’ingegnere Antonio Debernardi. Per i dipinti ingaggiò Roberto Bonelli, che sulla volta eseguì una Adorazione dei Pastori, e Giuseppe Massoero, che decorò le pareti con due tondi raffiguranti  Santa Francesca Romana e Santa Lucia.  Gestita da massari, fino a tempi recenti la cappella di Santa Maria in Betlem è stata al centro della devozione della gente del posto e anche degli abitanti della città: la festa che si vi celebrava la seconda domenica di agosto richiamava in regione Balermo un gran numero di chieresi. L’Arco” del 1890 scriveva:  “Per un buon popolano chierese, nato all’ombra del campanile di San Giorgio, il mancare alla festa di Balermo la seconda domenica di agosto sarebbe delitto poco inferiore a quello del rinnegare la patria”. “Giovinotti, ragazze e fanciulli…  giungevano carichi di canestri colmi di viveri, di barilotti e bottiglioni di vino” e “si spargevano man mano pei prati sul pendio leggero lungo la riva del Tepice” dove si mangiava e si beveva in allegria. Tempi ormai lontani. La cappella, tuttora di proprietà degli eredi di Giuseppe Stella, è in condizioni veramente precarie. A tendoni di plastica è affidato il compito di proteggerla dalle intemperie. Ma sono in tanti a sperare in un miracolo che la salvi dalla distruzione e dall’oblio.