Sacrestano e custode, una figura storica nel convento di San Domenico
di Valerio Maggio
«La nostra memoria è un mondo più perfetto di quanto lo sia l’universo: essa restituisce la vita a coloro che non esistono più» (Guy de Maupassant).
Alessandrino di nascita (precisamente di Ponzone), chierese d’adozione avrebbe compiuto quest’anno cento anni. Di chi parliamo? Parliamo del fratello cooperatore domenicano fra Stefano Portesine (1922 – 2000).
A soli diciassette anni si trasferisce nel convento di Chieri (non lo lascerà praticamente mai) dove – compiuti il noviziato e gli anni di “professione temporanea” – nel 1949 esprime quella “solenne e perpetua” che, pur senza essere sacerdote, gli permette di essere un «vero Religioso (…) continuando ad approfondire e a perfezionare la propria vita spirituale sia con assidue letture, sia accettando sempre le umili mansioni cui l’obbedienza quotidianamente lo chiamava».* Sono proprio quelle “umili mansioni” a farlo conoscere all’intera comunità chierese sin da quando, durante il secondo conflitto mondiale, si prodiga nella “questua” presso le cascine della zona per assicurare «il pane e il necessario nutrimento alla comunità che frattanto si era accresciuta per l’arrivo dei frati studenti e dei loro insegnanti sfollati da Torino».*
Esperto campanaro sapeva deliziare l’intera città con il suono della “baudetta” durante le ricorrenze religiose più importanti compito che, con il trascorre degli anni, affiderà all’allievo Giorgio Gastaldi di professione materassaio.
Tra i pochi a possedere la patente di guida veniva spesso scelto dal Provinciale come autista personale durante le consuete visite ai conventi a lui affidati. Molti chieresi con i capelli bianchi non possono non ricordarlo – a fine anni ’60 inizio ’70 – alla guida della “sua” Renault 4 mentre rientra in convento dopo una visita alle cantine del confratello Pieropaolo Ruffinengo (la famiglia era proprietaria di vasti vigneti in quel di Calosso d’Asti). Spesso all’interno dell’auto si potevano scorgere capienti damigiane di vino (Barbera per lo più) pronte per essere imbottigliate. Eh sì perché fra Stefano era anche un esperto cantiniere ma non solo. Tra le sue attività all’interno del convento ne spiccavano almeno altre due. Abile nel curare l’orto sapeva trasformarsi in un ineccepibile sacrestano o, al bisogno, in un attento e fidato inserviente e custode. Come quando – prima di Natale, durante l’allestimento del presepe – si proponeva nelle vesti di aiutante a fianco di fra Luigi Francesco Savoia (delicato pittore). Usando vecchie statue settecentesche che aveva ereditato dall’altro confratello-pittore Angelico Pistarino il Savoia sentiva infatti l’obbligo di sostituire, ogni anno, i drappeggi, di dipingere nuovi fondali, di inventarsi un nuovo modo di disporre le luci provando e riprovando i piani della scena. Succedeva così che, a pochi minuti dall’inizio della Messa di mezzanotte, fosse ancora alle prese con la preparazione nascosto dai fedeli presenti dal solo tendone che divideva la chiesa dall’allestimento natalizio posto tra il primo e il secondo portone d’ingresso. È lì che si si poteva spesso scorgere l’esile figura di un infreddolito fra Stefano pronto a fornire all’artista un ultimo aiuto per far sì che il tutto si presentasse senza sbavature quando il “sipario” si sarebbe finalmente alzato.
*(cfr Dominicus 7/8 2000)